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Le 'Lezioni di Storia' al Petruzzelli e la campana di Penelope
Proseguono gli appuntamenti delle Lezioni di Storia al Teatro Petruzzelli a Bari dedicate quest’anno a “L’Italia delle donne”. L'assenza di Oriana Fallaci.
Proseguono gli appuntamenti delle Lezioni di Storia al Teatro Petruzzelli a Bari dedicate quest’anno a “L’Italia delle donne”. Dopo Matilde di Canossa, il cui profilo di signora straordinaria di un vasto dominio nell’Italia centrosettentrionale è stato tracciato da Giuseppina Muzzarelli e sottolineato dall’intervento inaugurale di Lella Costa; Chiara d’Assisi e l’approvazione della sua regola, la prima per una comunità femminile ad essere stata scritta da una donna, raccontata da Chiara Mercuri; e Giulia Gonzaga, una donna passata alla storia come una delle donne più belle del XVI secolo, ma dotata di uno spirito ribelle che la spinse ad intrecciare la sua vita a quella dei grandi “eretici” del secolo, come magistralmente descritta da Antonio Forcellino; sarà la volta di Cristina Trivulzio di Belgioioso, una delle figure più rappresentative dell’Ottocento italiano ed europeo, con lo sguardo al Risorgimento al femminile di Alberto M. Banti.
Prima di affrontare il gran finale dedicato a Margherita Sarfatti, pigmalione discreto dell’ascesa di Benito Mussolini e della sua scalata al potere, descritta da Emilio Gentile ed alla riassuntiva conversazione con Simona Colarizi, sulle premesse e gli esiti del movimento femminista.
Un modo accattivante e suggestivo per leggere la storia del nostro Paese, attraverso le vicende di alcune grandi figure femminili, sulle quali - sin dal primo appuntamento - si percepisce il silenzio distratto e assordante (non ha goduto neppure della fuggevole citazione) di Oriana Fallaci. Della quale si possono anche non condividere riflessioni e interventi, degli ultimi tempi soprattutto, che hanno scosso menti e coscienze d’ogni sorta. Ma che resta una delle più stimolanti e moderne protagoniste della storia, del giornalismo e della letteratura italiana.
Raccontare la vita e testimoniarne l’amore sconsiderato, confrontandosi quotidianamente con la morte e disprezzandone ogni sua manifestazione e ogni suo colpevole dispensatore: questa la tela incessantemente tessuta, per un’intera esistenza, dalla Penelope del giornalismo internazionale, dalla scrittrice italiana più letta nel mondo, dalla regina delle intervistatrici scomode e del reportage di guerra, al secolo Oriana Fallaci. Nata a Firenze il 29 giugno 1929 e cresciuta all’ombra di modelli come Dante, Michelangelo o Girolamo Savonarola, ha sempre difeso orgogliosamente il suo essere toscana, anche al di là dell’Atlantico a New York, in quella sua seconda patria che aveva eletto a residenza preferita.
Guerra e letteratura sono da sempre un binomio inscindibile e Oriana, nella sua ricerca della libertà (per lei “unica parola senza sinonimi”), vi si è inserita quale sintesi magnifica di testimonianza, provocazione e ostinazione. La guerra, come momento più alto dello scontro fra vita e morte, era stata abituata a viverla, in prima linea, fin da piccola. Dai tempi della staffetta di 'Giustizia e Libertà' col padre Edoardo, maestro di lotta per la libertà e di impegno civile, e lo zio Bruno che le raccomandava: “Vivi! E poi, scrivi”.
Avevo quattordici anni quando l’ho conosciuta sulle pagine scioccanti e suggestive di “Niente e così sia”. Indelebile è rimasta nella mente la cruda scena-racconto di un’esecuzione, compiuta dai vietcong, con precedente evirazione della vittima: un contadino vietnamita. Dovunque vedesse una prepotenza Oriana non esitava un attimo a denunciarla, e lo faceva sempre con durezza e senza mezze misure, convinta che “la vita dell’uomo è una guerra”. A tal proposito, Renato Farina ricordava: “Oriana ha sempre avuto un unico nemico: il niente. Il contrario di Dio”.
L’ho poi cercata e ritrovata con “Se il sole muore”, nella intramontabile “Intervista con la storia” e nell’appassionante “Lettera a un bambino mai nato”. I suoi reportage l’hanno resa famosa al mondo intero. Le sue interviste hanno fatto tremare i potenti della Terra. Si definiva più brava di Hemingway. E lo era. In lei albergava, come se non bastasse, anche “il genius loci di un altro grande toscano, Curzio Malaparte, che ne aveva intuito il talento e l’aveva incoraggiata e formata” (M. Brambilla).
Rabbia, orgoglio e indisponenza si sciolsero nell’amore per il suo ritrovato Ulisse, Alekos Panagulis, il leader affascinante - nella Grecia dei colonnelli - della difesa della libertà e di quella dei diritti civili. E di nuovo si acuirono, qualche anno più tardi, verso i seminatori di morte e le schegge impazzite di Osama Bin Laden. L’attacco e l’invettiva, questa volta, diventarono furibondi nei confronti dell’Islam. Ma anche dell’Occidente, che rinuncia al cristianesimo per abbracciare il niente.
E’ su questo crinale che Oriana, l’atea-cristiana, si sintonizzerà col nuovo Pontefice Benedetto XVI. E rafforzerà il rapporto col suo amico più caro, Mons. Rino Fisichella, a cui affiderà la mano nel suo momento più terribile. Il prelato ricorda e fa notare come “Il grido di Oriana non era ostile ai musulmani; era rivolto all’Occidente affinché non perdesse la sua identità, come Medea che aveva assassinato i suoi figli. Oriana usava la provocazione dell’Islam anche per dire all’Occidente di non abbandonare la Chiesa, e alla Chiesa di non abbandonare l’Occidente”.
Amava la vita, ma della morte non aveva paura. Si era abituata a guardarla negli occhi, l’ha tenuta stretta fra le dita una vita intera, ne ha respirato l’odore con un’intensità senza eguali. Al Monsignore - approdo e amico di sempre - ha affidato, da scrittrice, la sua ultima sfida d’amore, quando ha chiesto di suonare le campane di Sant’Ilario, la parrocchia di famiglia, al proprio funerale (Oriana è venuta a mancare il 15 settembre 2006). La prima musica udita, venendo al mondo.
“Non chiedere per chi suona la campana - ammoniva Hemingway - essa sta suonando anche per te”. La campana di Oriana, invece - fino all’ultimo - ha avuto un suono diverso; a ben sentirlo, un rintocco che “svegliasse”, ma sempre pieno di dolcezza, per tener costantemente desto l’animo e annunciare instancabilmente e a viva voce che “la vita non muore”. Sì, in effetti, era proprio più brava!
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Pubblicato sul tema: La lettera di Oriana a Pier Paolo Pasolini