Velo islamico? Nella mia azienda è già vietato, parola di Librandi
"È una questione di sobrietà negli uffici. È un tema di sicurezza in stabilimento"
Gianfranco LIBRANDI, a capo del gruppo TCI di Saronno e deputato di Civici e Innovatori, in una intervista al Corriere della sera commenta la sentenza della Corte europea di giustizia di Lussemburgo che concede la possibilità alle aziende di vietare il velo islamico e altri simboli religiosi ai dipendenti durante i contatti con i clienti: "In azienda abbiamo due dipendenti di religione musulmana. Non hanno mai posto alcun problema sull'utilizzo o meno del velo. Di qualunque tipo. Non importa se sia un hijab, che copre solo il capo, il collo e le orecchie. Oppure, a maggior ragione, il niqab, il burqa, il khimar o il chador. Da noi non si può. E lo motiveremo espressamente nel regolamento interno che già esiste, ma che ora verrà modificato per recepire correttamente la sentenza della Corte. Il velo, qualunque esso sia, può limitare la capacità di ascolto e i movimenti. Può accidentalmente entrare nelle saldatrici e nei macchinari, creare problemi di scariche elettrostatiche e in generale una diversità difficile da gestire con gli altri dipendenti". E aggiunge: "Il nostro ufficio vendite si confronta quotidianamente con clienti di Abu Dhabi e di Doha. Rispettiamo tutte le religioni e tutti i simboli di identificazione ma sul lavoro bisogna evitare di creare imbarazzi".