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FdL, Coldiretti con Moncalvo Di Gioia e Caselli: agropirateria e tracciabilità
Le agromafie fatturano circa 22 miliardi di € l'anno, con un aumento del 30% nell'ultimo anno. Ne hanno discusso in FdL Caselli, Moncalvo, Di Gioia e Emiliano
Le agromafie fatturano circa 22 miliardi di euro l'anno, con un aumento del 30% nell'ultimo anno. Un fenomeno dilagante che sta mettendo in ginocchio l'intero settore agricolo italiano. La Puglia è terza nella classifica nazionale, con una infiltrazione criminale pari all'1,31% e 6.057 terreni sequestrati, pari ad un quinto di tutto il territorio nazionale. Sono dati emersi nel corso di un convegno svoltosi alla Fiera del Levante, organizzato da Coldiretti Puglia e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare.
"L'obbligo di indicare l'origine dei prodotti sull'etichetta è un passo fondamentale per il contrasto alle agromafie - sostiene il Pesidente Nazionale della Coldiretti, Roberto Moncalvo - assistiamo ad un nuovo fenomeno di importazione selvaggia di materie prime di bassissima qualità, prodotte in Paesi che sfruttano il lavoro e il territorio, diventando poi magicamente prodotti italiani".
"Accade nella filiera del pomodoro - denuncia Moncalvo - dove solo nel 2016 sono stati importati dalla Cina 91 milioni di chili di concentrato di pomodoro, pari al 20% dell'intera produzione italiana. Per questo ci serve subito l'obbligo di origine del pomodori, di tutti i prodotti dell'ortofrutta e per tutte le filiere, come le carni trasformate”.
Secondo Coldiretti l'obbligo di origine di pasta e passata di pomodoro salverebbe un terzo dell'agricoltura pugliese. Ma l'etichettatura da sola non può bastare: a ricordarlo è Gian Carlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell'Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare: "Al consiglio dei Ministri - segnala l'ex Procuratore - giace un progetto di riforma dei reati agroalimentari, realizzato da una commissione da me presieduta e voluta dal ministro Orlando. Con questa riforma potremmo ampliare le possibilità di intercettazione, di effettuare prelievi e campionamenti a sorpresa e ottenere mezzi di indagine più incisivi".
Tra le novità inserite nel disegno di legge, quella che preme di più ai coltivatori è l’introduzione del reato di agropirateria, con il quale potrebbero essere perseguite contraffazioni e frodi in campo agroalimentare. Nel contempo non bisogna dimenticare il problema della eccessiva burocrazia e farraginosità delle leggi, denunciate dal Presidente Regionale della Coldiretti, Giovanni Cantele: "Dobbiamo fare in modo che le norme vengano applicate, ma che non siano un fardello insostenibile per le imprese. Leggi di non facile applicazione sono un fardello troppo pesante sulle spalle degli imprenditori".
La Regione Puglia, dal canto suo, cerca di tutelare al meglio le produzioni agricole locali. A ribadirlo è I'Assessore regionale alle risorse agroalimentari, Leonardo Di Gioia: "Siamo una delle poche regioni in Italia ad avere un nostro sistema di certificazione. Abbiamo l'esigenza di difenderci dalle frodi alimentari, in quanto adulterazioni dei prodotti e dall'utilizzo improprio delle certificazioni e lo facciamo attraverso l'utilizzo dei disciplinari, il sistema dei controlli, l'utilizzo dei marchi. Con tutta una serie di regole all'interno del nostro Psr che migliora la tracciabilità del prodotto".
Un capitolo a parte riguarda la lotta al caporalato, tema sul quale è intervenuto il presidente della Regione, Michele Emiliano: "La Puglia ha preso atto della nuova legge, ma si rende conto che le imprese locali non sono ancora pronte per gestire i lavoratori migranti, per questo li stiamo aiutando con investimenti importanti, da milioni di euro, per far dormire e mangiare i lavoratori nelle foresterie".
"In questo modo - ha aggiunti Emiliano - tuteliamo non solo la dignità delle persone, ma anche e soprattutto l'agricoltura pugliese che sovente è stata rovinata con immagini di copertina su grandi giornali europei che descrivevano, il pomodoro pugliese come un pomodoro insanguinato dal lavoro illegale delle persone".
Per Coldiretti l'annuncio del Ministro Martina per arrivare all’obbligo di indicare la provenienza in etichetta è una giusta risposta alla battaglia che da tempo combatte l'Associazione. ”L’Italia - si ricorda - è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta con 4,8 milioni di tonnellate su una superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari, ma sono ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero e di queste oltre la metà per un totale di 1,2 milioni di tonnellate arrivano dal Canada.
“Un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero - ha segnalato Moncalvo - senza indicazione in etichetta dell’origine che oltre il 96% degli italiani chiedono ed hanno il diritto di conoscere. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale che la rende obbligatoria, fortemente sostenuto dalla Coldiretti, ci sarà finalmente trasparenza su un elemento di scelta determinante con l’Italia che si candidata a svolgere un ruolo da apripista nelle politiche comunitarie a sostegno della qualità. Una premessa importante per condurre una battaglia anche a livello internazionale contro l’accordo di libero scambio con il Canada (CETA), da dove arriva più della metà del grano duro straniero coltivato con l’impiego di prodotti chimici come il glifosate in preraccolta vietato in Italia”.
Ma il fenomeno delle agromafie è così in crescita che “senza un adeguato apparato di regole penali e di strumenti in grado di rafforzare l’apparato investigativo - ha aavuto modo di ffermare il presidente della Coldiretti - l’enorme sforzo messo a punto dalla macchina dei controlli apparirà sempre insufficiente” e proprio per questo “bisogna al più presto portare all’esame del Parlamento il testo della Commissione Caselli per la riforma dei reati agroalimentari”, valutando anche l’ipotesi di un decreto-legge".
