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FdL 2015 - L'intervento del sindaco di Bari Antonio Decaro
Il discorso del Sindaco di Bari e della Città Metropolitana, Antonio Decaro, alla 79° Fiera del Levante
Oggi abbiamo inaugurato la 79esima Fiera del Levate, è inutile negare il nostro dispiacere nel non avere qui il Presidente del Consiglio, in fondo vorremmo tutti essere un po’ con lui per cogliere il grande valore simbolico di quello che succederà stasera a New York. Il nostro Paese sa lottare e sa vincere. E stasera, comunque vada, vincerà l’Italia, vincerà la Puglia!
La nostra Fiera campionaria ha quasi 80 anni, ma non li dimostra, perché sta dando prova di straordinaria capacità di rinnovarsi e di interpretare lo spirito del nostro tempo. E di questo dobbiamo ringraziare il Presidente e tutti i dipendenti della Fiera del Levante.
Una delle testimonianze di questo spirito nuovo che si respira in fiera è proprio l’inaugurazione, che ha smesso di essere una cerimonia a parte, e che ora si svolge in contemporanea con l’apertura dei cancelli. Già da questa mattina tanta gente ha affollato i viali e i padiglioni. A loro, e a tutti quelli che questa settimana lavoreranno giorno e notte negli stand va il mio saluto e il mio augurio: buona Fiera del Levante a tutti!
Sono salito su quel palco per la seconda volta, emozionato come la prima. Anzi doppiamente emozionato. Perché non ho rappresentato solo la città di Bari. Ma sono salito su quel palco come sindaco della città metropolitana. E ho parlato anche a nome degli altri 40 sindaci della Terra di Bari. Una grande e bella responsabilità.
Allora sono andato a spulciarmi un po’ di discorsi importanti di politici italiani degli ultimi vent’anni, per prendere qualche spunto, come quando a scuola si dava una sbirciatina al compito d’italiano del vicino di banco.
Non ne ho ricavato molto, purtroppo. In compenso ho notato che in tutti quei discorsi, una parola tornava spesso, in modo quasi ossessivo. La parola «futuro».
Ci hanno parlato per vent’anni di futuro, in tutte le salse: un futuro migliore, un futuro prospero, un futuro con meno tasse, un futuro con più lavoro. E lo hanno fatto con discorsi talmente appassionanti che noi, sedotti da questa retorica, siamo rimasti quasi ipnotizzati.
Poi a un certo punto ci siamo risvegliati, abbiamo guardato l’orologio, e ci siamo accorti che erano successe due cose. La prima, che, nel frattempo, l’orologio si era trasformato in uno smartphone. E la seconda, che mentre noi ascoltavamo i discorsi sul futuro, quel futuro era arrivato. Ed era tanto diverso da come ce lo avevano raccontato.
Insomma, per farla breve, ho capito che c’era un trucco. Per vent’anni ci hanno parlato del futuro per distrarci dal presente.
Io non voglio commettere quell’errore. So che oggi più che mai, un politico può parlare in modo credibile di futuro solo se questo futuro lo sta già costruendo. E non a parole, ma nei fatti.
Oggi gli ideali, la teoria, la visione di lungo periodo, non sono più credibili se non sono accompagnati da concretezza e velocità d’azione. Sono convinto che tutti i cittadini, oggi, rinuncerebbero volentieri alla bellezza delle parole, per qualche fatto in più.
E dunque quale occasione migliore di questa Fiera del Levante per parlare di futuro, declinandolo al presente, nei fatti e prendendo impegni concreti.
Non abbiamo alibi. Non ne ha l’Italia, non ne ha la Puglia, non ne ha la terra di Bari, che può godere, oggi, di una congiuntura irripetibile.
Perché Presidente del Consiglio, Presidente della Regione e chi vi parla, non solo appartengono allo stesso partito, ma sono anche tre Sindaci.
Sì, perché nonostante le nuove e prestigiose cariche, in fondo, Michele e Matteo sono ancora Sindaci.
E, come sappiamo tutti e tre, un Sindaco può diventare anche Segretario Generale delle Nazioni Unite, ma dentro resterà sempre un sindaco.
Un Sindaco è come il diamante della pubblicità: è per sempre.
Perché lo sguardo di un uomo di cinquant’anni che ha perso il lavoro, e che si vergogna di incrociare i tuoi occhi, come si vergogna di incrociare quelli di suo figlio, un sindaco non se lo scorda più. E, come questa, mille altre storie di dolore quotidiano, diventano per un Sindaco un’ossessione. Ma anche, per fortuna, una formidabile motivazione all’azione e alla concretezza.

