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Carlo Bini ‘il tenore contadino’
l’ugola melodiosa di Padre Pio
Il racconto autobiografico sotto forma di intervista che il tenore Carno Bini ha affidato a Nina Ferrari.
Il racconto autobiografico sotto forma di intervista che il tenore Carlo Bini ha affidato a suo tempo alla cura di Nina Ferrari è diventato un libro-testimonianza di una vicenda socio-musicale dal forte taglio meridiano: “Carlo Bini - Il mio canto per cielo”, Fede & Cultura Edizioni, 2024.
La storia incredibile di una classica “pietra di scarto” che diventa “testata d’angolo” nel controverso mondo del Sud Italia, prima, e dell’Universo musicale poi. Una storia fatta di arie, profumi ed effluvi - quelli della pescheria di famiglia a Santa Maria Capua Vetere (Ce), resi piacevoli dalla freschezza del prodotto e “vivi” dal timbro lirico di suo padre, Antonio Bifone - che si incrociano con le traiettorie e le geometrie disegnate con maestria sul panno verde dei biliardi, per creare le premesse solide al destreggiarsi tra la metrica di versi e ritornelli, elevando al cielo il canto di melodie, armonie e persino dissonanze.
Un complesso e articolato gioco di sponda, anche tra le righe del pentagramma, curato con meticolosa applicazione e un costante esercizio formativo, per raggiungere il gorgheggio più arabescato e cogliere l’acuto più alto, tenendo col fiato sospeso le platee dei teatri più famosi: in pratica, continuare a mandare in buca - metaforicamente - la pallina di una vita sfaccettata, che ha continuato a scorrere tra acchiti, colpi di testa, al centro o sotto, nonché collisioni, filotti ed effetti funambolici.
Un percorso segnato dal profondo legame declinato - al tempo stesso - al singolare e al plurale: Mino Campanino e Carlo Campanini, per imparare a “recitar cantando” e a esplicare le parole, coltivando dizione e intonazione, che lo porteranno a conoscere prima Beniamino Gigli: “Avevo di fronte a me la storia della lirica. Era come se avessi conosciuto Enrico Caruso”, e poi ad incontrare Padre Pio.
Una svolta. Che comincia in maniera scioccante a San Giovanni Rotondo in Puglia, quando il frate lo caccia a malo modo, per stimolarne reazione e ravvedimento concreto; assume risvolti fiabeschi quando, allo Sferisterio di Macerata, Carlo Bini si ritroverà a sostituire inaspettatamente nientemeno che Luciano Pavarotti in "Lucia di Lammermoor" di Gaetano Donizzetti, cantando con Renata Scotto; fino a raggiungere in pochi decenni il successo planetario nei teatri d’Opera, esibendosi a fianco di artiste come Monserrat Caballé e maestri come Carlos Kleiber, Claudio Abbado e Riccardo Muti.
Un percorso di conversione e di miglioramento personale, coronato col successo di un trittico di debutti pucciniani: al San Carlo di Napoli “Madama Butterfly”, con un Pinkerton che cantava - facendo presa sul DNA canoro di famiglia - per la prima volta sotto lo sguardo compiaciuto di suo padre; a Stoccarda con “La Bohème” e a New York (1975) con “Manon Lescaut” che, per antitesi, gli rievocava la filosofia del portone di sua madre Teresa: legata saldamente al contesto rionale del suo cortile e del portone di casa, dove gli amici e i vicini si affacciavano chiedendole dei ‘carciofi’ che stava preparando per suo figlio diventato famoso.
Radici forti ancorate nell’entroterra casertano e condivise con Roberto d’Angiò (Sovrano del Regno di Napoli), Frank Matano (comico e attore) e Pina Picierno (europarlamentare) mai rinnegate e sempre orgogliosamente rivendicate, che diventavano spavalda testimonianza nei panni di “zingari di lusso” (come Benito Mussolini definiva gli attori) e con nobile umiltà di ‘tenore contadino’, allorquando nel suo buen retiro in Toscana, con sua moglie Bunny, decide di dedicarsi alla produzione artigianale di olio extravergine d’oliva e di vino.
La malattia, come a Giacomo Puccini, ha interrotto bruscamente “la parabola ascendente” di Carlo Bini. E se per il celebre compositore lucchese l’epigrafe recitava: “Lacrime e preci per Giacomo Puccini, dalla gloria terrena asceso alla gloria del cielo”, per l’ugola di Santa Maria Capua Vetere: è bello immaginare che Padre Pio abbia voluto stendere un tappeto di violette, sul palcoscenico del Paradiso - dove "i pescatori" sono di casa - affinché quel canto allietasse la sfera celeste nei secoli dei secoli.
(gelormini@gmail.com)