A parere di Moncalvo: “Per l’alimentare occorre vigilare sul sottocosto e sui prodotti low cost, dietro i quali spesso si nascondono ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità se non l’illegalità o lo sfruttamento”, così come per le importazioni “occorre stringere le maglie larghe della legislazione, a partire dall’obbligo generalizzato di indicare in etichetta la provenienza degli alimenti e di rendere pubblici gli elenchi delle aziende che importano da Paesi extracomunitari”.
I monitoraggi Coldiretti indicano che a Bari e in Puglia le fattispecie criminose più significative sono costituite dalla sofisticazione - soprattutto dell’ortofrutta e dell’olio - ma si assiste anche ad una escalation di furti nelle campagne di mezzi agricoli, prodotti, fili di rame e tutto quanto inibisce il sano svolgimento dell’attività agricola nelle aree rurali.
Emerge come il fenomeno delle agromafie, nel corso degli ultimi cinque anni, abbia accresciuto la propria intensità in particolar modo in Puglia (Bari: 1,39%; Taranto: 1,30%; Barletta-Andria- Trani: 1,27%). Palma nera alla provincia di Bari, rientrata a pieno titolo nella top ten della graduatoria che fotografa l’intensità del fenomeno delle agromafie nelle province italiane. Si piazza al decimo posto, seguita a ruota da Taranto al 15esimo, la provincia di Barletta-Andria-Trani al 18esimo posto, Lecce al 28esimo, Brindisi e Foggia rispettivamente al 46esimo e 47esimo posto. I ruoli si invertono se ad essere fotografato è l’indice di permeabilità delle agromafie che raggiunge 100 a Foggia, 66,80 a Brindisi, 44,75 nella BAT, 34,56 a Taranto, 30,75 a Bari e, infine, 25,94 a Lecce.
Il settore agroalimentare, che ha dimostrato in questi anni non solo di poter resistere alla crisi, ma di poter crescere e rafforzarsi anche in un quadro congiunturale complessivamente difficile, è diventato di conseguenza ancor più appetibile sul piano dell’investimento. La capacità di attrazione dei capitali legali da parte della malavita è ben evidenziata dall’attività della Guardia di Finanza che fa notare come le mafie non limitano la loro attività solo all’accaparramento dei terreni agricoli, ma spaziano in tutto l’indotto, arrivando a operare direttamente nelle attività di trasporto e di stoccaggio della merce, nell’intermediazione commerciale e nella determinazione dei prezzi.
Il ventaglio dell'illegalità si allarga dalle attività speculative - poste in essere attraverso la creazione di fondi di investimento operanti nelle diverse piazze finanziarie - al trasferimento formalmente legale di fondi attraverso i money transfer, in collaborazione con fiduciarie anonime e la cosiddetta banca di “tramitazione”, che veicola il denaro verso la sua destinazione finale.
La filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita, ha tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni che via via abbandonano l’abito “militare” per vestire il “doppiopetto” e il “colletto bianco”, come si diceva un tempo, riuscendo così a scoprire e meglio gestire i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza 3.0.
Nel 2016 si è registrata un’impennata di fenomeni criminali che colpiscono e indeboliscono il settore agricolo nostrano dove quasi quotidianamente ci sono furti di trattori, falciatrici e altri mezzi agricoli, gasolio, rame, prodotti (dalle mandorle all’uva, dall’olio al vino) e animali con un ritorno prepotente dell’abigeato. Non si tratta più soltanto di “ladri di polli” quanto di veri criminali che organizzano raid capaci di mettere in ginocchio un’azienda, specie se di dimensioni medie o piccole, con furti di interi carichi di olio o frutta, depositi di vino o altri prodotti come file di alveari, intere mandrie o trattori caricati su rimorchi di grandi dimensioni.
“In Puglia sono 6.057 i terreni sequestrati alle mafie - ha denunciato il presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele - il 20,4% dei 29.689 sparsi in tutta Italia, anche perché il processo di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa si presenta lungo e confuso, spesso non efficace e sono numerosi i casi in cui i controlli hanno rilevato che alcuni beni, anche confiscati definitivamente, sono di fatto ancora nella disponibilità dei soggetti mafiosi. Così vengono sprecati tra i 20 ed i 25 miliardi di euro per il mancato utilizzo dei beni confiscati sulla base delle stime dall’Istituto nazionale degli amministratori giudiziari (Inag). In Puglia, dunque, vanno inutilmente in fumo tra l’1,9 e i 2,37 miliardi di euro a causa di inadempienze, procedure farraginose, lungaggini burocratiche. I criminali che non vengono sgomberati dagli immobili godono persino del vantaggio di non dover pagare le tasse sul bene, poiché sequestrato. Senza dimenticare che i beni di fatto non riutilizzati, anche quando non sono più direttamente a disposizione dei soggetti mafiosi, comunicano all’esterno il permanere del loro controllo sul territorio. Sarebbero, invece, strumenti di avvio e consolidamento delle attività agricole, gestite da giovani agricoltori e dalle cooperative che si occupano attivamente di agricoltura sociale”.
Nei primi 6 mesi del 2016 il Consiglio Direttivo dell’ANBSC (Associazione Nazionale per l’Amministrazione la Destinazione dei Beni sequestrati e Confiscati alla criminalità) ha deliberato la destinazione di 140 terreni, di cui ben il 48% ubicato in Puglia, secondo quanto riportato dal 5° rapporto ‘Agromafie’ di Coldiretti, Osservatorio sulla Criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare ed Eurispes.
(gelormini@affaritaliani.it)