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“L’Ammerikano” di Pietro De Sarlo Un canto noir per la Basilicata

Dopo il successo della presentazione milanese alla Libreria Feltrinelli di via Manzoni, "L'Ammerikano" sarà presentato a Roma, sabato 8 aprile 2017 alle ore 18,00 nello scrigno letterario della Libreria Risvolti in via Sestio Calvino, 73 - Quartiere Appio Claudio nei pressi di Cinecittà/Tuscolana. "Essere da Barbara e Alessandro (i miei abituali spacciatori di libri) - scrive Pietro De Sarlo - nella loro Libreria Risvolti, che è diventata un vero centro culturale del quartiere, mi da una profonda e emozionante gioia. Vi aspetto".

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Diciamo subito che questo primo approccio narrativo di Pietro De Sarlo “L’Ammerikano” - Europa Edizioni, 2016 ha il pregio della forza del contrasto, tipico di una terra come la Basilicata e che, mentre avanzavo ‘rapito’ nella lettura, ho avuto la chiara impressione che sarebbe già pronto per dar vita al libretto di un’opera lirica, magari secondo i canoni interpretativi contemporanei da Terzo Millennio.

Un ‘cunto’ senza sfumature che conquista il lettore già dalle prime battute, che non sono quelle racchiuse nell’incipit, bensì un paio di passaggi che s’incontrano subito dopo la dedica: “Vince’ tu si’  fesso!”  “Rusì, e che è stato? Cosa ho fatto?” “Vince’ tu si’ fess’ e pure strunz’!” e poi l’altro, prima di cominciare la lettura della storia narrata, a fine prefazione a cura dello stesso Autore: “Prima di iniziare la lettura chiedetevi: ‘Se io fossi contemporaneo di Giulio Cesare leggerei il De Bello Gallico o mi limiterei al suo tweet: Veni Vidi Vici?”

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Due sferzate letterarie che presentano e rappresentano il prologo al taglio dato da Pietro De Sarlo al modello narrativo, che ruota attorno a un tenace Amor loci e al soggetto di sfondo Basilicata: aspro come il sapore delle sue erbe spontanee e al contempo curativo e intenso nel profumo nostalgico di una terra in cerca sempre di se stessa.

“La Basilicata è un po’ come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi”, stigmatizza Rocco Papaleo nel suo Basilicata coast to coast, e come la sceneggiatura di un film dai tratti vivaci di un moderno neorealismo, i ricordi - attraverso i protagonisti - riaffiorano, rimbalzando dai grattacieli di New York agli angusti, polverosi, ma suggestivi vicoli di Monte Saraceno (Stigliano).

La scrittura rapida, leggera, incisiva e piena di ritmo è intrisa delle più nobili atmosfere letterarie di un Sud senza tempo: da Pirandello a Eduardo De Filippo, da Orazio a Shakespeare fino a Carlo Levi. Incastonate nelle sequenze intramontabili di Francesco Rosi, Roberto Rossellini, Paolo Pasolini, dei fratelli Taviani e di Mel Gibson.

E negli scenari rustici di un paesaggio, per molti aspetti ancora incontaminato, tra briganti e pastori che si mescolano a poeti, migranti e umili contadini, si staglia la Val d’Agri, vittima di stravolgimenti ambientali, all’ombra di quell’incanto naturale chiamato Dolomiti Lucane. Dove il vero attore di quella che può essere definita la ‘Saga degli Ametrano’, è il petrolio.e i suoi pozzi da sogno.

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Nei panni de “L’Ammerikano” - dai caratteri somatici fuorvianti - affascina, sconvolge, illude e scombussola la quotidianità di Monte Saraceno, distruggendone valori e legami solidali: da sempre collanti sociali autoctoni delle comunità meridiane a struttura spontaneamente auto-protettiva.

Metafora di una ricchezza ‘devastante’ che abbaglia e nel contempo soffoca le tipicità, come indica lo stesso De Sarlo: “di un ‘Italia che non c’è più. Che crediamo non ci sia più…”. E qui l’autore, anche se non ne fa espresso riferimento, è come se facesse sue le parole del Cristo in croce interpellato dal don Camillo di Guareschi, in cerca di una soluzione all’autodistruzione di una società, che ormai crede soltanto in ciò che vede e tocca, smarrendo la familiarità con quei valori essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pu­dore, speranza.

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La risposta del Cristo è ‘Francescana’: “La soluzione è in ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme e avere fede”.

(gelormini@gmail.com)

(La locandina del film a cura di Jacopo Pompilii)

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