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Discariche abusive: un’Apocalisse. Reato sia punibile nella durata dei danni
Il reportage fotografico di Giovanni Rinaldi riporta l'attenzione sulla nocività delle discariche abusive a cielo aperto
Il reportage di Giovanni Rinaldi sulla discarica di Giardinetto (Fg), una delle più grandi d’Europa, incisivo e suggestivo nella drammatica e tragica verità delle immagini, non contribuirà a riaprire alcun caso: perché il velo plumbeo della prescrizione è già calato inesorabilmente, a suo tempo, sulle responsabilità - presunte o accertate - di imprenditori, faccendieri, amministratori e controllori di ogni rango o grado di competenza.
Un velo che però non ha messo al riparo le comunità territoriali circostanti dagli effetti indotti e micidiali che il sito ‘a cielo aperto’, attraversato quotidianamente da venti di ogni sorta - gli stessi che fanno girare le pale dei parchi eolici adiacenti - contamina da anni, prima che continuino a insinuarsi nelle intercapedini della convivenza locale. Che una volta era regolata dal sostegno reciproco e dalla condivisione di gioie e dolori, ma che oggi si presenta incartapecorita dal terrore del flagello e dalle speranze sottaciute di ‘farla franca’ e di non essere colpiti, pur non potendo vantare alcun segno biblico ‘salvifico’ sull’architrave della propria porta.
Le discariche, abusive o autorizzate, a Giardinetto in Capitanata, a Burgesi nel Salento o altrove in Puglia sono, insomma, una vera e propria Apocalisse. E restano incomprensibili e ingiustificate le resistenze diffuse all’avvio di studi e analisi epidemiologici, che - come l’azione penale dei PM - dovrebbero essere automaticamente predisposti sin dal primo accertamento d’ogni sorta di illegalità degli stessi siti. Facendo scattare, in pratica, un protocollo di interventi finalizzati a un rapido e incisivo inquadramento del caso.
Il reportage di Giovanni Rinaldi, però, un pregio ce l’ha. Anzi, forse più di uno. Perché il coraggio civico del singolo è come se riassumesse, in una composizione musiva, le tante esitazioni collettive, restituendo nei riflessi degli scatti una caparbia dignità da Amor loci, capace di tener in vita quei principi staminali, apparentemente dispersi, ma indispensabili alla salvaguardia dell’intera specie.
Il reportage è quel campanello d’allarme che segnala la necessità di “svegliarsi”, e che riprende a suonare anche quando con la mano, vagante nel vuoto, l’abbiamo momentaneamente zittito. Quelle foto ci mettono di fronte a una situazione intollerabile, che va ben al di là dei materiali tossici stoccati a Giardinetto, a Burgesi o altrove.
Ci ripetono, nel caso l’avessimo scordato, che qualcosa va fatto, va fatto con urgenza, e non solo auspicato o proclamato. Troppo comodo violentare, stuprare e poi abbandonare i territori, accampando “poi” - e mai “durante” - una sorta di infermità mentale travestita da fallimento societario “prima” e decorrenza dei termini legali “dopo”, scaricando sugli enti istituzionali le pesanti responsabilità e i costi per bonifiche, risanamenti e messa in sicurezza dei siti inquinanti.
Nel caso di Giardinetto, se qualcuno avesse scordato anche questo, il titolare della locale e importante società di laterizi - secondo i processi: tra i responsabili non perseguibili per “prescrizione dei reati” - prima degli stessi processi aveva persino concorso per la Presidenza della Provincia di Foggia. Ecco, anche e soprattutto questo ci racconta il reportage di Giovanni Rinaldi. Qualcosa va corretto e va cambiato profondamente.
“Sposi del creato, e non amanti!” esortava Mons. Giancarlo Maria Bregantini, ispiratore delle diverse encicliche papali sull’Ambiente e sulla salvaguardia della Natura. C’è bisogno che le responsabilità non vadano “Via col vento”, come recitava il titolo del celebre film hollywoodiano, ma restino ancorate ai reati commessi e vi restino fino a quando i danni continuassero a manifestarsi. Per cui, se il reato ambientale - più o meno disastroso che sia - dovesse aver provocato danni permanenti, altrettanto ‘permanente’ dovrebbe essere la possibilità di perseguire i responsabili e gli autori degli scempi.
