Politica
Ue, Covid-19 spartiacque decisivo tra regole rigide e solidarietà
Di Daniela Rondinelli *
E’ la storia del nostro tempo, una pandemia planetaria che ha ormai assunto le caratteristiche di una crisi umanitaria globale epocale che non risparmia nessun angolo della Terra.
Da anni l’umanità e le forze politiche e sociali più progressiste e riformiste chiedono una globalizzazione che possa garantire una equa ripartizione della ricchezza, delle opportunità, dei diritti. Nessuno di noi avrebbe mai pensato invece di vivere la globalizzazione di un virus che avrebbe generato crisi sanitarie, economiche, sociali e finanziarie mondiali senza precedenti.
Il tutto aggravato dalla consapevolezza dell’essere umano di non conoscere da chi o da cosa dovrebbe effettivamente difendersi, poiché il contagio e l’aggravarsi delle condizioni fisiche dipendono in realtà dal caso. L’Uomo del nostro secolo credeva di poter governare processi e dominare il proprio destino, anche grazie ad un’evoluzione tecnologica straordinaria; invece si ritrova solo, nell’incertezza del proprio avvenire, destabilizzato dal punto di vista emotivo e psicologico.
Le prime risposte degli Stati europei su come fronteggiare l’emergenza sono state asimmetriche, nelle scelte e nei provvedimenti, e si sono rivelate ben presto inadeguate a fronteggiare la situazione che invece richiedeva risposte comuni e solidali immediate, specie per ciò che riguarda l’adozione di misure economiche e finanziarie necessarie a risollevare le sorti di cittadini e lavoratori.
Le iniziative intraprese a livello europeo nei primi giorni della crisi, quando l’epidemia era concentrata prevalentemente in Italia, sono state complessivamente scarse, tardive e talvolta controproducenti. Lo si è visto chiaramente quando la Presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, non ha rinnovato il principio del “whatever it takes” utilizzato da Mario Draghi durante l’ondata speculativa del 2012, provocando come immediata reazione nel peggior crollo delle Borse europee della storia recente.
Successivamente le istituzioni europee hanno iniziato a correggere il tiro: la BCE ha proposto un quantitative easing pari a 750 miliardi per acquistare titoli di debito pubblico degli Stati membri in difficoltà attraverso le banche nazionali, ma la misura non è stata ancora attuata in pratica.
La Commissione europea si è mossa con cautela e con passo lento, come d’altra parte fa almeno dal 2007, ossia ogni volta che si è trattato di fronteggiare crisi immani che hanno rischiato di destabilizzare il progetto europeo: prima quella finanziaria, poi quella economica e sociale, poi quella degli attacchi terroristici, in ultimo quella dell’immigrazione. Ma oggi si tratta di emergenze sanitarie che determinano crolli di modelli economici, produttivi e sociali, che necessitano di risposte coordinate e coese, perché i singoli livelli nazionali da soli non potranno farcela. E se fallisce un Paese, cade tutta l’impalcatura europea.
Così la Commissione ha assunto qualche decisione, dapprima accordando una maggiore flessibilità di bilancio per gli Stati per poi approdare a misure più efficaci come la sospensione del Patto di Stabilità e un allentamento della normativa sugli aiuti di Stato.
Arrivati a questo punto, però, è evidente che bisogna fare di più. Siamo ormai al culmine della diffusione dell’epidemia e l’Unione europea non ha ancora attivato adeguati strumenti per fronteggiare la pesantissima crisi economica e sociale che ha iniziato a travolgerla.
Una crisi particolarmente grave per l’Italia perché si innesta su un tessuto economico già provato da anni di bassa crescita e da misure di austerità che in questi anni hanno portato a pesanti tagli alla spesa pubblica, compresa quella sanitaria le cui conseguenze le abbiamo viste in queste settimane.
Credo che per l’Unione europea, il Covid-19 possa rappresentare lo spartiacque decisivo tra un passato fatto di regole rigide per una parità di bilancio che spesso ha imposto riforme lacrime e sangue in numerosi Paesi europei, ed un avvenire basato sull’unità, l’integrazione e la solidarietà, così come sanciti dai Trattati.
Infatti i negoziati di questi giorni tra Governi nazionali, Commissione e Consiglio sulle varie misure economiche e sociali da attuare dimostrano che i principi di cui sopra non rappresentano i valori fondanti di questa Europa. Non ci si sostiene mutualmente con sussidi o trasferimenti, ma si ci concentra su quali strumenti finanziari mettere in campo basati su prestiti, intorno ai quali si consumano scontri su tassi di interesse, tempi di rientro, garanzie e condizionalità, sostenibilità del debito, tutto nell’ambito di rapporti di forza dove fiducia reciproca e credibilità sembrano passare in secondo piano.
