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Bif&st, Garrone e Diritti vivacizzano le masterclass al Teatro Petruzzelli
Matteo Garrone con 'Io capitano' e Giorgio Diritti con 'Lubo' hanno vivacizzato il B9f&st a Bari.
L'applauso parte già forte ai titoli di coda di "Io capitano" e si trasforma in una lunghissima standing ovation quando, accompagnato dal direttore del Bif&st Felice Laudadio, Matteo Garrone fa il suo ingresso nella platea del Teatro Petruzzelli. "La più bella accoglienza di tutta la mia carriera" ha commentato, visibilmente emozionato.
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Due settimane fa il regista romano era al Dolby Theatre di Los Angeles alla Cerimonia degli Oscar, dove "Io capitano" correva per la statuetta al miglior film straniero. E per il suo primo incontro con il pubblico italiano, dopo il suo soggiorno americano, ha scelto Bari e il suo Bif&st, dove, sempre al Teatro Petruzzelli, ha ricevuto il Premio Mario Monicelli per il miglior regista italiano e il Federico Fellini Platinum Award.
E non si poteva non partire che da un suo commento sul mancato Oscar, richiesto dal moderatore David Grieco. "Onestamente avremmo potuto vincerlo se avessimo avuto la stesse possibilità degli altri concorrenti ma così non è stato. Per arrivare a vincere l'Oscar bisogna avere fatto campagne di promozione lunghe e costose sostenute da distributori importanti, e non era il nostro caso. Anche alcune uscite negli Stati Uniti e in Inghilterra sono state sbagliate nei tempi”.
“Nessuno ci aveva detto che cosa avremmo dovuto veramente fare, come ad esempio iscrivere il film in tutte le categorie. Abbiamo scoperto che agli Oscar non si parte tutti dalla stessa posizione. Ci sono 10.000 votanti nella fase finale ed era per noi pressoché impossibile farlo vedere a tutti. Mi resta un po' di rammarico, perché avevamo tutte le carte in regola però pensiamo anche a come gli inglesi, ad esempio, annoverino più di 900 votanti mentre i votanti italiani sono poco più di un centinaio. Insomma c'erano tutta una serie di fattori che andavano a nostro svantaggio. Ma qualcuno, lì, mi ha detto che era sorpreso che Seydou Sarr, per esempio, non fosse stato candidato come migliore attore protagonista".
Sulla durezza di molte immagini e situazioni del film, Garrone: "La realtà è ancora più dura e quindi ho dovuto lavorare in sottrazione perché se mostravamo con maggiore realismo quanto accade veramente durante i viaggi dei migranti africani, paradossalmente rischiava di passare per falso".
In quanto ai personaggi: "Ho cercato di umanizzare i numeri perché dietro i numeri che leggiamo sui giornali ci sono persone come noi, come i nostri figli, persone che hanno dei sogni, di avere qualcosa in più di quello che hanno. Poi, rispetto al passato, oggi c’è l'elemento della globalizzazione, con i social che diffondono immagini che sono false promesse, sogni illusori".
Tiziana Rocca, Matteo Garrone e il cast di "Io Capitano"Guarda la gallery
"Pensavo a questo film da 8 anni finché non ho capito che avrei potuto farlo solo stando sempre insieme a coloro che hanno vissuto realmente le tragiche situazioni nei quali si ritrova chi emigra. Potrei dire che l'ho co-diretto, quando addirittura non sono stato spettatore di riprese dirette da loro. Mi sono posto come un intermediario al servizio delle loro storie e dei loro racconti, ed è così che ne è nato un film che considero vero, sincero. A questo proposito mi viene in mente che una delle tante disavventure produttive che ho vissuto per fare questo film è stata anche la bocciatura di Eurimages, il fondo europeo che fino ad allora aveva sostenuto tutti i miei film. Mi è stato detto poi, informalmente, che la bocciatura era dovuta al fatto che era sbagliato, secondo i membri della commissione, trattare un tema così drammatico come se fosse un film d'avventura!".
Sui suoi giovani protagonisti: "La forza del film è nella forza dei suoi attori, sopratutto Seydou e Moustapha. Voglio raccontare un episodio legato alla scelta di Seydou. Moustapha, all'epoca del casting, frequentava già una piccola scuola di recitazione mentre Seydou non aveva mai recitato prima, benché sia la madre che la sorella erano attrici amatoriali. Il sogno di Seydou, e lo è ancora adesso, è solo quello di giocare a calcio e infatti il giorno del casting a Dakar, ai quali la madre aveva tanto insistito partecipasse, lui non si è presentato, preferendo andare a giocare. Quando la sorella se n’è accorta è andata subito a recuperarlo al campo di calcio, ma quando sono tornati nel luogo del casting, erano già entrati tutti quelli che potevano entrare, così hanno preso un taxi per tornare a casa. Durante il tragitto, però, Seydou si è accorto di avere dimenticato le chiavi di casa nel luogo del casting e così sono tornati indietro. E una volta lì, è stato notato e invitato ad entrare. Selezionato per una seconda seduta di provini, ancora una volta non voleva andare, la mamma ha tanto insistito, e poi è andata com’è andata. Il finale di "Io capitano", in fondo, esprime metaforicamente anche la sua vittoria contro le sue insicurezze".
