Politica

Pd, chi dice crisi e chi dice avanti. Ma se perde in Emilia 'crolla tutto'

Alberto Maggi

Che cosa accade al Nazareno tra governo, M5S e renziani

Tattica, scaramucce, posizionamento. All'interno del Partito Democratico derubricano quasi a ordinaria amministrazione le polemiche infinite tra Italia Viva e Luigi Di Maio sulla manovra. Quota cento va abolita, dicono i renziani. Quota cento non si tocca, ribattono dai vertici del Movimento 5 Stelle. Stesso refrain sul carcere ai grandi evasori e su altri punti chiave della Legge di Bilancio. Uno spettacolo certo non edificante ma che, spiegano fonti del Nazareno, non mette a rischio la tenuta dell'esecutivo.

Le parole di Nicola Zingaretti a Repubblica sono chiare: al governo serve un'anima oppure siamo tutti a rischio. Il punto chiave del pensiero del leader dem è che occorre abbassare i toni nella maggioranza e fare squadra, a partire dalla Legge di Bilancio. Altrimenti Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ma anche Silvio Berlusconi, continueranno ad avere gioco facile attaccando a testa bassa quotidianamente con lo slogan della Finanziaria tutte tasse. All'interno del Pd, almeno al momento, l'unico che vorrebbe probabilmente rompere l'alleanza con il M5S è Matteo Orfini, ex presidente del partito all'epoca di Matteo Renzi segretario ma che oggi conta su un numero estremamente limitato di truppe.

Su posizioni critiche, ma non da 'stacchiamo la spina', c'è il vice-segretario Andrea Orlando, il più velenoso nei messaggi e nei segnali al numero uno di Italia Viva e al ministro degli Esteri (che non a caso ha scelto di restare fuori dalla compagine governativa). Anche Paolo Gentiloni, oggi impegnato nel suo nuovo ruolo a Bruxelles, non è certo fan del governo e, probabilmente, fosse stato per lui nemmeno sarebbe nato. Ma la maggioranza del Pd ad oggi è comunque per andare avanti con Giuseppe Conte e i 5 Stelle. Schierati su queste posizioni ci sono sia AreaDem del ministro Dario Franceschini, capo-delegazione nell'esecutivo, sia BaseRiformista degli ex renziani rimasti nel Partito Democratico come il ministro Lorenzo Guerini, il capogruppo al Senato Andrea Marcucci e Luca Lotti.

Dello stesso tenore anche la linea dell'ex segretario Maurizio Martina. Zingaretti cerca costantemente la sintesi tra le varie posizioni, consapevole dell'opinione della maggioranza del Nazareno. E quindi afferma di non volere la crisi e le elezioni ma invita gli alleati a fermare i distinguo quotidiani. Ma su un punto le anime dem concordano: la vera data fondamentale, il vero spartiacque della politica italiana, sono le elezioni regionali del 26 gennaio. L'Emilia Romagna - con tutto il rispetto per il voto in Calabria che ha una valenza inferiore - non è l'Umbria, dove il Pd si aspettava la sconfitta anche se non di quelle dimensioni (meno punti in meno del Centrodestra).

Le manifestazioni anti-Salvini delle cosiddette sardine fanno sperare il Nazareno, ma i dem sanno che la sfida non sarà facile e che Stefano Bonaccini dovrà lottare fino all'ultimo per evitare una clamorosa debacle. L'incognita resta su cosa faranno i 5 Stelle: scartata ormai l'alleanza modello Umbria, le ipotesi sono la corsa solitaria dei pentastellati con un proprio candidato o la desistenza, come si augurano nel Pd, ovvero il M5S che decide di non correre in Emilia Romagna. Il punto su cui tutti sono d'accordo (ex renziani, franceschiniani, critici verso il governo) è che se la mattina del 27 gennaio ci svegliassimo con la leghista Lucia Borgonzoni nuovo presidente dell'ex Regione rossa famosa, tra le altre cose, per Don Camillo e Peppone, "cambierebbe il mondo" - per usare le parole di un senatore dem vicino a Zingaretti.

A quel punto verrebbe ridiscusso tutto, non solo l'esecutivo Conte con i 5 Stelle e i renziani ma anche lo stesso Partito Democratico e il ruolo del suo segretario. I parlamentari dem si augurano che con l'eventuale vittoria di Bonaccini si possa trovare l'amalgama nel governo ridimensionando i sovranisti, ma sanno perfettamente che una possibile sconfitta cambierebbe radicalmente lo scenario politico. Un terremoto che travolgerebbe l'attuale governo e ridisegnerebbe i contorni e del Centrosinistra. A partire dal Pd e dall'intesa con il M5S e con Italia Viva.