PugliaItalia
"Pudore" di V.A. Loprieno
L'intelligenza della donna
“Il pudore è l’intelligenza della donna”, lo affermava Libero Bovio, celeberrimo autore napoletano con sangue pugliese nelle vene: il padre, Giovanni, era di Trani. Una virtù che le donne in genere, e quelle del Sud in particolare, custodiscono con sapienza, pazienza e lungimiranza, per salvaguardare la propria intimità e poterla offrire - con dolcezza - a chi può apprezzarla veramente. Accettando, con coraggio, orgoglio e spirito di sopportazione ogni tipo di conseguenza pratica.
Questo è il fulcro analitico attorno cui si dipana l’ultimo lavoro di Vito Antonio Loprieno, “Pudore”- Il Grillo Editore, 2015 - pagg. 251, € 14,00 che prende spunto da fatti realmente accaduti - sullo sfondo del dramma collettivo della Grande Guerra - e sviluppa nella narrazione romanzata una storia d’amore “impossibile” e “trasgressiva”, vissuta come una fiammata travolgente, capace di ridare slancio a una voglia di vita smarrita e affogata tra i lacci e i pregiudizi di una comunità segnata dagli uomini.
Il pudore raccontato come sentimento nobile, dal grande valore umano e testimonianza di una intimità preziosa e parallela all’esistenza pubblica. Attraverso Rosa e gli altri protagonisti della vicenda, che si direbbero usciti dai tratti impressionisti delle tele di Giuseppe De Nittis, pronti a farsi travolgere dai fermenti “futuristi” di una Parigi d’inizio secolo. Inconsapevoli della tragica deriva verso cui correva la zattera senza timone di un’Italia senza rotta, in cerca di uno spirito nazionalistico necessariamente più incisivo e decisamente più coinvolgente.
Una storia d’amore tra Rosa e Antonio - amico Sindaco del marito medico, Michele - che nasce tra i capolavori del Louvre e le eccitanti suggestioni di Pigalle, e che stenterà a sopravvivere nel silenzio delle brume mediterranee della Valle d’Itria e nel labirinto paesano e meridiano di una cittadina di Puglia come Locorotondo.
L’amore, le trincee immaginate, le devastazioni oggettive e soggettive della guerra, quella che aprirà scenari drammaticamente e tragicamente nuovi nella vita di tutti e di ciascuno, fanno da cornice e sfondo al paradosso della tenace e per niente facile lotta di Rosa, per emanciparsi come donna in una realtà sociale da sempre fondamentalmente “matriarcale”, per la conquista dell’unico elemento a tutte ancora negato e censurato in una società di uomini: “la dignità”.
Raccontare la storia è il leitmotiv del lavoro di Vito Antonio Loprieno, da “Lorodipuglia” a “Il mare di lato” , da “Il XIII papiro” al recupero della memoria e della tradizione attraverso il ripristino della rievocazione storica de “La Vidua Vidue” a Bari nella Città Vecchia. In questo ultimo libro, dove l’autore si cimenta con l’ulteriore esercizio letterario di un io narrante “donna” (che vorrebbe l’apostrofo), siamo proiettati nei contrasti psicologici e sociali di inizio secolo scorso, e condotti nel conflitto - variamente declinato - tra chi l’intervento lo anela proclamandolo soltanto, chi lo affronta praticamente partendo per il fronte, chi invece ne fa strumento di propaganda e chi, con fatica, lo pratica in forma più “pudica”.
Quella di Rosa è una spinta irrefrenabile, una corsa spontanea verso l’Arte e la Bellezza, che vive l’affanno della ricerca di confronto con un marito più sensibile alla missione del suo lavoro, che agli slanci culturali della moglie - a suo tempo imposto dalla sua famiglia “per un futuro sicuro” - e lo sbocco liberatorio nelle attenzioni di Antonio e negli incontri, sempre meno segreti, e pur sempre fugaci e appassionati.
Mentre attorno a lei è tutta una corsa, verso l’affermazione egoistica e la prevaricazione sociale, Rosa scopre il piacere del servizio e del dono. Trova nel prossimo e nella dedizione agli altri la forza per “andare avanti”. La sua non è una tela come quella di Penelope, tessuta, disfatta e ritessuta, nell’attesa passiva, rassegnata e comunque speranzosa degli eventi.
La resistenza “attiva” di Rosa a Locorontondo fa il pari con la fuga di Enea da Troia in fiamme: entrambi prendono per mano il futuro: quello di Rosa si chiama Amelie e la trascina ancora verso l’emozione “europea” e senza tempo della città più bella del mondo: di nuovo verso Parigi!
(gelormini@gmail.com)