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Echi salentini, 1952/1960 il narrastorie

Rocco Boccadamo

Echi salentini 1952/1960, il narrastorie, giovanissimo, alle Medie e alle Superiori

Traggono, insolitamente, abbrivio, le presenti note, da un commento, inerente a una mia narrazione di qualche settimana fa, postatomi via Facebook da Giorgio Ruggeri, originario di Uggiano La Chiesa, per cinque anni compagno di classe, anzi contermine di banco, alle scuole superiori, e, però, mai più rivisto dal lontanissimo 1960:” Hai tanti bei ricordi della tua terra. Mi aspetto qualche pubblicazione di quel mitico Istituto Tecnico di Maglie che abbiamo lasciato nel 1960. Ti saluto”.

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Prima di tracciare la specifica rievocazione invocata dall’antico coetaneo e amico, ritengo opportuno soffermarmi su un minuscolo rosario di “pillole” delle mie esperienze scolastiche antecedenti, afferenti, per l’esattezza, al ciclo delle “Medie”.

Invero, conseguita la licenza elementare, mi successero, inanellandosi, una serie di piccoli e però particolari eventi, che lasciarono qualche segno in quelle correlate tenere stagioni.

Intanto, iscrittomi per frequentare, a Maglie, il richiamato corso di studi, iniziai concretamente a farlo in un canonico (per l’epoca) 1° ottobre, ricordo, nella sezione “Prima D”, docente di lettere il giovane professore Francesco E.

In parallelo, mi sistemai, come “pensionante”, presso una famiglia della cittadina, dove si trovava già, alloggiato in analoga formula, un mio compaesano, nonché parente, il quale attendeva alle lezioni nel locale Liceo classico.

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Sennonché, scivolate via, sì o no, un paio di settimane, giunse a mio padre, impiegato comunale, la notifica della mia ammissione a un convitto dell’Inadel (Istituto di previdenza per i dipendenti degli enti locali) ubicato ad Anagni (FR), dove, purché fossi stato di anno in anno promosso, avrei potuto compiere l'intero percorso formativo, fino alla maturità o al diploma, in regime completamente gratuito, compresi vitto, alloggio, libri di testo e tasse scolastiche.

Peraltro, ad Anagni, nella medesima struttura scolastica dell'Inadel, intitolata al Principe di Piemonte, c'era già, da un biennio, il mio fratello maggiore Antonio.

Lasciai, quindi, in fretta e furia, la scuola di Maglie e, accompagnato in treno dal citato genitore, raggiunsi il convitto nella cittadina laziale.

Ma la relativa esperienza, nonostante si trattasse di una sistemazione obiettivamente buona in ogni senso, si esaurì, purtroppo, in modo infausto, nel volgere di un risicato arco di tempo.

Con la motivazione di non sopportare il distacco dal mio paesello d'origine, dalla mia famiglia e, soprattutto, da mia madre, vissi, o meglio, diedi a intendere di vivere, un'autentica tragedia, per cui, in breve, mio padre fu costretto a ripetere il viaggio ad Anagni e a riportarmi a casa.

La mia capricciosa ma inamovibile impuntatura fu presa come un autentico smacco non solo in casa, ma pure presso i parenti e fra gli amici compaesani: si pensi, a undici anni e mezzo, mi trovai appiccicata addosso, addirittura, l'etichetta appellativa di “rovina famiglie” e/o  mi vidi piovere sul capo l’osservazione “Il Padreterno dà i biscotti a chi non ha denti per mangiarli”.

Ma la storia non finisce qui. Difatti, una volta rientrato a Marittima, il piccolo, criticato “reduce” assunse un’ulteriore rigida posizione, facendo cioè presente, con vigore, che non gli andava di far la brutta figura di comparire, in ritardo rispetto all’inizio delle lezioni, in una classe di Scuola media pubblica, fosse a Maglie o a Tricase.

Di conseguenza, non gli rimase che affidarsi al concittadino maestro delle elementari, Alfredo Q., prendendo a svolgere insieme con lui, ogni pomeriggio, il programma didattico della prima media e sostenendo a Maglie, da privatista, nel successivo giugno, l'esame finale, con esito positivo.

La stessa sceneggiata ebbe, purtroppo, a verificarsi in corrispondenza dell'anno scolastico seguente, sebbene io avessi spergiurato che giammai si sarebbe ripetuta la prima infantile rinuncia collegata al convitto.

In detta seconda esperienza anagnina, feci in tempo a mandare a quel paese, e anche oltre, l’insegnante di matematica della locale Scuola media.

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Questi, rivedendomi nella sua 2^ e avendo a mente il mio anticipatissimo abbandono dell’anno precedente, mi chiese dove e come avessi frequentato in alternativa e volle saggiare la mia preparazione con la coppia di domande a bruciapelo “tre per quattro, quanto fa?” e “quattro per tre, quanto fa?”, e, alla mia ripetuta risposta di dodici, fece seguire l’interrogativo trabocchetto scontato “e perché?”. 

