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Fondazione Marisa Bellisario: 'Donne, violenza, pandemia'

Fondazione Bellisario

Tra i soci pugliesi della Fondazione Marisa Bellisario, l'avvocato Ada Marseglia è una delle donne più attente alle problematiche familiari, e la sua riflessione è un interessante approfondimento riguardo i mesi che abbiamo trascorso e quelli che stiamo trascorrendo - o ci accingiamo ancora ad affrobtare - con gli effetti della pandemia . Lo scritto è molto intenso ed è intitolato Donne, violenza, pandemia

Tratta il tema scottante ed indifferibile della violenza domestica, alla vigilia del 25 novembreGiornata internazionale contro la Violenza sulle Donne. L'urgenza di acquisire consapevolezza appartiene invece a ciascuno di noi, pertanto vi prego di aiutarci a diffondere e condividere l’articolo attraverso i vostri canali di comunicazione. Diamo parole nuove al rispetto, alla speranza, all’ amore. (Beatrice Lucarella - Coordinatrice regionale Fondazione Marisa Bellisario Puglia) 

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di Ada Marseglia

Donne, violenza, pandemia. Il sistema antiviolenza italiano è sotto la lente di ingrandimento del Comitato del Consiglio dei Ministri d’Europa che nel corso di una procedura di verifica ha chiesto al nostro Paese di risolvere le criticità che avevano condotto alla condanna dell’Italia per il caso Talpis nel 2017, nonché ulteriori aggiornamenti sulle misure di contrasto adottate per l’attuazione delle misure legislative esistenti nell’ambito della violenza domestica.

Il Comitato era stato allertato nel giugno 2018 proprio dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per la sentenza storica del 2 marzo 2017 (ricorso n. 41237/14, Talpis c Italie), con cui la CEDU ha condannato per la prima volta l’Italia in materia di violenza di genere per il mancato rispetto da parte dello Stato dell’obbligo di assicurare le necessarie condotte positive. Gli stessi giudici di Strasburgo - con detta sentenza - accertarono infatti che, nonostante le reiterate denunce della signora Talpis, le autorità italiane non solo non avevano agito tempestivamente privando le denunce di qualsiasi efficacia, ma che le stesse condotte omissive avevano acconsentito al maltrattante un contesto di impunità favorevole alla ripetizione degli atti di violenza fino al tentato omicidio della donna e alla morte di suo figlio.

Donne No violenza

Il Comitato del Consiglio dei Ministri - per la seconda volta - ha espresso “soddisfazione per gli sforzi continui delle autorità, che dimostrano la volontà di prevenire e combattere la violenza domestica e la discriminazione di genere” ma ha evidenziato alcune resistenze dell’Italia per una piena attuazione delle politiche a sostegno della tutela dalla violenza domestica, indicando un lungo cammino che ancora l’Italia deve affrontare per meglio combattere la piaga del femminicidio. In particolare Strasburgo sollecita fermamente l’Italia a creare “rapidamente un sistema completo di raccolta dati sugli ordini di protezione e fornisca anche dati statistici sul numero di domande ricevute, i tempi medi di risposta delle autorità, il numero di ordini effettivamente attuati”, intendendo in tal modo di aumentare l’efficacia della risposta giudiziaria alla violenza e assicurarla attraverso un sistema di protezione di condotte positive, applicate in modo adeguato, efficace e tempestivo con risultati positivi tangibili”.

non sei sola

Per la seconda volta è stato quindi nuovamente attenzionato lo Stato italiano a definire risposte più efficaci per attuare misure di prevenzione idonee ad eliminare il ripetersi di violazioni accertate con la sentenza Talpis e a salvaguardare in modo 2 efficiente i beni supremi della vita e dell’integrità delle persone, quando c’è un rischio immediato e reale che quei diritti possano essere aggrediti.

Il monito del Comitato è pertanto quello di responsabilizzare le Autorità italiane ad affrontare in modo tempestivo gli interventi di attuazione della Convenzione di Istanbul che rappresenta lo strumento internazionale giuridicamente vincolante per gli Stati, con una serie di obblighi connessi, monitorando la situazione italiana per controllarne la concreta ed effettiva applicazione, con richiesta di informazioni dettagliate sui progressi e sui dati statistici, rinviando pertanto la rivalutazione della efficacia del nostro sistema antiviolenza italiano alla fine del mese di marzo 2021. Non basta infatti che la legge nazionale predisponga strumenti di tutela, ma occorre verificare e valutare la validità dell’attuazione dei meccanismi di protezione previsti dal quadro legislativo istituito.

La violenza è una malattia sociale e globale che non ha frenato nemmeno nel corso dell’epidemia Covid -19, lo hanno dichiarato i vertici dell’OMS e le stesse Nazioni Unite che hanno confermato il “terribile aumento dei casi di violenze domestiche”, che non risparmia nemmeno le persone più “vulnerabili” e in difficoltà, minori compresi. La convivenza forzata per l’emergenza sanitaria, 24 ore su 24, seppur necessaria, ha avuto e continua ad avere conseguenze negative in quegli ambiti familiari segnati dalla presenza di conflittualità preesistenti e latenti, che gli effetti della relativa crisi economica hanno esasperato.