Servono invece coraggio ed azioni straordinarie per sostenere sistemi sanitari nazionali sull’orlo del collasso, fortemente provati dall’emergenza in corso; per evitare la crescita della povertà tra la popolazione italiana ed europea, con milioni di persone costrette ad interrompere le proprie attività lavorative e ad azzerare i loro redditi; per evitare il fallimento delle imprese, delle attività dei liberi professionisti, artigiani e commercianti colpiti dall’emergenza e dei provvedimenti restrittivi in corso.
Non sarà sufficiente sforare il Patto di Stabilità, aumentando il deficit, se non si esce definitivamente dalla logica del debito pubblico come “fardello” per le generazioni future. Ed è necessario che gli obiettivi strategici di politica economica e sociale siano sottratti al ricatto e alle speculazioni dei mercati. Ne consegue che il futuro dell’Unione Europea sarà legato alla sua capacità di dare a cittadini e imprese un sostegno immediato senza cadere nella spirale del debito perpetuo.
Da escludere, quindi, il ricorso a strumenti come il MES che, nella sua forma attuale, costituisce il simbolo di quell’Europa inflessibile e rigorosa con cui fino ad oggi sono state gestite le crisi. Sarebbe più opportuno invece, adottare una strategia che permetta di aumentare significativamente il debito pubblico, mobilitando i bilanci pubblici, bancari e finanziari per sostenere le imprese e quindi l’occupazione. L’emissione di Eurobond, titoli di debito europei garantiti dagli acquisti illimitati da parte della BCE, potrebbero inoltre dare sostegno immediato ai sistemi sanitari e nel lungo periodo arginare i contraccolpi recessivi e depressivi delle economie con un piano di investimenti in infrastrutture materiali e sociali.
Parallelamente, per rispondere al nostro bisogno prioritario di immissione di liquidità nel sistema, occorre scongiurare il rischio che l’Italia diventi il “supermarket” per soddisfare appetiti stranieri, magari proprio a cominciare dai nostri cugini francesi o tedeschi, pronti a mettere le mani sulla proprietà di imprese strategiche per il nostro Paese. L’adozione del golden power è quindi essenziale per evitare scalate ostili di multinazionali o Paesi, europei e non, che approfittano dei prezzi discount attuali per acquisire la proprietà di imprese in settori strategici ed intorno alla quali si coaguleranno i processi di rilancio economico.
In un Paese come l’Italia, in cui le PMI rappresentano la spina dorsale dell’economia e molte di essere creano valore in settori strategici per la difesa degli interessi del nostro Paese, è fondamentale prevedere strumenti di difesa del controllo societario che non permettano speculazioni e acquisizioni.
Inoltre credo che l’affermazione del nostro Presidente del Consiglio al Consiglio europeo del “facciamo da soli” possa essere una strada complementare alle soluzioni che saranno individuate a livello europeo, se non addirittura alternativa laddove non dovessimo trovare soluzioni soddisfacenti per il nostro Paese. In definitiva penso che piuttosto che morire di austerità e di condizionalità, si potrebbe anche ipotizzare se il grande risparmio privato degli italiani possa finanziare quel debito che siamo costretti a generare per fronteggiare i costi dell’emergenza sanitaria e quello che sarà necessario per far ripartire il Paese.
Infine occorre iniziare a immaginare fin da ora più strumenti per consentire il rilancio e la crescita una volta superata la crisi, in quanto tutti le soluzioni finora considerati possono a malapena consentire di reggere l’urto di questa prima fase della crisi che è ancora lontana dall’esprimere tutte le sue caratteristiche. Siamo in bilico tra sistemi autarchici e la possibilità di costruire un nuovo multilateralismo a patto di superare i modelli precedenti. Tutte queste sono sfide ineludibili e senza appello, in cui l’incidenza e la tempestività delle misure e soprattutto la visione di lungo periodo avranno un ruolo decisivo per il mondo, per l’Europa, per tutti noi.
Siamo arrivati al momento cruciale. Dal mio punto di vista, questa settimana è da considerarsi storica: non si deciderà solo di economia e finanza, di liquidità e deficit, ma in definitiva si deciderà del futuro stesso dell’Europa. Capiremo se stiamo andando verso l’Europa dei popoli, del bene comune, per il benessere e le opportunità per tutti i cittadini; o verso quello che io immagino ma non auspico, ossia un mero mercato interno per la libera circolazione di merci, capitali e servizi, regolato da un maggior dumping tra Stati membri – di quello oggi già esistente - in termini di concorrenza e competitività.
* Deputata al Parlamento Europeo