Quale la più grande difficoltà durante le riprese del film? "Sicuramente girare senza capire quello che dicevano gli attori, io non so parlare il Wolof! Però ho pensato che se poi avessi scoperto che qualche battuta che veniva pronunciata non corrispondeva a quella del copione, avrei potuto aggiustarla con i sottotitoli. Fortunatamente non è successo anche perché rischiavo di fare una figuraccia!".
"Io capitano" prosegue il suo viaggio attraverso il mondo. "Ad aprile saremo in Senegal per un tour che partirà da Dakar e poi prevede varie tappe nel paese con caravan e attrezzature per la proiezione nel luoghi dove non esistono le sale cinematografiche, proprio come si usava una volta!".
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Lunga durata - quasi tre ore, che non hanno scoraggiato il pubblico del Bif&st, accorso in buon numero - per la proiezione di "Lubo" di Giorgio Diritti, a cui è seguito l'incontro con Maurizo De Rienzo.
"Con questo film - ha esordito il regista di "Il vento fa il suo giro" e "Volevo nascondermi" - ho ribadito quanto sia importante per me raccontare la diversità, nella prospettiva di convivere anche nelle differenze, perché la diversità aiuta ad arricchire la società. E, insieme, ho espresso la mia attenzione alle giovani generazioni, al dovere di lottare per difendere il futuro dei figli e dei nipoti, a non arrendersi. Nella vicenda di "Lubo" c’è anche qualcosa di autobiografico, perché è vero che io sono di Bologna ma i miei genitori erano istriani e hanno subito, come altri miei parenti, la fuga forzata dal loro paese per motivi etnici. Ricordo, quindi, che la comunità degli jenisch, cui fa parte il protagonista, ha subito una persecuzione simile a quella degli ebrei, dei Rom e dei sinti negli anni del nazismo, persino in un paese ritenuto civile e neutrale come la Svizzera”.
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Quali le differenze del film dal romanzo "Il seminatore" di Mario Cavatore da cui è tratto? “Dopo avere letto il romanzo, insieme al mio co-sceneggiatore Fredo Valla abbiamo cercato di capire cosa volevamo mettere in luce del racconto. Nel romanzo si raccontano tre generazioni che corrispondono a diversi personaggi ma noi abbiamo deciso di concentrarci sulla storia di Lubo, protagonista della prima parte del romanzo, per poi fare prendere al film tutt'altra direzione. Abbiamo messo al centro un uomo che subisce una ingiustizia e che, pur nel suo impulso di vendetta, insieme alla ricerca dei suoi figli cerca anche il senso della sua vita, un aspetto che non era molto presente nel romanzo. Sono passati quasi 10 anni dalla lettura del romanzo al momento delle riprese e questo si è rivelato un vantaggio in un lavoro così complesso, dava la possibilità di lasciare sedimentare alcune cose per poi riprenderle e migliorarle”.
Sulla scelta del protagonista Franz Rogowski: “Siamo partiti da una ricerca ad ampio spettro, sia in Italia e che all'estero. Sapevamo comunque che l'attore avrebbe dovuto parlare tre lingue, possedere agilità fisica e un certo fascino. Quando mi è stata sottoposta una foto di Rogowski mi sono ricordato di averlo già visto, tra gli altri in "La vita nascosta" di Terrence Malick, e aver notato quello sguardo molto forte ed incisivo che cercavo, nonché la capacità di essere credibile sia muovendosi nel mondo dell'aristocrazia elvetica del tempo che di quello degli artisti di strada. Mi ha sorpreso, inoltre, la sua gamma di espressioni che potevano mutare nel giro di un attimo”.
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“Anche in questo film c’è una grande attenzione agli ambienti, intesi sia come paesaggi che luoghi, perché l'ambiente talvolta esprime più di quanto non possano fare le parole, soprattutto sul lato emotivo. Bene i dialoghi, quindi, ma nel percorso che sto facendo con i miei film mi sforzo di suscitare emozioni a prescindere da loro”.
Maurizio De Rienzo ha osservato come la lunga durata dei film sia diventando sempre più una tendenza tra i grandi autori. "Nel nostro caso, devo dire che, in fase di sceneggiatura, stimavamo una durata minore poi, tra riprese e montaggio, siamo arrivati alla durata attuale. Ma io penso che sia un fatto positivo, perché in alcuni casi non si può mettere un contenuto sostanzioso in un piccolo recipiente. L'importante è che gli spettatori non si siano stufati...".
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Sul suo prossimo progetto: "Sto galleggiando tra almeno tre idee diverse, anche pensando al periodo difficile che stiamo vivendo. Non è che io dico: ‘adesso faccio un film’, ma che voglio fare un film che, in quale modo, serva al mondo e alla società. E sto ancora cercando di capire qual è la strada giusta”.
A Giorgio Diritti è stato conferito al Teatro Petruzzelli il Premio Furio Scarpelli per la migliore sceneggiatura scritta insieme a Fredo Valla.
(gelormini@gmail.com)
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Pubblicato sul tema: Bf&st, 'Lubo' di Giorgio Diritti visto da Silvia Viterbo