Dunque siamo tre Sindaci e tre compagni di partito, che a diversi livelli, lavorando insieme, hanno l’obbligo morale, ancor prima che politico, di far sì che le parole si trasformino in realtà. Di far sì che la collaborazione istituzionale prevalga su qualunque altra spinta. Di far sì che, anche nei discorsi, il futuro sia più che mai «presente».
I precedenti di collaborazione virtuosa tra istituzioni non mancano e sono confortanti. L’anno scorso, da questo palco, chiesi al Presidente del Consiglio che fosse lo Stato ad accollarsi le spese per l’edilizia giudiziaria. E sono stato accontentato. E con me tanti Sindaci.
Dal 1° settembre, dopo oltre settant’anni, l’edilizia giudiziaria è ritornata nella piena responsabilità del Ministero della Giustizia senza più gravare sui bilanci comunali. Ecco il «presente» che per il Comune di Bari significa un risparmio di due milioni e mezzo di euro all’anno.
Sempre su questo palco il Presidente del Consiglio ci ha parlato di riduzione delle spese degli enti locali. Noi ce l’abbiamo fatta, abbiamo razionalizzato i costi e quest’anno abbiamo persino ridotto le tasse, senza per questo diminuire i servizi ai cittadini.
Di questo devo ringraziarti ancora una volta, Michele, perché al contrario di quello che fanno molti sindaci all’ultimo mandato, ci hai lasciato in eredità un bilancio estremamente solido, premiato con l’oscar nazionale del bilancio della Pubblica Amministrazione 2014.
Collaborazione istituzionale virtuosa che sono certo il Governo ci garantirà lavorando affinché anche Bari e il suo Distretto di Corte d’Appello possano ospitare una funzione importante e delicata come la Giustizia, in uffici sicuri, decorosi e soprattutto funzionali. Magari realizzando il Polo della Giustizia su quelle caserme dismesse che prontamente il Governo ha messo a disposizione della città di Bari.
E un ulteriore esempio di collaborazione tra le istituzioni è quello che ci consente di pubblicare, dopodomani, il bando per la realizzazione del Polo delle Arti Contemporanee. La stessa proficua collaborazione con Governo e Regione Puglia, che ci permetterà, alla fine di quest’anno, di affidare i lavori per la realizzazione della più grande Public Library del Sud, nell’area dell’ex caserma Rossani.
Sulla scorta di questi esempi virtuosi, di collaborazione istituzionale e di parole che si trasformano in fatti, ti chiedo, Claudio, di continuare a lavorare insieme per completare il patto per le città metropolitane, a partire da Bari, per progettare e finanziare opere decisive per lo sviluppo dei territori. Anche qui, con date certe, impegni precisi, nomi e cognomi dei responsabili, così come sottolinea stamattina il Presidente del Consiglio in una sua intervista.
Lo stesso Presidente del Consiglio, nei giorni scorsi, ha annunciato di voler eliminare le tasse sulla prima casa. Noi siamo sicuri che lo farà, così come siamo sicuri che contestualmente il Governo verserà nelle casse dei Comuni gli importi per il mancato introito di Tasi e Imu. Ma, mi perdonerete il tecnicismo, chiediamo al Governo che – se una parte rilevante di questa compensazione sarà effettuata attraverso il gettito IMU di competenza statale sugli immobili industriali – questo avvenga con un meccanismo di perequazione, a tutela delle aree meno industrializzate.
Collaborazione istituzionale, futuro e presente, sono parole chiave anche sul tema dell’immigrazione. Leggendo i quotidiani di questi giorni, sembra che improvvisamente tutti se ne siano accorti.
Finalmente non solo l’Europa, ma tutto il mondo sembra aver capito che non si tratta di un problema italiano, o greco, o maltese, ma semplicemente, della storia. Noi, qui, sulla materia, siamo abbastanza ferrati.
La storia ci ha fatto visita 24 anni fa.
Si chiamava Vlora, e portava 20.000 fratelli albanesi.
Beh, noi baresi la accogliemmo, la storia. Perché – come dice Francesco De Gregori – la storia «nessuno la può fermare».
Non la può fermare il più tagliente dei fili spinati e nemmeno il più alto dei muri. E, soprattutto, lo dico alla reporter ungherese, la storia non la può fermare nemmeno il più codardo e odioso degli sgambetti. Chi vuole dare un calcio alla storia, dalla storia, prima o poi, verrà preso a calci.
Noi qui siamo un’altra cosa. Noi siamo la città di Bari che ha detto no al razzismo e all’intolleranza, e che sa che oggi più che mai, all’appello della storia non si può rispondere solo a parole.
I nostri figli, tra qualche anno, leggeranno nei loro libri (o più probabilmente sui loro tablet) quello che sta succedendo in questi giorni.
