Politica
Referendum, vince il No? Elezioni politiche nella primavera del 2017
Referendum, ecco che cosa succede se domenica Renzi perde
Lo scenario post-referendum in caso di vittoria del No è già scritto. Fonti qualificate del Partito Democratico, sponda ovviamente renziana, spiegano che se sconfitto lunedì 5 dicembre Matteo Renzi salirà al Quirinale da Sergio Mattarella. Un passaggio obbligato che però non significa le dimissioni irrevocabili del premier come molti auspicano in queste ore. L'ipotesi più accreditata è quella che il Capo dello Stato rimandi il presidente del Consiglio alle Camere per un nuovo voto di fiducia.
E - stando a quanto assicurano i renziani - nessuno da Verdini ad Alfano fino alla minoranza dem di Bersani e Speranza negherà il sostegno all'attuale esecutivo. Ma ciò non significa che il governo andrà avanti sereno fino al 2018. Anzi, Renzi - confidano i suoi fedelissimi - non avrebbe alcuna intenzione di andare avanti indebolito un altro anno e mezzo fino al termine naturale della legislatura. E quindi che cosa succederà?
Come primo punto verrà messa in sicurezza la Legge di Bilancio, che a quel punto, dopo il successo del No, non potrà che essere "ammorbitata" ascoltando i diktat di Bruxelles e approvata rapidamente dal Parlamento. Poi, anche in vista del pronunciamento della Corte Costituzionale sull'Italicum, il Pd si farà promotore in Aula di una revisione in senso proporzionale della legge elettorale, mantenendo comunque un premio di maggioranza (alla coalizione e non al primo partito o lista come previsto dall'Italicum) per evitare la totale ingovernabilità.
E dopo? I renziani scommettono che l'intenzione del premier sia quella di andare alle elezioni politiche anticipate nella primavera del 2017, si parla di marzo o aprile. Più volte il presidente del Consiglio ha chiarito di non voler restare a Palazzo Chigi per tirare avanti senza poter proseguire il cammino delle riforme. E anche dal Quirinale assicurano che Mattarella non abbia né la forza politica né l'intenzione di farsi carico della nascita di un nuovo governo tecnico o di scopo (negato anche da Berlusconi) come fece invece Giorgio Napolitano con Monti e Letta.