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Politica
Rai, il caso Scurati: per Fantozzi: “una cazzata”

 

 

Fra poco più di una settimana, martedì 7 maggio, ci sarà lo sciopero di 24 ore alla Rai indetto dal sindacato UsigRai. “Chissenfrega!” potrebbe essere il commento e chiuderla qui. Ma, armandoci di santa pazienza, si possono valutare le motivazioni dell’annunciata astensione dal lavoro: rispolverando vecchi slogan,lotta dura senza pauraperché il governo Meloni ha messo (avrebbe messo) la mordicchia alla tv pubblica. Recita il comunicato Usigrai: «Il controllo asfissiante sul lavoro giornalistico, con il tentativo di ridurre la Rai a megafono del governo, l'assenza dal piano industriale di un progetto per l'informazione della Rai, le carenze di organico in tutte le redazioni, il no dell'azienda ad una selezione pubblica per giornalisti, la mancata sostituzione delle maternità, la disdetta dell'accordo sul premio di risultato, senza una reale disponibilità alla trattativa, la mancata stabilizzazione dei colleghi precari». Bla, bla, bla. La replica, immediata, arriva non dalla Rai ma da Unirai, il sindacato di centrodestra: «Di asfissiante c'è chi non si rassegna al pluralismo in Rai e insieme a qualche partito soffre la fine del monopolio. Unirai conferma di non aderire allo sciopero politico». Anche qui, bla-bla-bla: aria fritta, fuffa. 

Cento anni di radio e settant’anni di televisione in Italia non ne hanno cambiato la sostanza politica. Infatti, cambiano i tempi, cambiano le mode, cambiano i governi, ma alla Rai, tv di stato pagata dagli italiani, la lottizzazione è la stessa di sempre. Peggio, perché ai tempi del “patron” democristiano Ettore Bernabei, direttore generale dal 1961 al 1974, oltre ai tiggì ad uso e consumo dello “scudo crociato”, c’era la qualità giornalistica e culturale: c’erano programmi come TV7, sceneggiati tratti da grandi opere letterarie come l’Odissea, i romanzi di Tolstoj, di Manzoni, di Cronin e serie tv come Atti degli apostoli per la regia di Rossellini, il Mosè, il Gesù di Nazareth diretti da Zeffirelli, c’era le Tribune politiche vere, incentrate sui contenuti, non sulle grida e sugli insulti. E così via. Oggi è diventato “eroe” un Fazio qualunque, presentato come un martire della Rai per il passaggio ad altra tivù non perché censurato o perché cacciato ma per (legittima) questione di soldi. Per non parlare, se si può dire sull’altro fronte, del caso Scurati e il monologo sul 25 aprile rifiutato dalla Rai per non pagare 1800 euro (1600 euro è lo stipendio medio mensile di un operaio metalmeccanico e 1800 euro, comunque, è lo stipendio mensile di molti dipendenti Rai), strumentalizzato da Usigrai e dalla sinistra e zone limitrofe, in funzione elettorale in vista delle elezioni europee e amministrative del l’8 e 9 giugno. Non far parlare Scurati alla Rai è stato, come avrebbe detto Fantozzi, una “cazzata”. Ma pestarci sopra come stanno ancora facendo Pd & soci dimostra, oltre la strumentalizzazione del nulla, che non ci sono altri argomenti politici per tentare di non perdere anche queste importanti elezioni. Allora? Pensare che questo Pd e questa sinistra cambino, non solo nel fare propaganda elettorale, è pure illusione. Questa guerra, si fa per dire, fra i due sindacati Rai, è un “già visto” che anche questa volta non porterà a niente, tanto meno a qualcosa che possa migliorare l’informazione pubblica. La Rai resterà un terreno di battaglia fra le parti. Giochi di palazzo. Questioni di potere.  






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