PugliaItalia

#Qui-non-è-Halloween, ora basta!
Appello alla Regione e ai pugliesi

Antonio V. Gelormini

Orsara di Puglia (Fg) con i suoi ‘Fucacoste e Cocce Priatorje’ diventi patrimonio regionale e stimolo al recupero di tradizioni ed identità territoriali perdute

Carissimi, Michele Emiliano - Loredana Capone - Aldo Patruno,

Eh, no! Non basta più compiacersi ed invitare ad apprezzare, e magari visitare, il piccolo borgo di Orsara di Puglia - in provincia di Foggia, tra le colline della Capitanata, impropriamente chiamate Monti Dauni - che “in occasione di Halloween” diventa meta di migliaia di turisti, viaggiatori e cultori della buona cucina pugliese, con il suo appuntamento dei ‘Fucacoste e Cocce Priatorje’.

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Sono convinto che non si tratti più di una mera operazione di promozione e attrazione turistica, ma che siano maturi i tempi per affermare, sostenere e ribadire che questa è una vera e propria operazione culturale. Se volete una ‘rivoluzione’ di bellezza autoctona: di quelle intrinsecamente territoriali, che pur nelle varie declinazioni ‘locali’ hanno l’ambizione e la forza di un sentire comune ‘globale’, perché legato - magari inconsapevolmente - alla storia di tutti e alla memoria di ognuno.

E’ la notte che gli orsaresi dedicano da tempo immemore alla celebrazione dei “Fucacoste e cocce priatorje” (falò e teste preganti del Purgatorio). Il fuoco, la condivisione del cibo, gli spettacoli musicali e le performance degli artisti di strada sono solo alcuni degli elementi che fanno di questo evento uno dei più attesi dell’anno.

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A Orsara di Puglia, ma non solo qui e da tempo immemore, nella notte di “Ognissanti”, si celebra una festa antichissima e a poche ore dall’evento, ancora oggi, le famiglie cercano di accaparrarsi le zucche migliori per i propri bambini.

Orsara, uno dei Borghi più belli d’Italia, nell’occasione si trasforma: acquisendo le caratteristiche di un luogo magico. Davanti all’uscio di ogni abitazione si vedono grandi tavolate. Si mangia per strada, in una grande comunione collettiva, che riempie il borgo di voci, risate, musica e allegria. C’è da far fronte e sdrammatizzare il mistero di una notte ricca di suggestione e di paure, che sembra davvero destinata a fare abbracciare due mondi: l’uno materiale e visibile, l’altro ultraterreno e impalpabile, ma pieno di suggestioni.

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La tradizione, infatti, vuole che le anime del Purgatorio (cocce priatorije) possano purificarsi attraverso il fuoco e trovare la via del Paradiso, che viene indicata loro dai lumi nascosti dentro le zucche. E’ la festa della luce, dunque, non quella delle tenebre. Gli orsaresi, in questo periodo, si affannano a spiegare ai visitatori che la loro festa non ha nulla a che fare con quella di “Halloween”, ormai diventata un appuntamento commerciale. L’evento che si celebra a Orsara di Puglia, al contrario, è ancora profondamente legato al culto dei defunti e rifugge decisamente dal “rito” consumistico del “dolcetto o scherzetto”.

Saranno i più piccoli, con l’aiuto di nonni e genitori, a intagliare queste grandi “mongolfiere” arancioni, per renderle “umane” e adeguarle a ospitare un lume al loro interno. Affinché la festa sia perfetta, occorre accatastare per tempo tutto il legname necessario a preparare un falò che faccia invidia a quello del vicino. E poi non bisogna dimenticare vino, carne, pane, patate e dolci tipici, cioè tutte le pietanze e gli ingredienti che saranno consumati quando, in ogni stradina del borgo, si terrà un banchetto a base di piatti “poveri, ma gustosi” e in tutto il paese saranno esposte centinaia di zucche lavorate, in modo creativo e illuminate al loro interno.