Da parte mia, sotto agitazione o per un improvviso vuoto di memoria, risposi al secondo problema con un banale “perché è la stessa cosa”, senza minimamente accennare alla regola, men che elementare, della nota proprietà commutativa della moltiplicazione “cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia”.

Risate a tutto spiano, se non sghignazzi, dalla bocca del docente, il quale, secondo il sentire infantile, ma non troppo, della vittima, si accaniva su un malcapitato; con l’aggravante, che le sue sfacciate reazioni d’ilarità e di scherno arrivavano immediatamente ad accomunare l’intera scolaresca.

Per ciò, non riuscendo a trattenermi, rivolto al professore, io finii con lo sbottare, d’istinto, in un: “Lei è un p….!” (a chiare lettere, secondo Wikipedia, suide addomesticato, che grugnisce).

Dopo di che, preso per un braccio dallo stesso autorevole destinatario dell’improperio, verosimilmente colto di sorpresa dalla mia reazione e divenuto paonazzo in volto, mi trovai in un baleno di fronte al preside e, seduta stante, scattò la sospensione, per alcuni giorni, dalle lezioni (poco male, ragionai tra me e me, tanto intendo lasciare questa scuola e tornarmene nel Salento).

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Finalmente, ci fu da predisporre la frequenza della terza media e, questa volta, niente tergiversazioni su opzioni convittuali ma semplice e diretta iscrizione alla scuola pubblica di Maglie e, guarda caso, nuovamente sezione D e docente di lettere il già citato Francesco E.

Nel complesso, si rivelò del tutto agevole l’esperienza da normale frequentante, con la sola eccezione di talune mie esitazioni, specie all'inizio, nel seguire le lezioni di francese (evidentemente, durante il biennio trascorso in veste di allievo privatista del maestro Alfredo, non avevo assimilato a sufficienza le relative nozioni).

Per fortuna, in quel corso della scuola pubblica, c’era un professore molto bravo, anche se dal carattere un tantino particolare, Giuseppe M., il quale, in certo qual modo, mi prese a cuore e, specialmente, mi tenne sotto tiro, giungendo talora - tempi lontani e, ovviamente, agli antipodi rispetto agli attuali - a trascinarmi fino alla lavagna e ad appoggiare lievemente ma ripetutamente la mia fronte sulla relativa lastra nera, sentenziando: “Se non te lo “imparo”  io, il francese, non te lo “impara” neppure Domine Dio”.

Devo ammettere che la cura del docente M. si rivelò efficace.

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Ottenuta, poi, con buoni voti di profitto, la licenza di Scuola media, si presentò la necessità di scegliere per le Superiori.

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In cuor mio, pensavo di seguire l'esempio del mio fratello maggiore e di iscrivermi al ginnasio e, a ruota, al liceo classico, oppure, in subordine, forse volendo emulare il mio insegnante elementare, di andare a frequentare l’Istituto magistrale a Lecce.

In concreto, però, giunse a prevalere uno sbocco differente, che, in fondo, accettai con convinzione, nell'ottica di vedere agevolato, con quello specifico diploma, l'inserimento nel mondo del lavoro, la conquista di un impiego.

Insomma, la scelta cadde sull’Istituto tecnico commerciale statale, indirizzo amministrativo “Cezzi – De Castro” di Maglie, località dove mi sarei portato, da Marittima, con il pullman delle Sud Est, già sperimentato durante la terza media.

E alla “Ragioneria”, così si appellava semplicemente e praticamente detto polo d'istruzione, trovai, fra i compagni di classe, Giorgio Ruggeri, menzionato all'inizio di questa narrazione.

Si trattò, da subito, di una pratica diversa e accattivante, che si sviluppava non più fra ragazzini bensì fra adolescenti, con discipline da studiare in gran parte inedite.

