Sondaggi choc: Renzi rottamato, stroncata ogni speranza di tornare leader
Mentre il Pd crolla, tramontano per Renzi i sogni di fondare un nuovo partito tutto suo in un'Italia che lo ha definitivamente abbandonato
Matteo Renzi è finito? Tante volte si è usata questa espressione, tante quante sono state le sconfitte inanellate dall'ex premier ed ex segretario dem in questi due anni, da quel giugno 2016 che vide il trionfo del m5s alle elezioni comunali, con la conquista di Roma e di Torino.
Più volte, prima della sconfitta referendaria del 4 dicembre 2016, Renzi ha dichiarato di voler lasciare la politica, o - dopo la disfatta del 4 marzo 2018 - di voler starsene in disparte ai margini per osservare silente il dipanarsi della situazione. E invece nel primo caso tornava poco dopo a candidarsi alle primarie del Pd (stravincendole) o, nel secondo, rompeva poco più tardi il silenzio autoimposto comparendo in Tv a dettare direttive al partito alla cui leadership aveva apparentemente abdicato.
Pure, il protagonismo istrionico dell'ex segretario dem non coincide (più) con il favore degli italiani nei suoi confronti, italiani un'ampia fetta dei quali gli ha dimostrato più volte di non volerne più sapere nulla di lui. Renzi, tuttavia, e il suo entourage di fedelissimi e blindatissimi in Parlamento erano fino a poco fa certi di poter contare su uno zoccolo duro di aficionados pronti a seguirlo come i topolini del pifferaio magico qualora avesse messo in atto il piano B (che non sta per Berlusconi, honni soit qui mal y pense), bensì per l'intento di fondare un suo nuovo partito su modello dell'En Marche francese. Del resto, la fallimentare operazione "In Cammino" ne era la pedissequa traduzione italiana.
E tuttavia, due recentissimi sondaggi commissionati proprio da Renzi per sondare eventuali entusiasmi al riguardo di quella ipotetica nuova avventura hanno stroncato tutti i suoi sogni.
Paradossalmente, è la renzianissima e acuta Laura Cesaretti del Giornale a rivelare il tragico retroscena. Già, "diverse settimane fa" scrive Cesaretti, "mentre il Pd si attorcigliava nello scontro post-voto e l'Assemblea nazionale decideva di non decidere nulla per evitare rotture, Renzi ha fatto testare la sua idea da due istituti di sondaggi, Swg e Emg di Fabrizio Masia. È andata «piuttosto male», come ha detto lo stesso Renzi ai suoi: una delle due analisi collocava il potenziale partito renzian-macroniano al 4%, appena sopra il quorum, l'altra dava qualche punto in più, ma poca roba."
Una catastrofe, insomma, già ampiamente annunciata da altre rilevazioni che vedevano Renzi nei piani bassi della classifica del gradimento dei leader, una classifica nella quale Paolo Gentiloni risultava molto più popolare di lui.
I disastrosi sondaggi mettono dunque Renzi all'angolo, e ne palesano la sua prigionia forzata in un Partito Democratico che sta colando a picco. Forse riuscirà a strappare una poltrona al Copasir (e non è ancora sicuro), ma sarà ben poca cosa rispetto a chi per qualche anno ha monopolizzato il dibattito politico e mediatico e gestito un potere enorme.
Si accontenterà di fare il "semplice senatore", dunque? Se all'alba della disfatta del 4 marzo, conoscendolo, questa dichiarazione sembrava una delle sue "boutade" da sconfessare subito dopo, ora ha l'amaro sapore dell'ultima tappa della carriera dell'aspirante rottamatore finito rottamato.