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Fondazione Notte della Taranta - Sergio Blasi: "Io mi fermo qui"
di Sergio Blasi
Il 30 novembre del 2013 ho preso l’aereo, come sempre a mie spese, per raggiungere Palma de Maiorca. Lì ho incontrato l’entourage di Brian Eno per parlare dell’edizione 2015 della Notte della Taranta. Raccontando quello che abbiamo realizzato a Melpignano e nei comuni della Grecìa a partire dal 1998. Ho visto gli occhi dei miei interlocutori accendersi di interesse.
Quell’incontro è stato proficuo. Grazie a quell’incontro ho conosciuto Phil Manzanera, il quale ha accettato la proposta di trascorrere parte del proprio tempo nel Salento, prima per conoscere l’orchestra, poi per impostare il progetto artistico che tante persone hanno potuto godersi lo scorso 22 agosto.
Dall’entusiasmo di Phil, un entusiasmo autentico, intriso di voglia di conoscere e di mettersi alla prova, è nato il coinvolgimento di Paul Simonon, Tony Allen, Anna Phoebe, Ligabue. Uno straordinario supergruppo che ha regalato momenti di eccezionale qualità al Concertone, interpretando, come sempre, i brani della nostra tradizione musicale. Questo è stato il mio ultimo contributo alla Fondazione La Notte della Taranta, di cui ho lasciato il Consiglio di Amministrazione.
Fin dall’inizio la Notte della Taranta ha assunto un carattere di forte impatto economico e turistico oltre che culturale. In questi diciotto anni, in un crescendo che ha avuto come apice la nascita della Fondazione, è diventata un punto di riferimento a livello mondiale sulle modalità con cui il patrimonio culturale immateriale può diventare leva di sviluppo per un territorio.
Abbiamo dimostrato con i fatti che la cultura e l’incontro tra culture musicali a volte diversissime tra loro possono diventare crescita economica e contribuire a garantire un futuro migliore a questa terra. Considero questo risultato uno dei più importanti raggiunti nella mia vita pubblica. Per questo lasciare la Fondazione, come potete immaginare, è una decisione sofferta, lungamente meditata, ma che arriva all’esito di anni nei quali ho sollecitato un dibattito sul ruolo e la funzione di questo Festival per il Salento e la Puglia. Un dibattito che però gli attuali vertici non hanno mai ritenuto di cominciare, concentrandosi esclusivamente sull’evento.
Allora voglio gettare una pietra nello stagno, suggerendo una riflessione che riguarda non ciò che accade sul palcoscenico, la parte visibile, ma quello che accade dietro al palco, nel sempre più politicamente affollato backstage, nelle decisioni sull’organizzazione e la gestione dell’evento, che sempre meno vengono assunte in maniera collegiale, e sempre più invece in solitaria, da un vertice autoreferenziale. Il rischio concreto che intravedo, e che mi convince della necessità di un passo indietro, è che questo progetto possa essere sminuito nelle sue ambizioni alte, smettendo di esistere al servizio del recupero e la diffusione della musica e della cultura tradizionale salentina per servire più misere ambizioni.
Porto un esempio, semplice ma eclatante: quest’anno ricorrevano i cinquant’anni della scomparsa di Ernesto De Martino. Non si è ritenuto di organizzare non dico un convegno ma neanche un ricordo. Non ho ascoltato una citazione in nemmeno una delle innumerevoli interviste ai vertici della Fondazione. Lo spettacolo e la necessità di lanciare numeri come fuochi d’artificio hanno avuto la meglio su tutto, in una ansia da prestazione che non ha nulla a che vedere con la missione della Fondazione.
Per quanto mi riguarda, dunque, mi fermo qui. Ringraziando quanti, in particolare i musicisti, fin dal 1998, hanno contribuito a realizzare questo sogno, che è il sogno di tutti i Sud: mostrare con orgoglio ciò che lungamente è stato considerato qualcosa di cui vergognarsi– perché, fino a non molti anni fa, erano percepiti come vergogna il passato contadino, i dialetti, la cultura orale – e scoprire invece di possedere un tesoro, da mettere a frutto per il bene di tutti.
Esprimo un unico rammarico: non essere riuscito a fare della Fondazione ciò che avevo immaginato. Non solo il luogo dove si organizza il Festival ma una vera e propria scuola in cui giovani ricercatori, studiosi, appassionati, approfondiscono e ricercano, scavando nella nostra cultura immateriale, nel folklore (il “sapere del popolo”) del Salento, della Puglia, dei tanti Sud del mondo, del Mediterraneo. Purtroppo non tutti i sogni diventano realtà, anche quelli che, dopo diciotto anni, pensavo fossero a portata di mano.