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Dizionario comparato dialettale, per parlare cu°m t-à fatt màmm’t
“Dizionario Comparato del Dialetto di Troja” di Giovanni Guadagno: la lingua locale come patrimonio d'indentità. L'intervista all'Autore.
Oltre duemila anni di storia e di ‘sedimenti’ d’ogni sorta nel crocevia più nobile della Daunia prima, e della Capitanata poi: prodotti, donati ed arricchiti da pellegrini d’ogni dove a questo centro urbano del Subappennino, che un tempo si chiamava Aecae e che oggi si appresta a celebrare il suo Millennio da quando il Catapano bizantino, Basilio Boioannes, decise di ricostruirla (1019), dotandola di mura possenti e dandole il nome mitico di Troia.
Un processo lento ed incessante di contaminazioni e trasformazioni, lungo la tenuta solida di eccellenti radici identitarie e il vivace protagonismo delle comunità che l’hanno nei secoli animata, le cui testimonianze resistono - segnandone il presente e stimolandone il futuro - non solo nelle pietre dei monumenti, nei tesori dei musei o nei colori del paesaggio, ma in particolare nelle “persone” che l’hanno abitata e continuano ad abitarla, ne custodiscono il patrimonio socio-culturale e ne valorizzano la storia.
Sono loro i veri depositari, spesso inconsapevoli, di una narrazione piena di tradizione, eppure proiettata verso le generazioni a venire. Gli accumulatori e gli elaboratori di una tipicità espressiva ‘autoctona’, le vestali di un fuoco sacro da alimentare costantemente: quello del timbro identitario più intimo, capace di annunciare il proprio ‘casato’ più d’ogni altro blasone, in pratica il suono inconfondibile dal nobile accento: il dialetto.
E’ un omaggio a questo autentico patrimonio immateriale l’ultima pubblicazione di Giovanni Guadagno “Dizionario Comparato del Dialetto di Troja”, con etimologia, detti, proverbi e filastrocche - Daunia Studi 1992 Edizioni. Ben 22.000 lemmi, 1.040 pagine con disegni di Angelo Moffa, per il recupero della cultura troiana "dandann" (di allora, dei tempi andati) e degli anni immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Giovanni Guadagno, una vita dedicata alla ricerca e alla catalogazione della parola dialettale. Che senso ha, oggi, non solo la custodia di questo patrimonio, ma soprattutto la riproposizione come studio alle generazioni più giovani?
Chi dimentica non ha futuro. E' indispensabile che le giovani generazioni sappiano del passato. La memoria storica e personale hanno un valore assoluto. E' come l'aria che respiriamo. La difesa della "nostra lingua" passa tramite la presa di coscienza che la nostra è una lingua che va custodita, tutelata e valorizzata. Nel mio dizionario comparato si trova l'origine del lemma, i proverbi, i luoghi comuni, la imprecazioni. Alcune parole del dialetto troiano derivano dal curdo, altre sono di derivazione greca, altre ancora ci riportano ai tempi delle dominazioni francesi (buwatt, boite, barattolo) e spagnole.
L’opera da lei presentata si direbbe ‘epica’, ma facendo uno sforzo altrettanto valoroso, riesce a sintetizzarne le peculiarità e gli aspetti più interessanti che segnano anche il carattere didattico, che evidentemente ha voluto far assumere al volume?
Cerco di dare significato all'etimologia della parola dialettale, sapendo che le interpretazioni possono essere varie. Sapendo anche che il significato dato alla parola nel tempo e le modifiche che esse hanno avuto sono patrimonio silenzioso della comunità di Troja, che le ha elaborate. Fissare in un Dizionario comparato tutto questo è stato un "dovere" e una fatica. Questo, per me, ha un significato didattico. Per le ricerche sulle tradizioni popolari, oltre al supporto di mia moglie. Concetta Trevisani, devo ringraziare Pompilio De Santis, autodidatta, pubblicista, direttore del periodico trojano “Orizzonte di Troia e del Sub-Appennino”, il nostro demo-psicologo, per me indimenticato, pur se le nostre idee politiche erano totalmente opposte.
Andrea Camilleri, oggi, Trilussa, Salvatore Di Giacomo, Raffaele Viviani o Eduardo De Filippo, ieri, hanno esaltato il dialetto con la poesia, la sceneggiatura teatrale e la prosa da romanzo. Quanto è ancora viva questa lingua e quanto invece ‘sopravvive’ grazie a una sorta di intrepida terapia diffusa?
Le nuove generazioni parlano l'italietto. Una sorta di dialetto italianizzato o di italiano dialettizzato. L'obbligo scolastico, ma direi anche la legge Coppino del 1876, hanno lentamente minato la cultura del dialetto. Non è solo la parola dialettale a trasmetterci una emozione. Sono le locuzioni che ad essa si riferiscono. Questo patrimonio lentamente viene sostituito da emozioni "italianizzate". E' una grossa perdita. Nelle Comunità bisogna parlare la propria "lingua". Fuori dalla Comunità è doveroso parlare in italiano. Bisogna essere bilingue o meglio trilingue.
Il volume è arricchito dai disegni di Angelo Moffa, come nasce questa collaborazione e quali le note d’intesa tra la ricerca, i timbri d’altri tempi e la loro iconografia dialettale?
Non poteva mancare una rappresentazione visiva della parola, soprattutto quando essa si riferisce agli attrezzi della nostra cultura contadina. Gli schizzi sono di Angelo Moffa, emigrato da 55 anni al Nord a Rimini. Angelo ha sintetizzato coi disegni la cultura di noi "Sudici", come ebbe a dire in Parlamento, nel 1907, Camillo Prampolini, bolognese e socialista. La testimonianza di come l’iconografia contribuisce a dare ulteriore emozione alla parola trascritta.
Perché insistere sulla quella j nel nome della città e nell’aggettivo relativo? Non pensa di contribuire a una certa confusione tra la toponomastica consolidata e le declinazioni arcaiche che si tenta di riproporre?
Non è un vezzo scrivere Troja. Nell'anno Mille si scriveva sia Troja, sia Troia. In realtà, si dovrebbe scrivere Troja, come ha fatto e fa la stragrande maggioranza degli scrittori trojani, perché la j si trova tra due vocali. La soppressione della j è stata voluta dal Fascismo, che si ispirava ai fasti di Roma antica.
(gelormini@gmail.com)