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Bif&st, Comico e Drammatico: le Masterclass di Cortellesi e Herlitzka

ll’insegna del “Comico & Drammatico”, quasi un implicito omaggio a Monica Vitti, l’avvio delle Masterclass del X Bif&st con Paola Cortellesi e Roberto Herlitzka

All’insegna del “Comico & Drammatico”, quasi un implicito omaggio a Monica Vitti, l’esordio delle Masterclass del 10° Bif&st al Teatro Petruzzelli, con Paola Cortellesi e Roberto Herlitzka, che - nei primi due appuntamenti mattinieri del Festival - hanno raccontato la genesi di “Come un gatto in tangenziale”, e del più recente “Ma che ci dice il cervello”, per una delle attrici più amate e di maggior successo del recente cinema italiano; e svelato il lato ironico e simpaticamente contagioso di uno dei ‘mostri sacri’ del Teatro italiano.

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“Un premio intitolato a Fellini, consegnato su un palco prestigioso come questo e con una tale motivazione: vabbè, io ora vi saluto e me ne vado a casa!”, ha esordito, con la sua sconfinata simpatia, Paola Cortellesi, Il Federico Fellini Platinum Award le è stato consegnato dal Direttore Felice Laudadio, eccezionalmente al mattino, dovendo l’attrice lasciare di corsa Bari per motivi di lavoro. Ma c’è stato ugualmente il tempo per intrattenersi per rispondere alle domande del regista David Grieco e del pubblico, al termine della proiezione di “Come un gatto in tangenziale”, uno dei film che hanno incoronato l’attrice come “regina del box office” (altro grande successo si è rivelato anche il suo ultimo film - attualmente sugli schermi - “Ma cosa ci dice il cervello”).

Proprio dal film interpretato accanto ad Antonio Albanese è iniziata la conversazione, ovvero dagli spunti che hanno ispirato la commedia che racconta l’incontro/scontro tra un intellettuale borghese della “Roma bene” e una giovane madre della periferia romana più complessa e degradata.

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“Il film è nato da una esperienza personale che ha visto me e mio marito, il regista Riccardo Milani - ha dichiarato Paola Cortellesi - alle prese, alcuni anni fa, con una storia tra la seconda figlia del suo primo matrimonio e un ragazzo del quartiere Bastogi, un quartiere di Roma molto duro con un’alta presenza di criminalità. Con Riccardo eravamo inizialmente un po’ preoccupati poi abbiamo capito che stavamo discriminando luoghi e persone”.

“Anche i genitori del ragazzo erano diffidenti, poi ci siamo conosciuti ed è andata molto bene. Da questo pensiero è nata l’idea del film. In quanto al mio personaggio l’ho scritto sulla base di persone vere, è la somma di tante donne che ho conosciuto, anche le mamme delle mie compagne di quando vivevo in periferia. Quello utilizzato nel film è un linguaggio che conosco, non ho avuto alcuna difficoltà a replicarlo”.

A Bastogi, Paola Cortellesi ha stretto anche un rapporto con le due sorelle Alessandra e Valentina, le ‘borseggiatrici’ del film che pochi mesi fa sono state nuovamente arrestate per furto aggravato. “Inizialmente i loro personaggi non erano nemmeno nel copione, le abbiamo conosciute a Bastogi durante i provini che abbiamo fatto con vari abitanti del quartiere e ci hanno colpito al punto da farci modificare la sceneggiatura. Ora io sono un po’ arrabbiata con loro, mi avevano promesso che non avrebbero fatto più quello che facevano e spero che ci riescano prima o poi”.

Sono temi importanti, quelli trattati in “Come un gatto in tangenziale” come pure quelli di “Ma che ci dice il cervello” che, sotto la scorza della commedia, tratta della crescente aggressività presente nella società di oggi e della delegittimazione delle competenze.

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“Siamo nel solco della commedia all’italiana” ha osservato l’attrice. “A me piace il cinema comico e ho fatto anche diversi film comici ma la commedia offre la possibilità di affrontare anche aspetti tragici, le miserie, l’ignoranza, di parlare del reale ma con ironia. La commedia sociale ti lascia ironizzare sulle cose, il che non significa essere superficiali. Parlare di cose brutte con ironia è difficile, quando ci riusciamo è importante perché il pubblico ride, si diverte ma ha anche spunti per dialogare. È bello fare un cinema popolare e nello stesso tempo utilizzarlo come un cavallo di Troia per veicolare certi contenuti. Certo, poi c’è Checco Zalone che è bravissimo, invece, a unire cinema comico e commedia, a fare ridere di pancia e nello stesso tempo fare un’analisi sociale, che lo spettatore può ritrovare se va in profondità. Lui sì che accontenta tutti”.

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Più intime le riflessioni sulla scelta di intraprendere la carriera di attrice: “Sono sempre stata una persona molto curiosa cui piace fare cose molto diverse. Da giovanissima, avevo la possibilità di diventare una cantante ma avrei dovuto scegliere un solo genere mentre fare l’attrice consente di fare tutto, di vivere tante vite. In quanto al cinema, all’inizio della mia carriera facevo molta televisione e mi dicevano che per il cinema ero troppo televisiva. Poi ho fatto tanto teatro e mi dicevano che ero troppo teatrale per il cinema. Quando ho cominciato a fare cinema ho pensato quindi non tanto di giocare sulla fisicità ma sul registro, quello dell’umorismo, che storicamente è sempre stato prerogativa degli attori uomini, Monica Vitti è stata una felice eccezione”.