Anche perché, alla luce dei fatti, a poco vale che: “Gli obblighi eventuali di bonifica siano imprescrittibili, e che i soggetti che hanno compiuto, tollerato o in qualche modo colpevolmente agevolato l’attività criminosa che si è prescritta, abbiano poi l’obbligo di ricercare, e in caso positivo di bonificare, l’area nella loro responsabilità”, come dichiarato dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, durante la sua ultima visita alla discarica di Burgesi in Salento. Se poi, ad avere la meglio saranno gli artifizi “legulei” e “fallimentari”, che vanificano il tutto.
Con l’aggravante, spesso, che gli stessi soggetti imprenditoriali siano o continuino ad essere - sotto altre vesti - paradossalmente destinatari di sostegni finanziari pubblici, magari per attività collaterali o anche di diversa natura. Per cui, la creazione di un Albo o Registro nero per i colpevoli di reati ambientali, potrebbe rappresentare un ulteriore ed efficace deterrente. Ancora una volta, si tratta di volontà politica.
Nel frattempo, la rabbia monta, lo sconforto dilaga, la paura fa sempre più 90, i casi di tumori non si contano, le morti si moltiplicano, ma l’immobilismo persiste. Un trend “accidioso” che non riesce ad essere scosso nemmeno dal crescente numero di morti premature. Tutti come rassegnati in attesa che qualcosa succeda, come in un afoso pomeriggio meridiano, mentre lo scirocco gonfia l’aria che si fa irrespirabile.
Tra commissariamenti statali e interventi “da programmare”, per la Regione i siti pugliesi in infrazione sarebbero 11, di cui sei con procedimento di chiusura già avviato: Lecce-Bosco Buia, Peschici-Madonna di Loreto, Presicce-Casina dei Cari, Scorrano-Masseria Calò, Altamura-Contrada Sgarrone e Supersano-Masseria Macrì; mentre per il consigliere regionale del M5S, Cristian Casili: “Le discariche di Burgesi e di Giardinetto sono solo la punta dell’iceberg, perché sarebbero centinaia quelle non ancora uscite alla luce del sole”.
Per troppo tempo questo Sud è stato funzionale allo sviluppo di altri. Una miniera-deposito ripetutamente svuotata dei suoi tesori: forza lavoro, risparmi, risorse naturali e intelligenze, prima di diventare ricettacolo di ingombranti, imbarazzanti e velenosi rifiuti, attraverso il canto delle sirene attivato dalle folate del “rinnovabile”, che li interrava nei sottosuoli dei parchi eolici, fotovoltaici e via dicendo. Per produrre col vento del Sud (o rubando il sole ai suoi terreni) forza energetica utile altrove, chiudendo e rendendo frustrante il ciclo vizioso.
Ripetutamente “incantati” dai cosiddetti “salvatori” di turno e dai loro sorprendenti e munifici “regali”. Quanto entusiasmo tradito dall’illusione dell’arrivo in Puglia di colossi dell’industria, come quelli - per esempio - che avrebbero rilanciato il Gargano, le sue perle e le sue ambizioni turistiche. Per non parlare dei disastri di Taranto o di Brindisi.
Col suo reportage, Giovanni Rinaldi, dà una mano ai tentativi di ravvivare: coscienza civica, tutela del bene comune e coraggio di impegnarsi, per garantire un futuro sostenibile alle generazioni dei nostri figli e a quelle dei figli dei nostri figli.
Uno stimolo che ci piace rilanciare, per provare a ritrovare un pizzico d’orgoglio e di sano amor proprio, utile alla tutela dell’intera comunità di appartenenza, coltivando consapevolezza dei problemi e capacità di mettere in pratica una delle doti collettive, che il Sud da sempre rivendica e abitualmente pratica con spontaneità: l’attitudine innata a reagire alle difficoltà impreviste, quel che gli inglesi chiamano: problem solving.
Photo a cura di Giovanni Rinaldi - Il suo blog con tutti i reportage: https://giorinaldi.wordpress.com/
(gelormini@gmail.com)
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Pubblicato in precedenza: Giardinetto, la discarica Solo un brutto sogno!
Puglia, il capitolo discariche comincia da 'Burgesi' a Ugento