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Molise - Puglia, un legame antico custodito nel solco dei cavatelli
L'antico legame che unisce il Molise alla Puglia, per essa da sempre ponte verso gli Abruzzi, custodito nelle tradizioni popolari e nelle mani delle loro donne.
E’ un legame antico quello che unisce il Molise alla Puglia, per la quale da sempre è stato ponte verso gli Abruzzi, lungo il dipanarsi degli scambi etnici e il moltiplicarsi dei nomadismi transumanti. Un legame che affonda le radici comuni nelle tradizioni e, da sempre, esprime effetti corrispondenti nelle contaminazioni conseguenti.
Quello dei “cavatelli” è uno dei capitoli suggestivi di quell’antologia di legami, in cui l’applicazione “pugliese” finale prevarica sulle origini “molisane” autoctone e si afferma nel ventaglio di declinazioni che ne hanno saputo esaltare la carica identitaria territoriale.
Lo racconta con dovizia di particolari Maria Vasco, sacerdotessa rupestre del Molise e resonsabile di http://www.moliseinvita.it, raccogliendo le testimonianze di uno dei presidi più tipici di questa originale forma di pasta fresca: i cavatelli dei sepolcri, o meglio, “i ciufl du séppulch”.
“Ogni piatto ha la sua origine si sa, antica o moderna che sia, ma quella de “i ciufl du séppulch” di Montorio nei Frentani, piccolo paese in provincia di Campobasso, dalle fondazioni antichissime, circondato da dodici colline - dall’alto dei suoi 654 m s.l.m. - è davvero una storia ricca di emozioni, stretta com’è al senso di appartenenza che lega la popolazione al paese e al sentimento devozionale diffuso”.
Un piatto penitenziale, che nasce tale in Molise e - come vedremo - si trasformerà in piatto di occasione e poi di festa nelle regioni limitrofe.
La storia vuole che, durante i giorni che precedevano la Pasqua, il sagrestano della Chiesa Madre del paese - Costanzo De Simone - fosse solito raccogliere dalle famiglie dei fedeli offerte in natura: delle semplici ciotole e sacchetti pieni di farina, in funzione delle possibilità e delle diponibilità di ognuno, fino a raggiungerne un cumulo tra i settanta e i cento chilogrammi.
Con quel tesoro, invitava le donne del paese a trasformare tutta la farina in ciufl du séppulch (cavatelli del sepolcro), primo piatto già tipico del Molise, per il vespro del giovedì santo.
“Metodo e ricetta per realizzarlo era qualcosa di molto semplice - spiega Maria Vasco - impastare la farina con acqua; lasciare a riposo per circa 30 minuti; allungare la pasta su di una spianatoia di legno con un matterello preparando una sfoglia non molto sottile; tagliarla a listarelle e dopo a pezzetti di circa quattro centimetri; “cavare” facendo pressione tirando sulla spianatoia ogni pezzetto con tre o quattro dita”.
“La pasta viene cotta per pochi minuti e condita con un soffritto di olio extravergine di oliva, aglio e abbondante peperoncino, questo deve essere piccante e dolce (messo a fuoco spento, in modo da fare assumere al piatto una colorazione rosso vivo). Appena preparata, veniva offerta nella casa del sagrestano ai fedeli che uscivano dalla chiesa, dopo la messa vespertina “in Coena Domini”. La celebrazione che dava inizio al ‘Triduo pasquale’: con la lavanda dei piedi, la legatura per silenziare le campane e l’allestimento della Reposizione (per la visita in preghiera ai cosiddetti Sepolcri)”.
Una sorta di rito laico e popolare, che accompagnava quelli religiosi, tenuto vivo dal sagrestano, fino alla sua partenza come emigrante verso il Canada nel 1960 e che solo recentemente è stato pian piano recuperato, per restituire continuità alla tradizione e valorizzare le testimonianze del patrimonio immateriale locale.
I cavatelli molisani fatti con la farina, arrivano in Puglia con le migrazioni della transumanza e ben presto vengono sottoposti alla sostituzione della farina con la semola di grano duro, talvolta arricchita anche da qualche aggiunta d’uovo, per diventare 'cavatelli pugliesi'. La loro realizzazione più rapida, rispetto ai tempi e all’esecuzione più articolata delle orecchiette, li fanno diventare una loro valida e apprezzata alternativa.
E col tempo, il piatto penitenziale si trasforma - attraverso le elaborazioni e le variazioni territoriali pugliesi - in piatto di festa: in Capitanata nella declinazione con ragù di agnello o di maiale o ancora di misto carne con pecorino oppure sugo di pomodoro con rucola e cacio-ricotta; nella Murgia con i funghi cardoncelli e marasciuoli (verdure spontanee); a Taranto con le cozze e il pomodoro.
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