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La Lucania di Carlo Levi, Beniamino Placido e Giovanni Russo

Nino Sangerardi

Carlo Levi è stato uno dei protagonisti della cultura del Novecento. Quest’anno ricorrono i 40 anni dalla sua morte(1902-1975), settanta dall’uscita del libro “Cristo si è fermato a Eboli”, ottanta dal confino di polizia imposto dal regime fascista a Levi, in mezzo ai calanchi di Aliano, provincia di Matera.

Nella Milano effervescente di novembre 2015 ci si può imbattere in testimonianze, oggetti e personaggi degli Anni Ottanta. Nei dintorni di Piazza Cordusio (vicino la sede di Borsa Italiana spa, a pochi passi dal Duomo e in fondo a destra  v’è  il Castello Sforzesco) si nota la presenza, a ridosso della scalinata che arriva dentro la metropolitana, di una bacheca-libreria stracolma di depliants, riviste, giornali, libri, pergamene custodite  in scatole di legno pregevole, tomi del Diritto romano e di quello napoleonico, calamai con penne d’oca, contenitori di cartone da cui debordano centinaia di fotografie in bianconero d’epoca. Custode di così numeroso e affastellato bagaglio culturale  e dagherrotipo è un vecchio signore seduto sopra una sedia di plastica nera.

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Solo venti euro

Guardando superficialmente questa vetrina a cielo aperto, tra i due volumi “La montagna incantata” di Thomas Mann  e “Miti d’oggi” di Roland Barthes spunta il risvolto azzurro di “Il paese di Carlo Levi”, finito di stampare nel settembre 1985 da Giuseppe Laterza & Figli, per conto della Cariplo, cassa risparmio province lombarde. Quanto costa questo libro su Levi?  L’uomo anziano smette di pensare a niente e con accento meneghino fa: “Dammi solo venti euro. A me non  interessano i soldi. Interessa diffondere cultura ai tempi di Internet. Mi creda, è una fatica immane. Ma bisogna insistere. Senza  vero sapere non c’è futuro. E poi l’ha scritto Dante: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. Arrivederla”.

Cinquant’anni dopo

Il libro quasi intatto nonostante la sovra copertina di cellophane è “Il paese di Carlo Levi. Aliano, cinquant’anni dopo”, consta 124 pagine, 18 foto in bianconero e a colori, ideato e realizzato dal Servizio Studi Cariplo, diretto da Giampiero Rugarli.

Indagine  fatta da Matilde Fermi e Ettore Gatti i quali affermano: “Aliano cinquant’anni dopo è molto cambiato; però, come traluce dalle interviste agli abitanti  c’è  un senso di diffidenza che sembra prevalere e investire tutto: dalla utilità della cooperazione alla entità reale dei guasti del terremoto del novembre 1983, dalla efficienza delle strutture pubbliche allo stesso ricordo di Carlo Levi, colpevole come uomo politico, di insensibilità clientelare… Il mondo incantato del “Cristo si è fermato a Eboli” è cancellato, senza remissione; è rimasto il Mezzogiorno con i suoi problemi irrisolti”.

Trascorso mezzo secolo - scrivono i due ricercatori del Servizio studi Cariplo, dopo aver analizzato i dati Istat, gli interventi, i finanziamenti e le sovvenzioni statali e regionali, il mercato del lavoro e il risparmio bancario - possiamo dire che ad Aliano forse Cristo è finalmente  arrivato. E’ arrivato sotto la forma dell’assistenzialismo, dei contributi a fondo perduto. Quello Stato che era sempre stato considerato patrigno, un agente esattoriale implacabile al tempo di Carlo Levi, è diventato ora una protezione insostituibile, una fonte di approvvigionamento per vivere un’esistenza decorosa. Il quesito di fondo che si ripropone è se la gente di Aliano saprà uscire da una situazione di continua provvisorietà o se tornerà ad aspettare che il forestiero, l’estraneo, lo Stato si facciano vivi con nuove e vecchie forme di assistenza. Le forze, l’intelligenza, la caparbietà, le capacità per uscire da questo “ circolo vizioso” non mancano: è necessario che prevalgano”.

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La silente desolazione

A fine anno 2015 che vita c’è in Aliano? Ad occhio e croce domina la popolazione anziana, la gioventù  diplomata e laureata sceglie  di andare via,come tanti coetanei dal sud Italia, oppure s’infratta nei bar e pub  tra alcol e birra e Superenalotto e Gratta e vinci e Tv e Internet.

