I lampioni del lungomare di Bari e
il monologo di Amleto a Crollalanza
Le interviste ai lampioni del lungomare di Bari, l'insolito monologo di Amleto ad Araldo di Crollalanza e la passeggiata di William Shakespeare
L’intervista ai lampioni del Lungomare di Bari da tempo mi ha preso la mano. Soffermarsi ad ammirarli e spendere ogni tanto una manciata di minuti, con qualcuno di essi, è un piacevole passatempo, favorito dal continuo passarvi vicino ogni qualvolta esco di casa.
Quella mattina avevo accompagnato mio figlio al Molo S. Nicola alla partenza del gruppo dei giovanissimi canottieri del Circolo Barion, per una gara in Basilicata. L’alba stava accendendo di nuova luce la schiera silenziosa dei lampioni-sentinelle baresi. Sotto uno di essi - quello quasi di fronte al monumento ad Araldo di Crollalanza - tra le tante bottiglie di birra abbandonate, c’era uno strano origami: un cerchio di carta fatto con mille ripiegamenti.
In realtà, a guardarlo meglio, si trattava di un colletto, di quelli tipici dell’abbigliamento di altri tempi. Forse cinquecentesco. Una “gorgiera”, più adatta a nobilitare teste aristocratiche che a ingentilire ghigni salmastri o marinari, bizzarramente finita sotto quel lampione di Nderr’ a la lanz’, vicino ai pescatori usi a sbattere polipi, per poi arricciarli e mangiarli crudi, rigorosamente accompagnati da un Peroncino ghiacciato.
Da quel lampione il busto dell’artefice del lungomare levantino era ‘in presa diretta’, anzi la notte prima era stato proprio preso di mira dal canto squarciato di versi, declamati in suo onore, da uno strano poeta, che parlava una lingua sconosciuta. Sembrava un attore di scena nel vicino Teatro Petruzzelli, i cui tratti somatici - magari perché vestiva ancora i costumi di Amleto - rimandavano a quelli del celebre drammaturgo inglese William Shakespeare.
Non aveva un teschio tra le mani, ma una bottiglia da tre quarti di Nastro Azzurro: certamente non la prima, dato l’incedere ‘claudicante’ più consono alle ripetute alzate di gomito, che a quelle più cadenzate del sipario del Politeama barese.
L’Amleto-Shakespeare si rivolgeva alla statua come a una sorta di divinità, e nello scomposto farfugliamento, tra un brindisi e un prosit, gli unici riferimenti apparentemente comprensibili erano stati gli intercalari di grandfather o forse meglio great grandfather.
Parlava della madre, si riusciva a capire che faceva riferimento a Messina e alla Sicilia e l’impressione era che maledicesse il destino ‘isolano’, che aveva relegato la sua famiglia a vivere lontano dal Continente: prima in Trinacria e poi in Bretagna, o meglio in Great Britain.
La luce del lampione aveva cominciato a ‘tremolare’ quando in dialetto siciliano, alquanto ‘arcaico’ ma più comprensibile, e avvolto dalla foschia dei fumi dell’alcool il “Principe triste” cominciò a raccontare della madre siciliana e del suo cognome Crollalanza, di Messina, di un padre sconosciuto e del lungo viaggio in mare, da un’isola riscaldata dal vulcano all’approdo su un’isola più grande: terra regina dei mari, del freddo e della pioggia insistente.
E tra un’invettiva e una serie di intercalari a suon di ‘Mizzeca, eccellenza!’ imprecava su mercanti di Venezia e falsi tradimenti, riveriva signorie trevigiane, gentildonne veronesi e bisbetiche padovane; litigava con fantasmi danesi ed evocava le stelle di ‘una notta di mezza estate’, fino a perdersi nella tempesta dei ricordi, per tacere improvvisamente quasi a sottolineare - inconsapevolmente - che stava facendo ‘tanto rumore per nulla’.
Ma avvicinandosi al volto bronzeo di Araldo, quasi per baciarlo, cominciò a sussurrargli: “Shake-speare, shake and speare. To shake: ‘aggitare’, scrollare. Spear: asta, mazza, aculeo, lancia. Shake - spear scrollare la lancia, Shakespeare - Crollalanza”. Per poi gridargli a squarciagola tra il sorriso beffardo e lo sguardo implorante: “U capisti?”, prima di sbattere a terra la bottiglia ormai vuota.
Amleto abbracciò ancora una volta la testa del monumento e pulendosi il naso o la bocca con la manica della camicia di scena, cominciò a allontanarsi con l’incedere alquanto disequilibrato, provando a rientrare verso il boccascena del Petruzzelli.
A vederlo di spalle, mentre l’aurora barese faceva da sfondo naturale al proscenio levantino, William Shakespeare stava ‘passeggiando’ sul Lungomare Crollalanza. Non c’era bisogno che calasse il sipario, il Bardo meridiano lentamente provvide a dissolversi nei raggi del sole, che ben presto 'infiammarono' l’intero lungomare di Bari.
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