E noi tutti saremo giudicati, ancora una volta, non solo per le parole che avremo detto ma per le azioni che avremo messo in campo.
È per questo che a Bari stiamo lavorando a progetti concreti che superino il concetto dell’accoglienza per praticare, nei fatti, quello ben più nobile e impegnativo dell’«integrazione».
Sono piccoli grandi progetti che vedranno, insieme, baresi e migranti, operatori sociali e amministratori, tutti coinvolti nella pratica di un concetto di cittadinanza che superi steccati e barriere.
Quello che posso dire con sollievo e con orgoglio, è che in questi progetti, la città di Bari non si è voltata e non si volterà dall’altra parte. C’è un elenco lunghissimo di associazioni, volontari, parrocchie e singoli cittadini che in questi giorni, del tutto spontaneamente, si sono fatti avanti per partecipare alle attività che stiamo mettendo in cantiere insieme alla Prefettura, ai sindacati, e a chiunque voglia dare il proprio contributo. Per questo, oggi, ufficialmente, davanti al sottosegretario De Vincenti e al presidente della Regione, voglio ringraziare il grande cuore di questi baresi. Grazie Bari.
Tra questi progetti ce n’è uno a cui tengo in modo particolare.
Abbiamo chiesto ad alcuni profughi di andare nelle scuole elementari e medie a raccontare ai bambini baresi le loro storie. Contemporaneamente abbiamo chiesto a qualche nonno barese, emigrato, di parlare della sua esperienza. Un modo semplice ed efficace per creare nelle nuove generazioni una sensibilità ai temi dell’immigrazione e abbattere le barriere del razzismo e dell’intolleranza.
Ecco, è così che stiamo provando a scrivere il futuro delle nuove generazioni. Consapevoli che la nostra missione va oltre le parole. E che il racconto del nostro Sud va oltre gli aridi numeri della Svimez.
Oltre le parole, oltre quei numeri c’è una terra in movimento, che spesso lavora in silenzio, lontana dai riflettori, che ospita alcuni tra i gruppi industriali più importanti del mondo, la Getrag, la Bosch, la General Electrics, la Osram, la Merck Serono, la Miller, la Magneti Marelli, ma anche significative esperienze di piccole e medie imprese locali nel settore della chimica, della meccatronica, della meccanica e dell’agroalimentare. Una terra che oggi finalmente fa da traino al turismo italiano, anche in tempi di crisi. Una terra che vuole trasformarsi da terra di partenze a terra di ritorno.
E in questa terra ci sono tornati qualche anno fa, dopo aver studiato all’estero, Luciano e Angelo. Erano cervelli in fuga, ma un progetto della Regione Puglia guidata da Nichi Vendola, che approfitto per salutare e abbracciare, ha premiato le loro intuizioni. E loro si sono inventati la Ferrari dei cieli. Gli aerei della BlackShape sono un esempio straordinario di quello che questa terra vuole fare. Volare alto, leggera e veloce, e sbalordire il mondo intero, grazie all’eccellenza dei suoi talenti.
Noi stiamo facendo la nostra parte, passo dopo passo, mi verrebbe da dire.
Grazie alla collaborazione e ai fondi della Regione Puglia abbiamo già firmato i contratti con 257 cittadini in difficoltà economica, con il progetto Cantieri di cittadinanza. Non un sussidio, ma un’occasione lavorativa per tornare a mettersi in gioco, con le proprie forze, con le proprie competenze, con la propria vita.
Futuro, dicevamo, una parola impegnativa e spesso retorica. Ma chi ha la coscienza a posto non può averne paura. Per questo noi, la parola «futuro», la stiamo scrivendo a caratteri cubitali all’ingresso di un grande edificio. È il progetto Porta Futuro, che inauguriamo fra qualche giorno, e che consentirà a migliaia di giovani di imparare a riconoscere le proprie competenze, di condividerle con gli altri, di apprendere in modo innovativo il lavoro oggi più difficile che c’è: quello di cercare lavoro. Porta Futuro farà formazione, metterà a disposizione gratuitamente tecnologia e competenze, incrocerà in modo intelligente domande e offerte di lavoro.
Per questo progetto potevamo utilizzare un edificio centrale, nel salotto buono della città. Invece «Porta Futuro» nasce nel cuore di un quartiere popolare. Un quartiere «difficile», come si usa dire.
Difficile, certo. Come far seguire i fatti alle parole.
Come far sì che il futuro diventi presente.
Difficile come l’impegno che ogni politico dovrebbe prendere, e che io prendo qui, davanti a tutti voi. Quello di provare a rendere la vita di ogni cittadino di ogni quartiere «difficile», un po’ più facile. Un po’ più felice.