Dal Subappennino alle Ande
Il viaggio di Davide Grittani
Il libro di Davide Grittani "E invece io" in cartellone a Bisceglie "Libri nel Borgo Antico" e a Noci "Tra i vicoli della mente"
Le presentazioni del libro di Davide Grittani "E invece io" sono previste in cartellone a Bisceglie per ""Libri nel Borgo Antico" il 25 agosto e a Noci per la rassegna "Tra i Vicoli della Mente" il 27 agosto (ndr)
Davide Grittani, pellegrino instancabile della parola e della notizia, ha provato a scalare la cima del Premio Strega con “E invece io”, nella riedizione a cura della Biblioteca del Vascello (già Ed. Robin, 2016), con un gratificante e interessante inizio del cammino. Stimolato anche dalla congiunzione astrale che vedeva il Premio beneventano - quest’anno orfano di alcuni grandi marchi editoriali - dischiudere praterie insperate alla galassia scomposta della cosiddetta editoria minore.
Insomma, il tifo per l’amico e conterraneo, nonché per il collega da tempo apprezzato e stimato, aveva preso il sopravvento e qualche speranza ha cominciato a far breccia nello scetticismo scaramantico diffuso, quando il libro è entrato nella prima selezione dei 27 titoli in corsa per il Premio.
Ma l’indole accidiosa più consona al “passista”, cresciuto e formato tra le pianure e il canto delle cicale, che quella alacre e intraprendente del “grimpeur” uso agli strilli d’aquila e all’eco degli zoccoli di stambecco, non ha consentito a Davide Grittani di tenere il ritmo.
Impresa e fatica, infatti, si sono dimostrate “titaniche”, alla luce di una vittoria annunciata per “Le otto montagne” di Paolo Cognetti, Ed. Einaudi. Tanto da farci presumere che alternativa più in linea con la categoria e il peso dell’outsider, forse sarebbe potuta essere l’antitesi, Carlos Solito, col suo “Sciamenescià”, Elliot Ed. e il canto autoctono e popolare alla Valle d’Itria e agli orizzonti sconfinati del Salento.
Il lavoro di Grattani è una sorta di rinnovata ed emozionata dichiarazione d’amore alla città in cui vive: un tempo sede della Reggia di Federico II, ma secoli più tardi - dopo molteplici distruzioni e ricostruzioni, a seguito di terremoti, bombardamenti e incursioni varie - lapidariamente definita da Alberto Moravia: “la città più brutta del mondo dopo Il Cairo”.
L’emigrazione al contrario di Alberto Arioli - alter ego dell’autore - dalla Lombardia alla Puglia, o meglio a Foggia, un’enclave piena di contraddizioni - a partire da quella di definire ‘Monti Dauni’ i pendii appena accennati e le colline più evidenti ai margini del Tavoliere - risente ancora di un certo disorientamento da nebbie brianzole, se “nell’indolenza poetica” di una comunità altrettanto confusa, persiste ancora la tendenza a mettere sullo stesso piano entità reali, come la Pampa, la Patagonia e il Tavoliere delle Puglie, con espressioni virtuali e immateriali come la Padania.
Nella scrittura narrativa scorrevole e piena di ritmo, che caratterizza il taglio giornalistico di Davide Grittani, Alberto Arioli - orfano deluso a 50anni d’ogni ideale - decide di affrontare un’Odissea introspettiva (con una dea che lo protegge e un consesso “occulto” che lo avversa), nella Terra del Fuoco dei miti che hanno segnato la gioventù rivoluzionaria di intere generazioni sessantottine: rimaste ad attendere l’alba del “sole dell’avvenire” su una spiaggia rigorosamente esposta ad Ovest.
E lo fa con un artificio letterario che esalta, palesemente il primo e in forma più subliminale il secondo, due libri capisaldi della letteratura nazionale: Pinocchio e Cuore. Pilastri della formazione adolescenziale d’altri tempi, ma autentici e potenti antidoti a quell’immobilismo accidioso, che stringe e affoga il capoluogo dauno, come l’intera Capitanata, nella morsa del “poco, maledetto e subito”, che porta tutti e ciascuno ad accontentarsi dell’uovo provvidenziale e a non fare alcuno sforzo per provare ad allevare la gallina.
E così assumendo di volta in volta, senza indossarli, i panni di Garrone, Bottini, Lucignolo o lo stesso Pinocchio, Alberto Arioli dà corpo a una fusion tra il libro di Carlo Collodi, che descrive meglio gli italiani: “Tendenzialmente bugiardi , ladruncoli da strapazzo, persone alle quali non piacciono scuola, leggi e regole, con uno scarso senso del rispetto e della fedeltà; persone che molto spesso tradiscono anche gli affetti più cari in cambio di stronzate, ma al tempo stesso persone con un grande attaccamento alla famiglia, grandi viaggiatori, piccoli eroi coraggiosi, poeti inconsapevoli, solidali come nessun altro popolo al mondo. In pratica, il libro di un operaio che fotografa un popolo che per inseguire ciò che potrebbe essere, ha finito per dimenticare ciò che è stato”, e l’altro libro capolavoro: quello che più di tutti ne ha stimolato lo spirito “unitario”, quando nel Paese era ancora latente il concetto di Nazione.
In tal modo, Grittani/Arioli dà vita alla sua moderna Odissea, “Dal Subappennino alle Ande”, per una rivisitazione del racconto di Edmondo De Amicis in chiave “meridiana”, perdendosi nelle stesse strade che da Rosario si dipanano nell’America Latina, per poi ritrovarsi segnato e temprato - come dopo ogni Grand Tour nei secoli dei secoli - tra orizzonti famigliari ridefiniti nelle linee, ma maledettamente e costantemente lontani da ogni ambizione di valico.
Un viaggio talmente affascinante, burrascoso e per certi aspetti “epico”, da fargli percepire, o almeno avere l’impressione di vivere, momenti di intensa e drammatica estraniazione mitologia, come quando stremato arriva a Bahia Blanca ed è abbagliato dal candore “del sale che ricopre i terreni lungo la costa e dà il nome a quella distesa bianca e selvatica di montagne alte anche centinaia di metri, in cui circa un secolo fa gli argentini - dopo averlo imparato dagli italiani - “coltivavano”, raffinavano e confezionavano il sale per tutto il Paese”.
All’equatore della vita la rarefazione dell’aria rende tutto più leggero, il libro di Davide Grittani ha la levità della neve, che a Foggia cade raramente, ma che a Cicerone faceva dire: “La leggerezza è propria dell’età che sorge, la saggezza dell’età che tramonta”.
(gelormini@gmail.com)