Peraltro il confinamento non solo ha impedito di uscire, ma ha reso difficile anche ogni forma di contatto esterno utile per rompere l’“accerchiamento”, il controllo esercitato dall’uomo violento tra le mura di casa, rendendo quasi impossibile la richiesta di aiuto da parte delle vittime. Senza avere la possibilità di interrompere quel circuito è diventato ancora più difficile scongiurare l’epilogo della più efferata violenza del femminicidio.

Uno studio del Ministero dell’Interno che analizza indicatori correlati alla violenza di genere (i cosiddetti reati “spia”, come stalking, maltrattamenti e violenze sessuali) esaminando le conseguenze dirette ed indirette del Covid sulle dinamiche criminali nel periodo gennaio-giugno 2020 ha riferito che nei mesi più caldi della pandemia quasi tutti i reati in Italia sono calati, tranne i crimini informatici ed i cosiddetti “reati di genere”.

Altro che calo dei reati gravi durante il lockdown, i numeri del Viminale raccontano un’altra realtà. I dati del Viminale contano e raccontano che il lockdown non solo non ha protetto la sicurezza, ma ha aumentato i reati e l’insicurezza, evidenziando la necessità di una maggiore attenzione alle situazioni più a rischio e richiedendo misure più adeguate di protezione che sono proprio quelle delle donne in famiglia.

Le donne ne rappresentano la fascia più colpita, legata a doppio filo a quella assistita dei minori esposti a episodi di maltrattamento in casa, che le statistiche registrano in aumento. I dati relativi ai femminicidi stanno aumentando e sono terribilmente allarmanti. Va detto che la violenza domestica costituisce uno dei reati che la statitisca talvolta non rileva, perché c’è una forma di “numero oscuro” dove il dolore e la violenza vengono avvolti dal silenzio e dalla alla vergogna.

Come certificato dai numeri contenuti nel dossier sulle attività criminali del Ministero dell’Interno per l’anno 2020 negli 87 giorni di lockdown per l’emergenza sanitaria i femminicidi sono stati tre volte più numerosi senza restrizioni. Un’emergenza sottovalutata dall’emergenza sanitaria, che richiede di essere proclamata ed essere inserita nelle priorità politiche. La violenza sulle donne è un problema sociale, la donna viene uccisa in quanto donna, la donna subisce discriminazione perché non è la donna che l’uomo o la società vorrebbero che fosse. Ma quando una donna viene uccisa è una sconfitta di tutti e di tutto…

È un massacro inaccettabile, incomprensibile, che va fermato. E subito! È un atto dovuto che va affrontato con carattere di urgenza nella sua dimensione pubblica, da parte della Società e delle Istituzioni, rappresentando un’obbligazione dello Stato, non solo mediante l’Art. 3 della Costituzione, ma soprattutto a livello internazionale attraverso il riconoscimento della validità dei vari Trattati, Dichiarazioni e Convenzioni a tutela dei diritti fondamentali dell’Uomo ed in particolare attraverso la ratifica della CEDAW.

L’introduzione della recente legge 69/2019, presentata all’opinione pubblica con la denominazione di “codice rosso” approvata con l’obiettivo di affrontare e contrastare, in particolare dal punto di vista procedurale e penale le diverse sfaccettature della violenza, ha rappresentato certamente un’occasione importante per colmare vuoti normativi e di tutela presenti nel nostro ordinamento. Ma non è sufficiente.

Le Istituzioni hanno le loro responsabilità, i loro doveri. C’è ancora molto da fare… La sentenza Talpis c. Italia richiede allo Stato italiano un cambiamento culturale profondo. Le misure penali, processuali, amministrative o economiche messe in campo, da sole non potranno mai avere una piena efficacia se la chiarezza delle leggi e le certezze 4 delle pene non vengono accompagnate da un impegno altrettanto incisivo sul piano culturale. Perché il cuore del problema è di ordine culturale.

Attraverso l’applicazione delle norme si trasmettono importanti messaggi, strumenti di informazione, ma anche di “formazione” di una cultura della prevenzione che passa anche dalla consapevolezza sociale di ritenere inviolabile il rispetto dell’integrità psico - fisica altrui. Educare al rispetto è possibile e necessario per salvarci dall’indifferenza, in modo da realizzare ogni giorno un “contagio”, questa volta d’amore vero…

La strategia comune può salvare tante vite… Solo con un’alleanza di questo tipo possiamo sperare di contribuire a modificare una cultura maschilista e possessiva, ancora troppo diffusa nel nostro Paese. Noi donne ci siamo. Per noi è sempre, ogni giorno, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne…

Ce la faremo!

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