“Oggi ho la possibilità di essere una protagonista: sono grata ai produttori per questo ma devo dire che il varco me lo sono aperta da sola, con la mia ‘tigna’ e il mio team con cui lavoro alle sceneggiature. Spero che in futuro le donne non debbano essere ostinate come lo sono stata io per raggiungere questo obiettivo”.

Nel corso dell’incontro, Paola Cortellesi e David Grieco hanno ricordato anche Raffaella Fioretta, che del Bif&st è stata per tanti anni Responsabile del Cerimoniale e che è scomparsa alcuni mesi fa. Riccardo Milani, che era suo amico, le chiedeva spesso di apparire con un ‘cameo’ nei suoi film: così anche in “Come un gatto in tangenziale”, appunto.

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Roberto Herlitzka, invece, ha dialogato con il critico Fabio Ferzetti, nella Masterclass seguita alla proiezione di “Sette opere di misericordia” dei fratelli De Serio, sempre al Teatro Petruzzelli, dove in sera ha ricevuto il Federico Fellini Platinum Award del Bif&st 2019, con una lunghissima e affettuosa standing ovation.

A dispetto della gravità e della dolenza che esprimono il suo volto e la sua voce nei tanti ruoli da lui interpretati al cinema e in televisione, Roberto Herlitzka è un uomo spiritoso e che ama ridere. Lo ha scoperto il folto pubblico del Petruzzelli, che lo ha visto rispondere alle domande del critico Fabio Ferzetti, chiudendo quasi immancabilmente ogni ragionamento, anche il più complesso, con una battuta, seppure a mezza bocca.

Lui stesso ha ammesso quanto, a fianco di grandi registi come Antonioni, Rohmer e Fellini, egli sia sempre stato attratto dai comici. “Amo il cinema comico, sì, perché ridere mi fa stare bene. Mi divertono i film di Woody Allen, di Jerry Lewis, di Jacques Tati, soprattutto di Charlie Chaplin. E poi sono un entusiasta di Maurizio Crozza. In fondo sono anche io un po’ comico, soprattutto quando sono drammatico”.

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Intensamente drammatico era il ruolo da lui interpretato nel film che è stato proiettato prima della Masterclass, “Sette opere di misericordia” (2011) dei fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio, un uomo claudicante, forzatamente laconico per via di una malattia alla gola. Un film che non ha avuto molta fortuna, al tempo dell’uscita nelle sale, ma che ha ricevuto numerosi premi internazionali. “Io ho fatto diversi film di nicchia, in effetti, ma non scelgo mai in base al successo che potrebbe avere una pellicola quanto piuttosto ai ruoli che mi vengono proposti, anche marginali per quanto riguarda il cinema mentre a teatro scelgo solo i ruoli da protagonista. Dopodiché capita che questi film siano spesso diretti da giovani, anche esordienti, il che va benissimo.”

L’approccio ai personaggi, la preparazione ai ruoli, i rapporti con i registi, le differenze sul recitare al cinema o in teatro, i suggerimenti per chi vuole intraprendere la carriera di attore (“Tanto studio e tanta dedizione, come per tutte le forme d’arte”).

Sono stati tanti gli argomenti affrontati nel corso dell’incontro, ma una parte rilevante è stata dedicata al suo rapporto con Marco Bellocchio, che lo ha diretto in uno dei suoi ruoli più memorabili, quello di Aldo Moro in “Buongiorno, notte”: “Soltanto con la sua stessa presenza sul set, Bellocchio porta gli attori a fare quello che si deve fare per ottenere un risultato artistico. Prima di ‘Buongiorno, notte’ mi aveva già contattato per altri film ma poi non mi ha preso. Con il film sul rapimento Moro, poi, la mia parte si è addirittura ampliata durante le riprese, rispetto alla sceneggiatura. Con Bellocchio c’era stato una sorta di tacito accordo, per cui io non dovevo imitare Moro ma calarmi nei panni di un prigioniero condannato a morte, solo la frezza bianca riconduceva al personaggio reale”.

Roberto Herlitzka ha raccontato che il momento in cui ha deciso di intraprendere la carriera di attore fu quando, ancora ragazzino, assistette ad un’opera del ‘700 rappresentata al Conservatorio di Torino, la città dov’è nato e cresciuto. “Alla fine dello spettacolo gli attori uscirono in scena per gli applausi e io ne rimasi molto colpito, chissà perché”.

Da allora, ha raccontato, ogni volta che entra in scena per farsi coraggio ripete a sé stesso: “’Io volevo fare l’attore, vivo per fare l’attore’. Non è un fatto scaramantico ma qualcosa di profondo, di molto intimo”.

“Voglio fare l'attore. Vita e teatro di Roberto Herlitzka” è in effetti il titolo di un libro da poco uscito a lui dedicato del quale Fabio Ferzetti ha estrapolato una frase “Io volevo diventare un Divo del Cinema”. “Lo vorrei ancora!”, ha commentato l’attore. Al termine dell’incontro, un gradito regalo agli spettatori con la lettura del racconto “Undici figli” di Franz Kafka, conclusa con un’altra standing ovation.