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#iorestoacasa, il dopo Coronavirus con Nicola Altobelli Giovani Confindustria

Intervista a Nicola Altobelli - Direttore Commerciale Eceplast Srl e Vice Presidente Relazioni Internazionali G.I. Confindistria.

In questi giorni, in queste settimane, si sente la necessità di raccontare da dentro il quotidiano della quarantena, dell’#iorestoacasa e di indagare le speranze, le frustrazioni, le ansie e le gioie di chi da diversi mondi sta vivendo - come tutti - l’effetto Codiv-19 Coronavirus

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Una serie di interviste per il Magazine di Radici Future e Affaritaliani.it - Puglia a persone, a personalità, a singoli cittadini ed a chi rappresenta dei mondi nel sociale, per entrare nelle pieghe del quotidiano “segregato” e per provare a intravedere gli scenari al di là della luce in fondo al tunnel.

Abbiamo incontrato Nicola Altobelli - Direttore Commerciale Eceplast Srl e Vice Presidente Relazioni Internazionali G.I. Confindistria.

Per un attivo e onnipresente come lei, cosa vuol dire #iorestoacasa e come lo sta vivendo?

Si può dire che mi sto ancora ambientando… Per chi come me ha iniziato a lavorare nei primi anni 2000 e ha costruito la propria carriera sulle ali della globalizzazione, con una media di circa 100 voli all’anno, è una dimensione del tutto nuova: stare a casa non è poi così male, seppure con la preoccupazione di provare a capire per quanto tempo potremo permettercelo.

I dati sono apocalittici e il fatto che alla fine saranno globali non rasserena affatto: i più deboli avranno sempre più difficoltà ad affrontare qualsiasi china. Per la Puglia si parla di una perdita di fatturato dai 6 ai 13,3 miliardi di €

Onestamente faccio fatica a commentare questi dati non conoscendone la fonte e la metodologia di calcolo, ma con il passare dei giorni, anzi delle settimane, ci restituisce un quadro economico e sociale in cui l’impatto di questo virus è sempre più profondo e certamente nemmeno paragonabile a quello della “semplice” crisi finanziaria del 2008 che poi sfocio in una crisi globale per le errate valutazioni e scelte di gestione che furono fatte.

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Oggi purtroppo la situazione è ancora più grave e complessa perché è l’economia reale ad essere stata attaccata direttamente ai suoi fondamentali: l’interruzione delle forniture di prodotti finiti e componenti originata dalla forzata e prolungata chiusura della fabbrica del mondo (la Cina) e ora il ripetersi ciclico in altri paesi. È un mondo che all’improvviso scopre che il modello di sviluppo che ha determinato la più vasta crescita e creazione di valore nella storia è vulnerabile.

Aver privilegiato scelte troppo speculative e orientate all’iper-efficienza dei fattori produttivi ci espone oggi all’improvvisa scoperta l’essere umano è ancora fragile e vulnerabile. Tale presa di coscienza oltre che metterci di fronte alla necessaria (e auspicata) revisione del modello economico, sta scatenando reazioni di panico soprattutto in paesi come il nostro, con età media tra le più avanzate al mondo.

L’emergenza sanitaria va affrontata anche in chiave sociale proteggendo i più deboli con misure straordinarie ma anche con la consapevolezza che purtroppo potrebbe non essere la parte peggiore. Il Governo ha fin qui attuato provvedimenti che pongono pesanti restrizioni al mondo economico, commerciale e produttivo per cercare di contenere il più possibile il contagio.

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Purtroppo, l’interruzione traumatica di cicli di produzione e catene del valore globali in cui le aziende italiane sono tipicamente e largamente inserite (es. componentistica automotive) ci espone al rischio di subire ingenti ripercussioni danni ancor più pesanti nei prossimi mesi, causati dalla perdita di quote di mercato che difficilmente potranno essere recuperate se i nostri concorrenti esteri sapranno approfittarne.

Dunque, la vera paura, è che al contagio virologico possa seguire un contagio economico e sociale in una escalation dai contorni drammaticamente ampi. Certamente non sono scelti facili e per quanto lo Stato possa provare ad proteggere le fasce più deboli, pensare di farlo “fermando tutto” è un clamoroso autogoal nel medio-lungo periodo. Insomma il peggio deve ancora venire e l’orizzonte minimo a cui guardare non può essere inferiore ai 18 - 24 mesi.

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E’ evidente che una delle chiavi-modello ad essere rivalutate è proprio la forma di impresa attenta al sociale e alle specifiche esigenze delle persone. Cosa vi apprestate a fare, per cogliere al meglio il vento a favore?

Purtroppo, ad oggi il vento che soffia è ancora di burrasca. La nostra scelta aziendale, rientrando tra i codici ATECO a cui è consentito continuare a produrre, è stata quella di fermare le linee di produzione per il tempo strettamente necessario ad approvvigionarci di tutti i dispositivi di protezione individuale e i presidi sanitari prescritti dalle recenti norme per prevenire diffusione e contagio in azienda, e di ripartire appena tempestivamente nella massima sicurezza.

Di fatto non vediamo alternative nel breve o lungo periodo se non quella di continuare a garantirci il futuro attraverso il lavoro. Qualsiasi sussidio può essere un ristoro economico e finanziario temporale ma non potrà mai essere sufficientemente grande e durare tanto a lungo, per tanto finché ci sarà domanda dei nostri imballaggi che hanno applicazione in ambito alimentare e medicale siamo chiamati responsabilmente a produrre oggi per garantirci anche il futuro.

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Questa lunga premessa è necessaria per capire che la prima missione di un’azienda resta quella di generare valore riconosciuto dal mercato. È altresì auspicabile che finalmente vengano premiate quelle aziende che generano valore condiviso sul territorio nel pieno rispetto di persone e ambiente, ma questo presuppone un cambio culturale fondamentale che passa anche dalle scelte informate e responsabili dei clienti/consumatori. In somma ci vuole tempo o ci vuole una grave crisi del modello economico come quella che si profila. 

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Quando se ne uscirà, “Tutto non sarà più come prima”. Lo pensa anche lei? Cosa ci toccherà cambiare?

In questi giorni, complice anche il forzato rallentamento dei ritmi quotidiani ci stiamo tutti interrogando sul come sarà il dopo COVID-19. È molto difficile fare previsioni ma sono convinto che lascerà una traccia profonda. Non tanto negli strascichi economici che sappiamo avere sempre un naturale ciclo sinusoidale, quanto più certamente saranno modificate le nostre abitudini e la vita sociale soprattutto dei popoli mediterranei. Diventeremo più “freddi”. Sfrutteremo a pieno le tecnologie digitali in ogni settore, dalla PA al nostro privato. Apprezzeremo certamente di più ogni piccola possibilità di viaggiare e spostarci.  

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Come questo tutto sta cambiando o cambierà anche lei?

Ciascuno a modo suo è figlio del tempo in cui vive. A noi è stata dato questo tempo di straordinari cambiamenti, abbiamo visto un modo accelerare in maniera esponenziale per oltre 30 anni. Forse ora lo vedremo rallentare. Ma non possiamo pensare di poter essere immuni a questi cambiamenti e anche semplicemente resistervi è un esercizio che non mi affascina più di tanto. L’essere umano ha una caratteristica innata che ne ha determinato il successo nella scala evolutiva: la capacità di adattarsi.

(gelormini@gmail.com)

Il poster #iorestoacasa è un'opera grafico/digitale di Jack Poliseno

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Pubblicato in precedenza: #iorestoacasa, il dopo Coronavirus con Giuseppe Fischetti - Manager e Saggista