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Bartolomeo Patriarca Ecumenico scrive
al Summit delle Chiese d'Oriente a Bari

Il Messaggio che il Patriarca ecumenico Bartolomeo ha inviato al Summit Intercristiano organizzato a Bari dalla Comunità di Sant'Egidio e Arcidiocesi di Bari-Bitonto.

Il Messaggio è stato letto durante la Preghiera ecumenica per la pace, che si è tenuta nella Basilica di San Nicola a Bari, alla fine della prima giornata di lavori.                                     

"Salutiamo calorosamente l'iniziativa della Comunità di Sant'Egidio e dell'Arcidiocesi di Bari che, tra l'altro, tende a sottolineare l'urgenza di proteggere i cristiani d'Oriente. Nel momento in cui gli illustri partecipanti di questo incontro si trovano a Bari, la situazione dei nostri fratelli e sorelle in Oriente non fa che aggravarsi. L'impegno di tutti in loro favore è dunque essenziale.

Tuttavia, il nostro obiettivo intende andare oltre le denunce, anche se ciò è importantissimo per mobilitare la comunità internazionale, ma insufficiente per rispondere alla tragedia che ogni giorno offre un nuovo volto all’orrore. Anche se è necessario sottolineare la mobilitazione globale per salvare i cristiani d'Oriente da un destino funesto, dobbiamo chiederci come definire la loro scomparsa. Questa tragedia è umana. È una questione di portata storica e di civiltà allo stesso tempo. La minaccia della loro scomparsa è globale, reciderebbe anzitutto le radici spirituali necessarie per l'ispirazione di un'epoca attraversata da profondi cambiamenti.

Bartolomeo Francesco
 

Utilizzata indiscriminatamente, l’espressione “cristiani d'Oriente” ha perso la sua chiarezza, utilizzata per le rappresentazioni che l'Occidente si fa di loro. Non si tratta di rappresentanti del cristianesimo resi vulnerabili da contingenze geopolitiche che distruggono un'intera regione. Non possiamo ridurre la loro essenza alla loro debolezza. Al contrario, essi sono soprattutto gli eredi del cristianesimo originario forgiato nel paesaggio del Mediterraneo orientale che hanno saputo, con le loro tradizioni spirituali, linguistiche, culturali, con la loro saggezza, plasmare ciò che il cristianesimo mondiale e contemporaneo è diventato. Certo, il termine “cristiani d'Oriente” è tributario della comparsa di una “questione d’Oriente” nel XIX secolo. Quest'ultima segna prematuramente l'aspetto distorto che le potenze hanno rivolto al sistema multi confessionale ereditato dall'Impero Ottomano. Infatti, le condizioni del nazionalismo non vi si applicano che artificialmente. Sia che prevalga il modello di Fichte o quello di Renan, la fusione tra le identità etnico-religiose e il loro territorio, forma una relazione con la diversità che non può essere modellata per analogia a quella dell'Europa.

Infatti, la memoria di cui sono portatrici le comunità cristiane d'Oriente, a primo titolo il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, così come molte antiche Chiese ortodosse (i Patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme), questa memoria porta le tracce di una coesistenza con il mondo musulmano che non è più accettabile agli occhi dei fondamentalisti. Come è stato osservato da molti accademici e studiosi dei cristiani orientali, questi ultimi sono mediatori nel tempo e nello spazio delle società in cui si trovano. Per mediatore, intendiamo dire che ci sia una intelligenza spontanea che consente rapporti pacificati con le società a maggioranza musulmana in quanto queste stesse società hanno la capacità di comprendere la modernità a partire dal loro pluralismo tradizionale. Le reazioni alla modernità hanno portato il radicalismo musulmano a vedere nelle comunità cristiane dei vettori di secolarizzazione che amplificano l’alterità religiosa di cui sono portatrici. Eppure, non sono esse native della regione, per non dire “naturali” in quella zona? La frontiera religiosa, quindi, agisce come un potente limite immaginario e simbolico, spesso forte come le demarcazioni politiche. Il futuro dei cristiani d'Oriente risiede nel salvaguardare la loro azione di mediazione nei confronti del radicalismo di alcuni musulmani che li considerano come cavalli di Troia dell'Occidente. Ciò equivale a misconoscere la vita dei cristiani orientali e il loro profondo senso di libertà e la loro enorme capacità di resilienza.

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Un'altra difficoltà nella percezione concreta del futuro di queste comunità consiste nella grande varietà dei contesti. Questa diversità è proporzionale alla semplice menzione dei paesi e delle comunità in questione: Egitto, Siria, Libano, copti, greco-ortodossi, cattolici, protestanti, siriaci, caldei, armeni, etiopi, etc. Le variazioni sono molte e il mosaico complesso. Inoltre, dinanzi a questo nodo gordiano di confessioni, la risposta delle potenze che si impegnano al fianco dei cristiani d'Oriente può essere data soltanto considerando le loro realtà, anche quando queste ultime non vanno nel senso delle opzioni politiche scelte.

La nostra diagnosi non è assoluta, ma essa intende soprattutto sollecitare la comunità internazionale ad accettare le particolarità di queste comunità che sono a loro così vicine e così lontane allo stesso tempo. Consideriamo con grande interesse la proposta sostenuta dalla Francia presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di una carta di azione per i cristiani d'Oriente. Speriamo solo che la sua applicazione rapida e concertata con tutti gli attori regionali possa arginare l'emorragia tragica che li riguarda.

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Infine, vorremmo sottolineare che una soluzione politica per il futuro dei cristiani d'Oriente potrà positivamente avvalersi del quadro ecumenico ricordato durante il nostro incontro con Papa Francesco il 30 novembre 2014 a Istanbul, giorno della festa patronale del Patriarcato Ecumenico. “L’ecumenismo del sangue” e le “sofferenze” redentrici costituiscono una nuova realtà nella nostra ricerca dell'unità dei cristiani. La crisi che attraversa il Medio Oriente può servire come un kairos ecumenico. Perché nel sangue e nelle lacrime si costruisce la consapevolezza di un destino comune atto ad alleviare le sofferenze della separazione.

In conclusione, vogliamo sottolineare ancora una volta che il Patriarcato ecumenico, ben consapevole del suo ruolo storico come rappresentante di queste comunità, invita la comunità internazionale ad agire in conformità al diritto internazionale perché i cristiani d'Oriente non diventino solo un capitolo nei manuali di storia che racconta della loro inesorabile scomparsa. I cristiani d'Oriente sono le “pietre vive” di una regione che ha forgiato la sua storia nel pluralismo degli scambi e dei contatti commerciali, ma anche intellettuali e soprattutto spirituali. Oggi, il fondamentalismo si erge contro questa lettura multisecolare. Una lotta globale contro il fondamentalismo assicurerà la loro presenza permanente in questa regione del mondo in cui è stato coniato il nome “cristiano”.

Augurandovi un buon lavoro, preghiamo perché la pace e la stabilità, assenti per troppo tempo nella regione, vi facciano ritorno e consentano l'apertura di una nuova era di dialogo e di convivenza".

Fanar, Aprile 2015

Patriarca Ecumenico Bartolomeo I +

Intercessore fervente davanti a Dio