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Bif&st, 'Opus' il ritorno di John Malkovich e il Premio a Francesca Comencini
Il Premio a Francesca Comencini del BIF&ST, prima di accendere 'Rosso di Sera' con OPUS di Mark Anthony Green - A24 con John Malkovich.

In un contesto variegato come gli anni Sessanta, tra boom economico, nouvelle vague, e preludio dei rivoluzionari anni ‘70, il cinema italiano è in crisi. È il 1961 e “A cavallo della tigre” di Luigi Comencini rovescia i valori morali più comuni. Insuccesso commerciale clamoroso, il film comportò lo scioglimento della cooperativa Age-Scarpelli-Comencini-Monicelli.
A raccontarlo è stata la stessa Francesca Comencini, regista e figlia del Maestro, durante l’incontro di Cinema al Teatro Petruzzelli nell’ambito del Bif&st 2025, prodotto da Apulia Film Commission e diretto da Oscar Iarussi. Incontro moderato da Angela Prudenzi.

Il film, proiettato nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, contiene un ingrediente fondamentale per la riuscita di una sceneggiatura: il paradosso. Infatti, “A cavallo della tigre” racconta di un’evasione anticonvenzionale, Giacinto Rossi, il protagonista, è un evaso che non vuole evadere, che in prigione in fondo sta bene perché non deve fare i conti con i problemi della vita quotidiana. Il personaggio è corrotto dal pressante bisogno di soldi che lo porterà a tradire sul finale il suo “non-amico” Tagliabue.
Lo spaesamento dei due diventa evidente nel momento in cui arrivano in città e hanno difficoltà persino ad attraversare la strada; è un mondo che ha accelerato e va più veloce di loro, personaggi che non sanno né muoversi né inserirsi nel flusso, forse solo seguirlo in affanno. Il tragico prevale sul comico, in una sequenza infinita di peripezie che riflette i paradossi della nostra società, “labirinto di brutalità”.
“Questa è una storia ottimista scritta da pessimisti. Con il suo carico di pessimismo, tuttavia, il film non è una storia deprimente. È un pessimismo felice. E i personaggi hanno in comune qualcosa che li riscatta sempre: l’ingenuità. Sono dei cattivi amati dagli autori che li hanno inventati. È uno dei miei film preferiti per questo”, ha letto Francesca Comencini, dando voce alle frasi scritte da suo padre.

“Se è un film politico? No, perché per esserlo dovrebbe suscitare definitive condanne morali. Ma se creare e amare degli abbandonati, dei disperati, lo rende politico, allora sì, lo è” continua nella lettura Comencini. La regista non potrebbe trovarsi più d’accordo con suo padre; d’altra parte è stata proprio lei, con la serie d’azione Gomorra, a ribaltare il luogo comune secondo cui le registe donne non possano fare film 'scomodi'."
“Si possono fare film politici anche senza la particolare intenzione di farli, perché un film non si fa con le buone intenzioni ma con il buon racconto. La politica attraverso il cinema era molto comune in quella generazione di registi”, ha affermato la regista grata al Bif&st per averle dato una grande occasione: “guardare al passato con la consapevolezza del presente, conoscendo cosa c’era prima per capire cosa siamo oggi.” È un invito che rivolge a tutti: “ricordare, ma senza nostalgia”.
“Il film ci dà una grande lezione: insegna a guardare a mondi contraddittori, anche lontani, da vicino e senza pregiudizi", ha spiegato commentando la forte tensione etica della pellicola,con un’apertura verso i giovani al cinema, le donne registe, e l’uso dei cellulari per le riprese, Francesca Comencini guarda al futuro con positività e innovazione, sperando in una maggiore accessibilità per i ragazzi, affinché fare cinema non sia più considerato “un mestiere per privilegiati”.

A chi vuole fare questo mestiere, ha suggerito di rompere la solitudine e ha ricordato teneramente le riunioni di sceneggiatura spesso tenute a casa sua: suo padre e altri autori imitavano le voci dei personaggi, ne inscenavano i dialoghi, con un perenne e forte spirito di squadra.
“Consiglio di non rimanere soli, di creare delle reti, condividere, confrontarsi. Sperimentate. Tutto oggi è fatto per isolarci: le serie tv, le piattaforme; invece, vedere i film al cinema, in tanti, è importante!”. Alle donne, per concludere, raccomanda di dar voce al loro punto di vista, per troppo tempo rimasto nel silenzio. “Siamo state la storia da sempre, approfittiamone. Raccontiamolo ora”.
Nella sezione Pomeriggio al Petruzzelli l’atteso documentario Le lezioni della storia. Luciano Canfora e Laterza da Bari di Massimo Ruggiero, e a seguire l’incontro, moderato da da Annamaria Minunno, con Luciano Canfora, Maria, Giuseppe e Alessandro Laterza.

Per arrivare in serata alla consegna dei premi: “Bif&st Arte del Cinema” alla stessa Francesca Comencini, e “Per il Cinema Indipendente Nico Cirasola” ad Antonietta De Lillo; e per la sezione Rosso di sera alla visione del film "Opus" di Mark Anthony Green, presente in sala, che ha presentato il suo lavoro per la prestigiosa A24 invitando il pubblico a godere dello spettacolo in simbiosi comunitaria. Stimolando la condivisione delle emozioni, attraverso lo scambio di impressioni: "E se alla fine avrete delle delle domande da fare - ha esortato il regista - fatevele fra di voi, perchè io di ripsoste non ne ho!".
La pellicola racconta la leggenda di Alfred Moretti, fenomeno musicale a livello globale, che, con la sua vita, ha ispirato e incuriosito innumerevoli appassionati, soprattutto dal suo ritiro dalle scene. Con una storia che ruota attorno alla popstar immaginaria (interpretata con la consueta maestria da John Malkovich), di ritorno sulle scene dopo oltre vent'anni. Per lanciare in anteprima il suo nuovo e attesissimo album, Moretti organizza uno strano ed esclusivo ritiro stampa, in un ranch isolato, dove invita un ristretto gruppo di critici, giornalisti, influencer musicali. Tra loro c'è la giovane Ariel (Ayo Edebiri) che presto si renderà conto di essere precipitata dentro una situazione sempre più angosciante e pericolosa, senza la possibilità di comunicare con il mondo esterno e dovendo sottostare a regole coercitive e sospette.

Il film di Green si concentra sulla relazione tossica tra l'artista e il suo pubblico adorante, e sulle manipolazioni diffuse nel contesto sociale oltreoceano, a cui la presenza magnetica di John Malkovich fornisce e garantisce l'aura misteriosa cercata e imposta dal cantante-guru Alfred Moretti. Molto brava nei panni di Ariel l'emergente e talentuosa Ayo Edebiri.
In un crescendo di tensione il film disvela, in maniera cruda e per certi aspetti morbosa, come una comunità possa frammentarsi in bolle sempre più autoreferenziali, nelle quali si tende più facilmente a mettere sull'altare un idolo e a radicalizzare la propria visione del mondo.
(gelormini@gmail.com)