PugliaItalia
Centenario morte Giuseppe Di Vagno: discorso del Sindaco Antonio Decaro
L'intervento del Sindaco Metropolitano di Bari, Antonio Decaro, in occasione del centanario dell'assassinio dell'On. Giuseppe Di Vagno
Intervento del Sindaco Metropolitano di Bari, Antonio Decaro, in occasione del centanario dell'assassinio dell'On. Giuseppe Di Vagno e della visita del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Signor presidente della Repubblica,
autorità civili e militari,
a voi tutti ho l’onore qui oggi di portare il saluto della comunità della terra di Bari, che oggi celebra uno degli uomini più importanti e rappresentativi della sua storia.
Signor Presidente, questo è un luogo simbolo perché ci ricorda il sacrificio e il martirio dei socialisti che si sono battuti contro il fascismo, per la libertà e i diritti dei lavoratori, per la difesa degli ultimi.
Per questo è un onore straordinario accogliere qui il più alto rappresentante di quella Repubblica che incardina i suoi valori fondativi sulle idee e le battaglie che in questa terra ebbero un tragico preludio. Qui si palesò l’uso della violenza come mezzo di lotta politica, fino all’eliminazione fisica dell’avversario. Qui, un giovine deputato socialista fu ammazzato come un cane senza che l’opinione pubblica nazionale se ne commovesse granché, come scrisse un altro antifascista di questa terra, Tommaso Fiore, in uno struggente ricordo umano del 1944.
Noi siamo grati alla Fondazione Di Vagno che in tutti questi anni ha tenuto vivo il ricordo del Gigante buono, come lo definì Turati, perché perpetuare la memoria significa tenere unita la comunità intorno alla verità della storia, significa impegno affinché la violenza di quel passato non ritorni, significa trasmettere alle nuove generazioni il valore della libertà e della democrazia.
La sua presenza oggi, Presidente, rende onore all’impegno della Fondazione che ha nel suo codice genetico il pluralismo e il confronto come elementi di crescita civile e di formazione politica e democratica di coloro ai quali toccherà guidare la società nei prossimi anni.
Vorrei tanto poter dire qui, oggi, che Giuseppe Di Vagno era uno di noi.
Uno come noi.
Un cittadino che ha dedicato la sua vita e il suo impegno al destino di questa terra e delle sue genti.
Ma non posso farlo.
Perché Giuseppe Di Vagno non era uno di noi.
Era qualcosa di più.
Era una persona speciale, come ne nascono poche.
Giuseppe Di Vagno ha vissuto per fare la differenza.
Ha lavorato per cambiare il destino della terra dove era nato e delle persone con cui era cresciuto.
Giuseppe Di Vagno aveva scelto di vivere per le sue idee, per l’emancipazione non solo di una classe sociale ma di un popolo che aveva dei diritti di cui era all’oscuro.
Un popolo che lavorava ma che non godeva dei frutti della propria fatica.
Un popolo che per troppo tempo aveva barattato la propria libertà in cambio di un pezzo di terra o di un tozzo di pane.
A lui, alla sua militanza e al suo sacrificio noi oggi dobbiamo molto.
Dobbiamo la forza di questa terra che ha imparato a difendere le sue radici e a chiedere giustizia.
A lui dobbiamo la passione e la determinazione di centinaia di giovani donne e uomini che sul suo esempio si sono formati e hanno scelto la politica come strumento per cambiare il sistema.
A lui e alla sua morte dobbiamo il nostro rifiuto netto al fascismo, alla violenza e all’oppressione dei più deboli.
A lui e alla sua morte dobbiamo la nostra libertà.
Per questo siamo qui, oggi, donne e uomini liberi: per ricordare che in quella lezione di cento anni fa è scritto il nostro futuro di libertà, per ricordarci che nessuna battaglia è persa se serve a rendere liberi e consapevoli.
Essere qui oggi ci serve a ricordare che di uomini speciali come Giuseppe Di Vagno sicuramente ne nascono pochi ed è per questo che ognuno di noi, nel suo breve o lungo passaggio, è chiamato ogni giorno a fare il possibile per migliorare le cose nella sua casa, nel suo paese o a di migliaia di chilometri di distanza, non importa. Perché non c’è diritto che non debba essere conquistato e non c’è liberta che non debba essere difesa.
“Povero il nostro Gigante buono! - scrisse Giuseppe Di Vittorio sulle pagine di Puglia Rossa in ricordo degli ultimi attimi di vita di Di Vagno -. Si è voluto uccidere in te il forte lottatore, come per seppellire un'Idea, per infrangere una Fede, e non si sono accorti, i miserabili, che la soppressione del tuo corpo ha preparato la tua resurrezione. Tu sei risorto. Eri un uomo ed ora sei un Mito”.
Un mito che a distanza di cento anni continua a far grande la storia della nostra terra.