Tragedia sociale e politica non molto dissimile da quella raccontata da Carlo Levi nel 1972. Scrive : “Il costo umano dell’emigrazione è immenso,sia come somma di sofferenze individuali,di perdita di salute, di valori insostituibili; sia come morte e deserti di intere Regioni, come decadenza e corruzione dei paesi piccoli e grandi, spopolati e insistenti: dove al di là di una certa soglia, ogni vita si perde. E i vecchi e gli incapaci stanno lì seduti sui muretti delle piazze, in attesa del nulla; e i resti di una piccola borghesia parassitaria incattiviscono,disputandosi il conto delle anime morte. La vita si fa ogni giorno più lontana, le distanze sempre più grandi;la frattura di un mondo scisso appare sempre più insanabile se non ad opera di grandi rivolgimenti, se non si distruggono le cause”.

Oppure bazzicano, i giovani, nel limbo senza fine delle promesse declamate dai gruppi e gruppuscoli partitocratici . O aspettano e sperano  nella chimera dei concorsi e “chiamate dirette”  e 150 giornate all’anno e precarietà  a vita  dentro e fuori   Cnr di Tito Scalo, Arbea, Ardsu, Alsia, Consorzio di sviluppo industriale, Autorità di Bacino, Consorzi di Bonifica, Protezione Civile, Camere di Commercio, Acquedotto lucano, Acqua spa, Parchi rupestri e naturali, Centri di educazione ambientale, Gal e Pit, Ageforma, Asl, Autorità per la gestione dei rifiuti, Enti di formazione professionale pubblici e privati, Long List di esperti e affini,  Comitati  e Nuclei  e Task  Force e Osservatori e Collegi dei revisori e Gruppi consiliari e  Commissioni d’ogni genere parastatale.

Parecchie le case sfitte, l’agricoltura in via di estinzione. Il Comune si muove per salvare il salvabile, intraprese economiche si azzardano nel settore del turismo e dell’agriturismo. Le  nascite  di bambine e bambini  in persistente decremento.

Ecco: sembra di contemplare la silente desolazione antropologica contemporanea che avanza, come nei dipinti di Pablo Picasso e Carlo Levi prima e dopo le due guerre mondiali.

La Lucania “ Terra ricchissima abitata da cricche feudali e genti  miserabili” (Michele Lacava,1840-1896)?

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Luigini vecchi e nuovi

La pubblicazione della Cariplo è arricchita da un saggio di Giovanni Russo, che ricorda : “Uno dei miei primi incontri  con Carlo Levi è avvenuto nel 1945 mentre a Potenza, in Piazza 18 agosto, aspettavamo insieme il ritorno dall’esilio di Francesco Saverio Nitti, grande personaggio dell’antifascismo, nativo di Melfi. Levi mi disse una frase che dimostrava la sua assoluta mancanza di manicheismo: “Torna in Lucania un uomo che ha riscattato almeno in parte i debiti della borghesia meridionale”. Questo episodio dimostra l’errore di quanti sostengono che nel “Cristo”, Carlo Levi ha mitizzato i contadini ma demonizzato i borghesi. Questo ricordo personale è un’altra testimonianza che Carlo Levi non era caduto come un asteroide nel mondo dei contadini lucani. Quando fu inviato al confino in Basilicata aveva già l’esperienza del pittore internazionale, ed era stato già un protagonista della resistenza al fascismo”.

Carlo Levi partecipò in Basilicata nella Lista del Partito d’Azione insieme con Guido Dorso, Manlio Rossi Doria, Alberto Cianca, Michele Cifarelli alla campagna elettorale del 1946 per la Costituente e per il referendum per la Repubblica. I  luigini, e cioè tutta la borghesia lucana, fecero una propaganda velenosa sostenendo che i contadini lo accoglievano con indifferenza.