Non farsi ammaliare, quindi, dalla rincorsa relativistica a mode con elevato tasso di consumismo, come le zucche “vuote” di Halloween. Ma perseguire itinerari della memoria e della tradizione, per rinforzare il carattere identitario comune e far rivivere il senso di appartenenza alla propria comunità. Questo è il messaggio virtuoso, il meritevole intento e la pregevole azione di stimolo di questa comunità dell’Antica Daunia (Daunia Vetus).

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Un mosaico di tradizioni e di memorie, che hanno a suo tempo attraversato l’Oceano sulle navi dei nostri migranti, per approdare in quell’America che nel tempo le farà proprie, le rielaborerà e ce le rimanderà sotto forma di moderne tendenze edonistiche.

Un esempio concreto e rivelatore: nei paesini della Daunia, come altrove, si era soliti uccidere il maiale intorno al 19 gennaio, festività di Sant’Antonio Abate - il santo col porcellino (dove si venera questo santo, sono tipici i falò in suo onore: a Varese, in quelle fiamme, si lanciano bigliettini con le intenzioni o la richiesta di grazie e intercessioni). A un mese di distanza, in coincidenza col Carnevale, cominciavano ad essere pronte le prime salsicce, lasciate ad asciugare e stagionare in cantina. La tradizione locale e popolare, vedeva gruppi di ragazzi mascherati, che nella serata del Martedì Grasso, l’ultima prima della Quaresima, bussavano di casa in casa ripetendo questa filastrocca: “Carnuval’ e carnuvalicch’, damm’ nu rocchj’ de savzicchi’! E si n’mm’ lu vuj d’^, che t’ pozz’n’ nfracj’d^!” (Carnevale e carnevalicchio, dammi un pezzo/tocchetto di salsiccia. E se non me lo vuoi dare, che ti si possa infracidire!). E cos’altro è questo, se non il melting-pot prodromo di “Dolcetto o scherzetto!”?

Fucacoste il cuoco Peppe Zullo

L’evento che si celebra a Orsara di Puglia, rifugge dall’effimero commerciale, ma resta tradizionalmente e profondamente legato al culto dei defunti. Per cui, al diavolo “dolcetto o scherzetto”, per un ben più nostrano: “fichi secchi e mele cotogne, con grano cotto (cicc’ cott’) e vino cotto per le anime dei morti”. Affinché i nonni di ieri e la memoria tramandata, possano farsi leva per i giovani d’oggi, utili a un futuro davvero migliore e niente affatto evanescente.

Elemento caratterizzante dei fuochi resta la ginestra, un arbusto che in fiamme si volatilizza facilmente, facendo sembrare che il legame cielo-terra si compia sotto i nostri occhi. E’ convinzione che le anime dei defunti, tornando fra i vivi, facciano visita ai parenti e tornino alle dimore. Secondo la credenza popolare, la zucca accesa fa ritrovare al defunto la casa dove era vissuto. In onore dei defunti, si consumano cibi poveri ma simbolici: il grano lesso condito col solo mosto cotto, le patate, le cipolle, le uova e le castagne cotte sotto la brace.

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#Qui-non-è-Halloween, allora, diventi un’iniziativa diffusa e il leit motiv ripreso dalla Regione Puglia e da Pugliapromozione, facendone - perché no? - strumento di tipicità e di attrazione culturale, prima ancora che leva di promozione turistica.

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Resta forte la speranza che questo appello non resti esortazione isolata, affidata alle folate di vento che attraversano la Puglia e in particolare la Capitanata. Ma che possa essere riflessione condivisa e rilanciata dall’intera comunità regionale ed occasione di orgoglio identitario diffuso. Per riaffermare e valorizzare la forza coinvolgente di un patrimonio immateriale antico, le cui radici, potremmo tranquillamente ribadire, affondano saldamente nel futuro!

(gelormini@gmail.com)

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Pubblicato sul tema: Ognissanti: la tradizione dei Cicci cott' (di A. Gelormini)