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Da Sanremo al Sinodo, i cattolici questi sconosciuti

Le lucide riflessioni provenienti dalla comunità cattolica locale, in predicato di diventare piattaforma di confronto nel cammino sinodale pugliese e non solo.

di Mina De Santis *

'Cattolici sconosciuti', mi viene da pensarlo a conclusione delle giornate sanremesi, dopo aver letto e ascoltato tutto quello che è stato detto e scritto su di loro, in seguito alle polemiche suscitate da quanto accaduto sul palco e fuori.

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Per aver qualcuno espresso perplessità su alcune esibizioni, i cattolici sono finiti tutti indistintamente sotto accusa, trattati da bigotti un po’ ignoranti, fanatici, integralisti e anche intolleranti, ipocriti, ‘baciapile’, omofobi e pure razzisti. Accomunati a quegli atei devoti che presumono di rappresentarli e invece ne rimandano solo un’immagine grottesca e deformata, dal momento che ne tradiscono sistematicamente principi e valori, usando il cristianesimo per battaglie identitarie funzionali esclusivamente alla loro sopravvivenza politica. Di nomi potrei farne molti, ma sono noti a tutti.

Ora, chi ci conosce bene, sa che qualcuno tra noi che corrisponde a questo identikit esiste, forse anche più di uno - del resto in una comunità così vasta e variegata è normale, fisiologico direi - ma sa anche che il mondo cattolico in quanto tale, laicale ed ecclesiastico, non coincide più da tempo con quello stereotipo tardo ottocentesco, se non per un antico pregiudizio di asinina memoria, duro a morire; né si identifica con associazioni e politici che di cristiano hanno solo il nome.

Se qualche opinionista provasse ad andare oltre i luoghi comuni, a non confondere la parte con il tutto, probabilmente scoprirebbe una realtà molto più complessa e articolata di come l’immagina, inclusiva, progressista e pluralista; sempre più laica, e meno clericale; in prima fila da tempo sul fronte delle emergenze umanitarie; decisamente piu avanti su molti temi rispetto all'immaginario collettivo.

Se si prendesse anche “la briga e il gusto” di parlare con noi, di ascoltarci o di visitare i nostri profili social per conoscerci meglio, saprebbe che siamo molto meno moralisti, puritani e bacchettoni di quel che si crede, che sappiamo essere anche allegri, autoironici, persino trasgressivi. E probabilmente si sorprenderebbe, per restare solo in tema sanremese, nello scoprire che a noi la Drusilla piace moltissimo, anzi la amiamo proprio; che non ci siamo scandalizzati nell'ascoltare una canzone d’amore cantata da due uomini, anzi abbiamo fatto il tifo e votato per loro; che abbiamo trovato niente affatto sgradevoli i top ricamati, i fiori e le trasparenze con disinvoltura esibiti sul palco da corpi maschili e che ci siamo sentiti più addolorati per gli insulti rivolti alla Cesarini che offesi dagli abbracci presunti omo o dalla simulazione battesimale di Achille Lauro.

Osservatore.Romano.LauroOsservatore.Romano.LauroGuarda la gallery

È vero, talvolta, può capitare che neanche a noi piaccia ciò che “non piace a Pillon o alla Meloni o ad Adinolfi”. Ma il fatto che non piace a loro non può diventare un criterio assoluto di giudizio per discernere tra il bene e il male, costringendoci a farci piacere per forza il contrario. A me per esempio non piace Pillon, ma non per questo impazzisco per Achille Lauro. Della cui genialità mi permetto di dubitare, sempre che mi sia consentito senza essere tacciata di bigottismo. Come non nascondo che ho trovato sgradevole la sua esibizione sanremese e non perché profana un sacramento cristiano, ma perché lo strumentalizza a fini commerciali.

Loredana Bertè Achille Lauro Sanremo 2022Loredana Bertè e Achille Lauro (foto Lapresse)Guarda la gallery

Una profanazione presupporrebbe la volontà sorretta da un pensiero critico, una concezione del mondo, di perseguire una finalità intrinseca che non sia quella del ‘me ne frego’, ossessivamente ripetuto in una delle sue canzoni. Attribuire perciò a quello che fa un valore dissacrante vuol dire, secondo me, sopravvalutarlo.

Achille Lauro non è Voltaire o l’Aretino, nė Belli, Miller o Dario Fo, e neppure Ciceruacchio, Gaber, De André. Achille Lauro è un ragazzo di gradevole aspetto e belle speranze, che vorrebbe diventare una star e, non essendo particolarmente dotato vocalmente, ricorre talvolta alla parolaccia, al gesto scurrile, al travestimento, talaltra ammicca o fa la parodia religiosa, tutto per guadagnarsi un articolo in più in prima pagina, la notorietà di un attimo, un applauso.

Per questo, da cristiana, non mi scandalizza il suo gesto: la mancanza di intenzionalità, se non di consapevolezza del suo reale significato valoriale, lo svuota infatti di qualsiasi contenuto religioso, riducendolo da atto sacrilego a puro spettacolo. Che non è però un’attenuante, anzi, dal mio punto di vista, è proprio questo il centro della questione: l’uso strumentale dei segni religiosi a fini spettacolari che vuol dire biecamente commerciali. E questo mi addolora. Perché così si finisce col banalizzare la demitizzazione. Che è invece una cosa seria, non essendovi nulla di più tragico e abissale per l’essere umano della “morte di Dio”. Non a caso Nietzsche aveva messo in guardia, più di un secolo fa, chi ne derideva il “folle” annunciatore. Ma questo evidentemente, Achille, non lo sa.

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Loro, quelli che parlano di noi o addirittura a nome nostro, però sì, o almeno dovrebbero. Come dovrebbero cercare di conoscere meglio il mondo cattolico, prima di ridicolizzarlo o demonizzarlo facendolo passare per ciò che non è, almeno nella stragrande maggioranza. Altrimenti corrono il rischio di trasformarsi in ‘laicisti devoti’, il doppio speculare dei Pillon, Meloni, Salvini, Adinolfi.Il che sarebbe la beffa peggiore.

* dal profilo FB

** photo d'apertura: Edvard-Munch-‘Golgotha’-(Munch-Museet-Oslo)