Non era vero. “E’ logico - sostiene Russo - che i luigini, offesi dai giudizi contenuti nel “Cristo”, lo accusassero di aver denigrato il Mezzogiorno. Ma Levi non lo aveva affatto denigrato, bensì aveva scritto il poema del Mezzogiorno contadino che era allora la grande maggioranza della popolazione, e messo in luce nello stesso tempo la meschineria e la grettezza di quella piccola borghesia di “ galantuomini” di paese. Un giudizio di grande acume perché è quella stessa borghesia che, dopo il gigantesco esodo contadino degli Anni Sessanta verso l’Italia del Nord e all’estero, è diventata la classe dirigente, in prevalenza clientelare e inetta di oggi. Il Mezzogiorno odierno è caratterizzato infatti da un urbanesimo malato, inquinato da camorra e mafia in certe zone. Levi aveva avuto una felice intuizione quando aveva capito che la civiltà meridionale era collegata strettamente al mondo contadino e che la stessa cultura meridionale, come dimostra la storia dei suoi grandi intellettuali, da Verga a Vittorini a Silone, da Croce a Gramsci a Fortunato, affondava le sue radici nella civiltà contadina così come nella civiltà europea”.

Giovanni Russo conclude il saggio rilevando che Levi “… diceva che i poeti sono più autentici dei politici ed egli si è sempre battuto contro ogni programmazione autoritaria. Per lui, anche se idealizzata, la civiltà contadina era il simbolo dell’autonomia dal basso, della molteplicità fantasiosa del mondo popolare, della libertà sia pure anarchica dell’individuo”.

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Il destino dei meridionali

Il libro del Servizio Studi della Cariplo si avvale della presentazione di Beniamino Placido (Rionero in Vulture 1929-Cambridge 2010), il quale afferma di essere un “meridionale imperfetto”. “Non so più nulla del Sud nel quale sono nato e cresciuto. Al paese natale, un paesino della Lucania come tanti altri, non faccio più ritorno da  quindici anni”. Placido alla domanda se ad Aliano e nel Sud Italia era “meglio prima o è meglio oggi” risponde: “Senza esitazioni dico: stiamo meno peggio di ieri, oggi, non stiamo meglio”.

Poi sottolinea che i meridionali emarginati di Aliano il loro destino non lo determinavano ieri quando dipendevano da uno Stato esoso e ostile, non lo determinano oggi, che dipendono da uno Stato condiscendente e caritatevole. Sempre di dipendenza si tratta.

Tenendo a mente il film di Luchino Visconti “Rocco e i suoi fratelli”, anno 1960, Beniamino Placido osserva che Rocco e i suoi fratelli costruiscono, determinano il loro destino. Si spostano avventurosamente dalla Lucania a Milano.  “Vi si insediano. Con costi terribili, con disumani sacrifici. Rocco e i suoi fratelli è la cosa più prossima ad una tragedia greca che si sia vista in giro negli ultimi tempi. Forzare la natura, correggere la natura allo scopo di renderla più ospitale per noi implica sempre un sacrificio, ieri come oggi. Costruire un ponte implica sempre un sacrificio umano, ai tempi di Serse e di Eschilo come ai tempi di Rocco e dei suoi fratelli: come oggi. Però questo impegno dobbiamo esprimerlo tutti, questo sacrificio dobbiamo farlo tutti, e sopportarlo tutti. Forse l’ultima volta il ponte che abbiamo costruito l’abbiamo pagato di più noi meridionali, senza nulla negare alla generosità ed all’ingegnosità degli uomini del Nord. Per questo è risultato troppo fragile. Dobbiamo farne un altro. Più forte”.

Memoria letteraria

Ultimamente nel solito convegno appulo-lucano per  acculturati e politicanti della sera inoltrata si è udito : “.. Ormai non ha più senso parlare, discutere, tenere conto di questo Carlo Levi…”.

Già, un pittore e scrittore e poeta che, tra l’altro, è stato oggetto di studio di persone come Jean Paul Sartre (L’universale singolare), Italo Calvino (La compresenza dei tempi),  Alberto Cavallari (Bussiamo all’uscio dei nostri scrittori: Carlo Levi), Davide Lajolo (Tutto il mondo di Carlo Levi), Aldo Camerino (Illustri a Venezia. Carlo Levi), Ugo Stille (Un abito di velluto marrone e Nuova York fu in ginocchio), Mario Soldati (Una visione totale della vita dell’uomo: a proposito del telero Lucania ’61), Leonardo Sinisgalli (Una mostra del pittore Levi a Milano), Pia Vivarelli (Carlo Levi pittore). Eccetera.

Così, per tenere viva la memoria letteraria e storica inerente la Lucania, e il Sud dell’Italia.