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L’intervista di “Micromega” a Gianfranco Viesti sull'Autonomia differenziata

L’intervista di “Micromega” a Gianfranco Viesti, a cura di Giacomo Russo Spena

“Stanno cambiando il volto dell'Italia e lo stanno facendo nel silenzio generale”. Gianfranco Viesti, docente di Economia all’Università di Bari ed autore del libro "Verso la secessione dei ricchi?" (Edizioni Laterza), è tra i più combattivi nel denunciare le nefaste conseguenze, se fosse varata, della riforma sull'autonomia regionale differenziata, provvedimento che il governo gialloverde ha annunciato e messo in cantiere: “È in pericolo l'universalità dei diritti. E più risorse a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna significano meno finanziamenti alle altre regioni, a ulteriore vantaggio del Nord”.

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Doveva andare in Consiglio dei Ministri lo scorso 15 febbraio, ma alcune frizioni tra il M5S, dubbioso sulla riforma, e la Lega hanno fatto slittare la data. Al momento sono tre le regioni richiedenti: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

“Stiamo discutendo di norme che possono stravolgere il Paese - spiega Viesti - finora disponiamo delle richieste delle Regioni, disponiamo dei primi articoli di questa intesa governo/Regioni, disponiamo di alcune bozze che circolano informalmente, ma non esiste ancora la parte sostanziale che specifica il provvedimento”.

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L’intervista di “Micromega” a Gianfranco Viesti, a cura di Giacomo Russo Spena

Professore, ci può spiegare le ragioni per cui questo provvedimento metterebbe in pericolo l'unità nazionale?  

Sono tre i motivi. Innanzitutto è in pericolo l'universalità dei diritti perché stiamo parlando della riscrittura del funzionamento dei nostri servizi pubblici. In base alla riforma verranno disciplinate ben 23 materie che riguardano la vita quotidiana di tutti i cittadini: sanità, governo del territorio, ambiente, sicurezza, incentivi alle imprese etc.. Prendiamo l'esempio della scuola. Dal Veneto e dalla Lombardia viene chiesta la regionalizzazione dell'istruzione: il sistema scolastico nazionale in queste 2 regioni smetterebbe di funzionare a vantaggio di un'amministrazione regionale che oltre a gestire l'istruzione avrebbe finanche competenza concorrente con lo Stato nel definire le finalità della scuola. All'atto pratico significa che i docenti e il personale diventerebbero dipendenti regionali, non più statali, con contratti specifici e nuovi salari da stabilire.

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Quindi si lamenta il fatto che verrebbe dato troppo potere alle Regioni?

Attenzione, non siamo discutendo di un piccolo decentramento. Qui si cambia profondamente l’organizzazione dell’Italia, si modifica il funzionamento dei grandi servizi pubblici e si possono definire i diritti dei cittadini in base alla loro regione di residenza. Faccio un altro esempio: la sanità. Anch'essa diventerebbe di competenza regionale, segnando la fine del Sistema sanitario nazionale. Capisce l’importanza delle questioni? Adesso assistiamo alla richiesta di due regioni, Veneto e Lombardia, ma se fossero anche altre saremmo alla frantumazione del potere nazionale. Con questa riforma, tra qualche anno, potremmo avere un altro Paese, con regole diverse da regione a regione e con diritti basilari trasformati in beni disponibili a seconda del reddito dei residenti; per poter usufruire dei servizi nella quantità e qualità necessarie, non basterebbe essere cittadini italiani, ma esserlo di una regione ricca, in aperta violazione dei principi di uguaglianza scolpiti nella Costituzione.

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Ci ha spiegato il primo motivo per cui è contrario, ovvero che verrebbe meno l'universalità dei diritti. Quali sono gli altri due?

Il secondo motivo è di carattere finanziario. Veneto e Lombardia chiedono di ottenere, sotto forma di quote di gettito dei tributi che vengono trattenute, risorse pubbliche maggiori rispetto a quelle oggi spese dallo Stato a loro favore. Per questo, nel libro scritto per Laterza, parlo di secessione dei ricchi: le regioni a più alto reddito trattengono una parte maggiore delle tasse raccolte nel proprio territorio, sottraendola alla fiscalità nazionale. Ma attribuire maggiori risorse a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna non significa altro che ridurre i finanziamenti alle altre regioni, attribuendo un ulteriore vantaggio economico al Nord, a prescindere da ogni considerazione circa il divario che già separa questi territori dal Sud.

Sarebbe il tema, sbandierato dalla Lega, del “residuo fiscale”?

Quella è l'impostazione politica. Nelle bozze di testo che ho vagliato non si parla di residuo fiscale – che era a forte rischio di incostituzionalità – ma di dispositivi che cambierebbero comunque la redistribuzione delle risorse statali a vantaggio delle due regioni.

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Qual è il terzo motivo?

È di carattere democratico. Nonostante l'enorme rilevanza finanziaria e di merito di queste disposizioni, il governo ha tentato di far approvare il testo in Consiglio dei Ministri in totale segretezza, senza alcuna discussione pubblica – coi cittadini totalmente ignari – e senza che il Parlamento fosse informato. Data l'importanza della riforma, riguardante il cambiamento di tutti i servizi pubblici del Paese, il tema dovrebbe essere dibattuto pubblicamente e posto sotto attento esame del Parlamento, fermo considerando che le intese tra Regioni e governo centrale, una volta approvate, non si possono più modificare (per motivi giuridici: essendo un’Intesa Parlamento e Governo non possono modificarla se non con l’accordo della regione; e non si può proporre referendum abrogativo). Si parla di un processo irreversibile. Bisogna stare attentissimi, quindi, a ciò che si approva.

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Possiamo dire che tutto parte dalla modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, voluta dall'allora governo Prodi?

Assolutamente sì perché quella modifica apre la porta alla differenziazione tra regioni a statuto ordinario. La ratio era che in base all'art 116 della Costituzione ciascuna regione potesse scegliere una materia specifica di sua competenza. Tuttavia la richiesta del Veneto e della Lombardia stravolge tale articolo perché reclama la competenza su tutte e 23 le materie. Siamo ad una evidente forzatura.

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In base alla riforma pensata dal governo, il trasferimento delle materie alle Regioni avverrebbe anche a scapito delle autonomie locali, le istituzioni più vicine alla cittadinanza, in quanto le esproprierebbe di alcuni poteri. Non si tratta di un altro errore?

È la tesi sostenuta dai sindaci di Milano e Bologna: si stabilisce di attribuire un super potere intermedio che schiaccia gli enti di prossimità. Si squilibra il disegno costituzionale formato dalla triade Stato, regione e città, a vantaggio delle seconde. Un vento pericoloso sta investendo il Paese, quanto resta dello Stato potrebbe essere sbriciolato a favore di Regioni che, in quasi mezzo secolo, non hanno spesso dato grande prova di capacità di governo. Le conseguenze per i cittadini, anche di quelle regioni, potrebbero essere negative.

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Pubblicato sul tema: Fondazione Di Vagno: 'Autonomie regionali e unità nazionale, la prova Europa'

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