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Lina Wertmuller, gli esordi pugliesi raccontati da Oscar Iarussi

Il ricordo di Lina Wertmüller messo a fuoco dalla lente raffinata di Oscar Iarussi, Direttore de "La Gazzetta del Mezzogiorno", saggista, critico cinematrografico e componente della Commissione esperti della Mostra d'Arte Cinemagrofica di Venezia.

CIAO LINA, RAGAZZA DEL SUD

di Oscar Iarussi

Ci lascia a 93 anni Lina Wertmüller, all’anagrafe Arcangela Felice Assunta Wertmüller Von Elggspand Von Braucich, prima donna candidata all’Oscar, per la migliore regia con 'Pasqualino settebellezze' (1976) e Oscar alla carriera nel 2019.

Esordisce con un titolo breve, 'I basilischi' (1963), girato fra Minervino Murge e Spinazzola in Puglia e la vicina Palazzo San Gervasio (Potenza), il paese di cui è originario il padre, un avvocato lucano dalle aristocratiche ascendenze svizzero-tedesche.

Lina è nata a Roma nel 1928 e ha già scritto i testi per Canzonissima nel 1959, quando la sua amica più cara, l’attrice Flora Carabella, moglie di Marcello Mastroianni, la presenta a Federico Fellini, di cui diventa aiuto-regista per '8 ½' nello stesso ’63 del film che la rivela.

I basilischi si aggiudica la Vela d’argento e il Premio internazionale della Critica al XVI Festival di Locarno. I ragazzi di oggi conoscono Basilisco, la creatura magica della saga di Harry Potter, un rettile con la cresta ricorrente nell’immaginario medievale, ma, come nel caso dei “vitelloni” romagnoli nel debutto felliniano del 1953, i basilischi lucani sono i giovani accidiosi in preda allo strapaese e alle chimere di fuga. Fuga impossibile anche quando è stata tentata una volta, magari verso Roma, la peccaminosa capitale di molte illusioni.

Nel prologo di I basilischi, la voce narrante tesse uno sconsolato elogio della “controra”, la siesta dopo pranzo che paralizza quasi tutto il paesello, dagli effetti paragonabili a una quotidiana eruzione pompeiana, implacabile nel bloccare all’istante ogni attività o ambizione. Nel finale la medesima voce tira le somme: “Parla, parla...Tanto che non partirà più tutti l’hanno capito, e pure lui. Perché? Eh, e ci u sap! Può essere che ad Antonio gli manca qualche cosa, o forse ci manca a tutti noi… E’ per questo che la vita nostra passa e facciamo così poco, così poco... Oppure può essere che siamo quelli che la razza, il clima, il luogo, la storia hanno voluto che fossimo, come dice quel grand’uomo del Sud. Bah…”.

Quel “grand’uomo del Sud” è Giustino Fortunato, scrittore e politico nato a Rionero in Vulture, dai cui scritti è estrapolata la frase sulla razza, il clima e il luogo. Lina Wertmüller la fa sua nella chiave grottesca del film, che sembra frustrare ogni ipotesi di riscatto meridionalistico.

I basilischi è coprodotto dalla “22 dicembre”, la società di Ermanno Olmi e Tullio Kezich, e riserva un ruolo per Flora Carabella al fianco dei più giovani interpreti principali, il napoletano Stefano Satta Flores che sul set apulo-lucano muove i primi passi di una carriera di pregio con Ettore Scola e Pasquale Squitieri, purtroppo breve (morirà nell’85), e il barese Antonio Petruzzi che invece si farà valere nel settore alberghiero, tornando a occuparsi di cinema molto tempo dopo in qualità di presidente dell’Istituto “Capri nel mondo”.

Indimenticabile il dialogo con marcate cadenze meridionali tra Satta Flores e una ragazza sgonnellante, pedinata su e giù lungo le scalinate del borgo semideserto, fino all’incontro che entrambi fingono sia casuale… 

“A proposito, cercavo proprio a lei…”

“A me!?”

“Eh, avrà notato che è parecchio che l’ho notata…”

“Embè”.

“Beh, signorina io voglio sperare, beh, insomma, che non vorrà deludere il mio sogno”.

“Lei è un serio ragazzo e mi piace, ma ci devo pensare, la risposta fra tre giorni”.

La battuta diventa un tormentone. “La risposta fra tre giorni” non è solo la replica di una giovane donna che si tira la calza. E’ l’evidenza di un attendismo senza scampo, di una lingua che batte dove il dente duole. Eppure negli stessi anni e oggi più che allora c’è chi pensa il contrario: in Basilicata, nelle pieghe del passato, lampeggia un futuro insospettabile. E quel film di Lina Wertmüller ne fu un presagio.

Oscar Iarussi - Direttore de "La Gazzetta del Mezzogiorno", saggista e critico cinematografico. Ha insegnato Storia del cinema americano nell’Università di Bari ed è nella commissione esperti della Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Già collaboratore di vari festival in Italia e all’estero (Montréal, Edimburgo), ha presieduto la Apulia Film Commission e ideato le rassegne multidisciplinari "Frontiere" e "Tu non conosci il Sud". Con Il Mulino ha pubblicato C’era una volta il futuro. L’Italia della Dolce Vita (2011), Andare per i luoghi del cinema (2017) e Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico (2020).

^L'articolo è stato ripreso dal profilo FB dell'autore, previa sua approvazione.

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