A oltre sessant’anni di distanza, serbo ancora memoria dei nomi dei frequentanti il corso “B”: Eugenio Agnello (Nociglia), Vito Alfarano (Tricase), Salvatore Baglivo (S. Eufemia di Tricase), Rocco Boccadamo (Marittima), Antonio Brocca (Muro Leccese), Francesco Bruni (Otranto), Giovanni Cioffi (Casarano), Antonio Costa (Maglie), Franco De Donatis (Torrepaduli), Luigi De Pascalis (Martano), Antonio De Santis (Martano), Antonio Di Noia Uggiano La Chiesa), Luigi Filippi (San Cassiano), Antonio Gerardi (Corigliano d’Otranto), Vincenzo Guarino (Corigliano d’Otranto), Franco Latino (Poggiardo), Vincenzo Laurenti (Otranto), Oliviero Leuzzi, (Botrugno), Fernando Lisi (Miggiano), Giorgio Monteduro (San Cassiano), Giuseppe Monteduro (San Cassiano), Antonio Pastore (Cocumola), Franco Pirelli (Leuca), Giovanni Pisanò (Casarano), Ippazio Pulimeno (Corigliano d’Otranto), Gerardo Rizzo (Alessano), Luigi Rizzo (Otranto), Carmine Romano (Maglie), Giorgio Ruggeri (Uggiano La Chiesa), Luigi Rutigliano (Otranto), Giuseppe Schifano (Andrano), Vittorio Velotti (Melissano), Tommaso Vergari (Botrugno), Filippo Vergari (Montesano Salentino), … Vergine(Corigliano d’Otranto). 

Dei trentasei appena elencati, per la precisione, non tutti erano presenti nel primo anno, alcuni si aggregarono gradualmente nelle classi successive; due o tre compagni, purtroppo, non riuscirono a conseguire puntualmente il diploma, uno, invece, Filippo Vergari, bravissimo, compì un “salto” nel corso dell’anno scolastico, completando gli studi nel 1959, anziché nel 1960.

Ricordo pure i nomi del Corpo docente succedutosi in seno al corso “B” durante l'intero ciclo: Luigi A. (inglese), Anna B. (calligrafia), Paolo C. (italiano, 2^ e 3^ classe), Salvatore E. (italiano, 4^ e 5^ classe), Luigi F. (diritto ed economia politica, 5^ classe), Italo G. (ragioneria e tecnica, 5^ classe), Concetta M. (stenografia), Luigia M. (italiano, 1^ classe), Don Franco M. (religione), Luigi Paolo M. (computisteria, ragioneria e tecnica, 2^, 3^ e 4^ classe),  Laura O. (matematica), Stella R. (francese), don Francesco R. (religione), Luigi S. (diritto ed economia politica, 3^ e 4^ classe), Lucia T. (scienze naturali, chimica, geografia economica), Giuseppe V. (educazione fisica).

Per quanto riguarda la guida complessiva dell'Istituto, affiancavano il preside, Prof. Mario Dumail segretario (all'inizio, Salvatore Gualtieri, dopo, rag. Domenico Mele) e l’addetto alla segreteria Giacomino De Donno, col prezioso ausilio dei collaboratori scolastici Nino e Ada.

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Anche in seno alla nuova realtà scolastica, nel giro di poco tempo, mi trovai coinvolto in qualcosa di imprevisto e imprevedibile, relativamente alle lezioni di lingua francese.

Malgrado le prima indicate mie carenze in terza media, che avevano richiesto una cura energica da parte del professore M. (lo rivedo, negli occasionali fugaci incontri di primo mattino, in Piazza Capece a Maglie, dove aveva sede la Scuola Media in cui egli era rimasto a insegnare, nell’atto di roteare a lungo la mano e il braccio destro, come per dire “eh, cambiando scuola e con la nuova docente che avete trovato all’Istituto Tecnico, vi è andata proprio bene, fate la pacchia”), agli occhi e al giudizio della professoressa Stella R., ebbi subito ad apparire come un allievo non bravo ma bravissimo, un esempio; sia nelle interrogazioni, come nei compiti scritti, fui gratificato con una serie di nove e dieci.

In aggiunta a ciò, l'insegnante, a un dato momento, mentre teneva le sue lezioni nella seconda e nella terza “B”, prese l’abitudine di mandarmi a chiamare tramite il bidello Nino, in modo da far vedere agli allievi di quelle classi, chiaramente più grandi di età, con me direttamente presente e fungente da “campione”, come si dovesse studiare e dimostrare di sapere la sua materia.

Per me furono, però, circostanze, piuttosto che gratificanti, di disagio e di “vergogna”, anche perché, durante i miei “sconfinamenti” nei corsi superiori, c’era sempre qualcuno che, sottovoce, mi indirizzava l’invito a ritornarmene nella mia classe, invece di prestarmi al gioco della docente.

In particolare, al cospetto di studenti/giovanotti o quasi, il mio disagio cresceva durante l'inverno, quando, quattordicenne o poco più, esibivo pantaloni alla zuava e, ai piedi, calzettoni di lana fatti a mano e sandali semiaperti, per via dei fastidiosi geloni che, pur mordendo il freddo, non mi consentivano di infilarmi scarpe chiuse, chiaramente più adatte alla stagione.

Tuttavia, come consolazione, negli scrutini finali della prima superiore, sulla pagella, accanto alla materia “Lingua francese”, vidi campeggiare un bel nove.

Nella prossima puntata proverò a dedicare veloci note aggiuntive, tra il serio e il faceto, su determinati professori.

(1/3 continua)