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Ballottaggi tra politica,
social, violenza e macerie

La deriva delo scontro politico e il declino delle battaglie ideali, ancora in evidenza nella campagna elettorale per i ballottaggi amministrativi

di Michele Marolla   

Trent’anni fa, anno più, anno meno, l’esponente socialista barese Rino Formica forgiava una definizione che suscitò non poco scalpore: “la politica è sangue e merda”. Una dichiarazione forte, spiegata anni dopo sostenendo che “la politica è per gli uomini il terreno di scontro più duro e più spietato. Si dice che su questo campo ha ragione chi vince e sa allargare e consolidare il consenso, e che le ingiustizie fanno parte del grande capitolo dei rischi prevedibili e calcolabili”. Una visione cinica, ma decisamente realistica, della piazza, o meglio dell’arena, nella quale si è sempre mossa la politica in Italia, e non solo.

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Ma quello che è accaduto e sta accadendo nella campagna elettorale per le amministrative supera ogni più cinica, becera e truculenta immaginazione. L’impressione è che chi si candida ad amministrare le città abbia inteso quel “sangue e merda” nel senso più letterale dell’espressione. Il sangue ovviamente da versare, anche se in senso metaforico, ma non più di tanto, è quello dell’avversario di turno, visto come un vero e proprio nemico da abbattere con ogni mezzo. E il terreno di scontro è ovunque, dalle piazze reali con i comizi a quelle virtuali dei social media.

 

Una sequela infinita di violenze verbali, di accuse al limite della diffamazione, e spesso anche oltre, che coinvolge tutti gli avversari non soltanto il candidato sindaco avverso. Tanto che singoli cittadini vengono additati al pubblico ludibrio con tanto di nome e cognome, con accuse inventate purché verosimili. Zuffe a stento sedate che ricordano l’Italia raccontata da Guareschi con Don Camillo e Peppone, che avevano però grande rispetto dell’avversario, oltre a un senso dell’ironia che a questi epigoni è sconosciuto. Campagne di sistematica distruzione della reputazione di chiunque non la pensi come l’accusatore di turno.

 

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Insomma, la merda di formichiana memoria è stata messa nel ventilatore e chi se ne frega se qualche schizzo raggiunge persone che non c’entrano nulla.

 

Un ruolo strategico in tutto questo è quello dei social network, passati da strumento che “ha dato il diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”, come sosteneva Umberto Eco, a sofisticati strumenti di dileggio, diffamazione, guerre verbali senza quartiere, scorribande di truppe cammellate a sostegno dell’uno o dell’altro.

 

Non è in discussione lo strumento social network, che in situazioni di emergenza o di eventi tragici ha dimostrato di poter essere di grande utilità, bensì chi lo utilizza e come.

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Nel caso della campagna elettorale che sta per concludersi, è grande il senso di sconforto che attanaglia chi dovesse avere la cattiva idea di avventurarsi nel seguire le diatribe tra le fazioni opposte. Un’arena sanguinolenta in cui persone reali e profili falsi riescono a dare tutto il peggio di se stessi, pur di centrare l’obiettivo di distruggere gli avversari, anzi i nemici. Uno spettacolo indegno, che fa torto e annulla le ragioni dei contendenti che si disputano la conquista dello scranno in consiglio comunale o di sindaco.

 

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Una violenza praticamente fuori controllo che lascerà, e sta già lasciando, inevitabili strascichi pesanti su rapporti di amicizia decennali, sui rapporti tra diverse classi sociali, che fino a ieri erano state azzerate nel nome della crisi e di decenni di lotta. Che trovano addirittura rinnovato vigore nella contrapposizione anacronistica tra laureati e operai, tra liberi professionisti e impiegati, tra cattolici veri e cattolici all’acqua di rose. Una operazione incredibilmente riuscita di resurrezione delle categorie sepolte dalla storia. Con una contrapposizione tra orgoglio cafone e orgoglio radical-chic, inventata di sana pianta, che però solletica evidentemente malumori mai sopiti, nervi scoperti.

La parola è l’arma acuminata, anche sgrammaticata ma non importa, usata dai guerriglieri da tastiera che colpiscono gli aspiranti politici/amministratori locali, con azioni da guerrilla marketing, o se preferite da terroristi islamici. Il risultato è uno solo: chi vincerà rischia di ritrovarsi davanti un cumulo di macerie fatto di rapporti umani distrutti, di coesione sociale saltata, di comunità che avranno perso ogni forma di solidarietà, trasformandosi in curve di uno stadio di calcio piene di hooligans.