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Covid19, pandemia e 'La libertà verticale' di Onofrio Romano
L'intervista a Onofrio Romano - Uniba autore del saggio “La libertà verticale. Come affrontare il declino di un modello sociale”.
La pandemia ha messo in crisi le democrazie europee? Sicuramente, come già nel 2008, è un duro colpo al modello di governo “orizzontale” dell’Occidente. Parola di Onofrio Romano, professore associato di Sociologia presso l’Università degli Studi di Bari e da pochi mesi nelle librerie con il suo ultimo saggio “La libertà verticale. Come affrontare il declino di un modello sociale” (Meltemi Editore, Roma, 2019).
Professore, il virus sembra mettere in dubbio alcune certezze.
“Vengono al pettine i nodi accumulati nel tempo. Siamo di fronte ad un evento che in gran parte è la conseguenza di un sistema relazionale basato sullo sfruttamento delle risorse e sullo sbrigliamento dei singoli. Insomma, un modello in cui prevale la sovranità individuale, che adesso è messa in crisi dal Covid. Ma a questa diagnosi oggettiva non si accompagna mai una coscienza condivisa e diffusa”.
L’individuo, cioè, non riscopre davvero il valore della protezione e del collettivo?
“Il singolo si trova in un “vorrei ma non posso”, esige protezione, è disponibile a riceverla, ma le forze progressiste sono lontane da questa prospettiva e rispondono esaltando i tratti dello stesso sistema che ha prodotto questa crisi. E allora si continua a favorire l’idea dell’auto-protezione, consentita dalla tecnologia con i sistemi di tracciamento dei contagiati: l’individuo, sul suo smartphone, localizza l’infetto e corre, da solo, ai ripari. È un controllo algoritmico che sembra neutrale, ma dipende dall’attivazione del soggetto. La pandemia creata dalla sovranità del singolo si risolve esaltando il singolo, finendo per abbracciare la linea dell’immunità di gregge di Boris Johnson, alla quale si contrappone strumentalmente il pericolo delle misure draconiane della Cina”.
Per alcuni, però, sono proprio i governi a servirsi dei controlli di geolocalizzazione. Una specie di Panopticon (digitale) di cui parlava il filosofo Foucault.
“La lezione di Foucault, che è stato un fustigatore dello Stato e degli apparati di controllo con la sua ideologia della soggettività che resiste e sfugge a ogni potere e direzione, di fatto promuove inconsapevolmente il controllo tecnico. I due modelli, quello liberale e quello dell’autonomia individuale, convergono proprio in questo controllo, un algoritmo senza volto e non democratico. E poiché l’obiettivo di fondo è sempre quello di permettere a ciascuno di circolare, ecco che un’app - e non un sovrano dall’alto che impone restrizioni - ti permette di non incrociare il male. La libertà individuale si incontra, nell’anonimato, con la tecnologia. I Paesi europei però sembrano avere notato una cosa”.
Cosa?
“Che è tutto ancora un’illusione e che la via d’uscita non si vede con chiarezza. L’Italia e la Francia hanno constatato che l’organizzazione politico-sociale attuale, fondata sulla vecchia governabilità, è inidonea a contrastare la pandemia e stanno provando a ripartire, comunque vada, perché non si può fare altrimenti, certi che il virus circolerà. Questo assomiglia ad una resa incondizionata. Ciò che ci aspetta non è una grande crisi, ma una ripresa con ammaccature, un lento logoramento delle nostre strutture”.
Un cambio di rotta, abbastanza netto, si registra invece nella comunicazione e negli slogan politici, dal premier Conte al sindaco Decaro.
“In realtà, Decaro e Conte incarnano due modelli opposti. Il primo cittadino di Bari è un po’ la resistenza del vecchio, che insiste sull’idea del politico-animatore, che con video e selfie è in mezzo alla gente, accompagna il cittadino, sta in strada con lui ma non modella la realtà, non interviene. È nel reale senza poterci fare nulla”.
E Conte?
“Rappresenta il nuovo schema. Dopo essere stato per mesi ritratto come burattino, per una sorta di nemesi, da essere rappresentante del populismo, di fronte all’infuriare della pandemia ha scelto di parlare con toni responsabili e rassicuranti, in giacca e cravatta e non con la divisa della Protezione Civile. Il messaggio che prova a lanciare è nuovo: la politica e lì, protegge il cittadino dal basso e dall’alto, dal folklore dei governatori e dalla governance europea. Certo, Conte evoca soltanto questo modello, non ha i mezzi per realizzarlo, può mettere in atto solo manovre dilatorie. Ma è il segno di un ritorno alla politica forte, verticale, che vorrebbe - ma non può - prendersi la responsabilità della gestione del reale”.
Cambierà anche il nostro lessico quotidiano, magari verso una nuova solidarietà?
“C’è il rischio di essere troppo fiduciosi. Prendiamo il caso della teledidattica: il fatto che gli alunni entrino in casa dei docenti e viceversa è l’opposto della didattica a distanza, è un’estrema vicinanza che può avere risvolti negativi. Questo perché il rapporto educativo è anche astrazione, il professore ha una sua autorità e dimensione “diversa”. Non ci accorgiamo che, dietro l’illusione di ritrovarci più sensibili e vicini, sta saltando la ritualità sociale. Tutto diventa scoperto, nudo, e la nudità è selvaggeria. Più che l’emergere di una nuova comunità, forse c’è l’emergere di un elemento barbarico, che può essere problematico in relazione alla gestione sociale. E più che di retorica, abbracci e simulacri, avremmo bisogno di offrire risorse concrete e strutture a chi ne ha bisogno”.