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Renata Fonte, tenere vivo il ricordo di una ‘donna giusta’

Tra i diversi anniversari da non dimenticare di celebrare quest’anno, da Leonardo Sciascia a Dante Alighieri, da Coco Chanel a Turi Ferro, a marzo - e non solo per i pugliesi - tra prima decade e vigilia delle calende d’aprile, ricorre quello di Renata Fonte: martire della legalità.

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Il 31 marzo del 1984 “la linea della palma” toccò la penisola salentina, quando i colpi di pistola di alcuni sicari, lasciarono sulla strada il corpo inerme di “una donna giusta”, all’uscita dal Consiglio comunale di Nardò (secondo comune più grande dopo Lecce) e alla vigilia dell’approvazione di un importante provvedimento a salvaguardia del territorio e del Parco di Porto Selvaggio, contro le mire speculative di costruttori e imprenditori del turismo locali

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Renata Fonte era nata a Nardò (Le), il 10 marzo 1951. A diciassette anni aveva incontrato Attilio Matrangola, sottufficiale dell’Aeronautica Militare di stanza ad Otranto, che nell’agosto 1968 diventò suo marito. Il matrimonio la portò a girare l’Italia, a seguito del consorte, per diversi anni: fino a quando, nel 1980, Attilio venne trasferito all’Aeroporto di Brindisi.

Renata era cresciuta sotto gli insegnamenti laici e d’azione di Pantaleo Ingusci, e dopo il rientro in Puglia, nessuno si meravigliò quando, nonostante donna, cominciò a impegnarsi attivamente nella vita politica locale. Faceva parte dei cosiddetti ‘ultimi moicani’ del Partito Repubblicano Italiano, tanto da diventarne anche Segretario cittadino. Partecipò alle battaglie civili e sociali di quegli anni, anche iscrivendosi all’U.D.I. – Unione delle Donne Italiane e dirigendo il Comitato per la Tutela di Porto Selvaggio, contro le auspicate lottizzazioni cementizie.

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Decise di candidarsi alle elezioni amministrative del 1982, nelle quali risultò eletta, divenendo la prima donna Assessore (prima all’Ambiente e poi alla Cultura e Pubblica Istruzione) che il P.R.I. poté vantare a Nardò. Erano anni pesanti, anche in Salento, di intensissime e sofferte battaglie, in una Nardò attraversata e colpita dalla violenza della lotta politica. E fu in quel periodo che Renata Fonte iniziò a scoprire diversi illeciti ambientali e si oppose, con tutte le sue forze, alla speculazione edilizia e all’assalto dei territori protetti.

Combatté spesso sola e contro tutti. Venne assassinata a pochi passi dal portone di casa, la notte fra il 31 marzo e il primo aprile 1984, mentre rientrava da un Consiglio comunale. L’omicidio maturò nel mondo degli interessi affaristici, che si muovevano intorno all’attività amministrativa locale, segnando col suo sacrificio finalmente la svolta: per la prima volta si cominciava a chiamare quella pratica di illeciti diffusi col nome di “mafia”.  

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Le indagini individuarono gli autori materiali del delitto e, dopo qualche tempo, anche il mandante di primo livello, quel tale Antonio Spagnolo: primo dei non eletti, che a Renata Fonte era succeduto sia in Consiglio Comunale sia in Giunta. Anche se, probabilmente, i riferimenti a Porto Selvaggio - già Parco protetto da alcuni anni - erano serviti da cortina fumogena, per occultare i più lucrosi traffici, gli intrallazzi e le mire autentiche di quanti operavano nell’ombra.

L’abbraccio di don Luigi Ciotti, la narrazione e le testimonianze promosse dall’Associazione Libera, lo stesso piccolo ma suggestivo mausoleo a lei dedicato nel cimitero di Nardò - progettato da sua figlia Viviana e voluto dalla famiglia - continuano a tenerne vivo il ricordo nonché l’esempio virtuoso e coraggioso.

Nell’estate del 2019 a Renata Fonte è stato assegnato, alla Memoria, il Premio Virtù e Conoscenza - Alto Riconoscimento alle “eccellenze” mediterranee che si sono distinte per genialità, estro, talento, moralità, propensione alla solidarietà ed al bene comune, a Porto Cesareo, organizzato dallo stesso Comune e dall’Associazione Mediterraneamente. 

Qui di seguito la lettera che Sabrina, l’altra figlia di Renata Fonte, scrisse in quell’occasione:

Abbiamo scelto di ricordarti così ai nostri amici, a quanti sperano di riconoscere nelle nostre voci una tua inflessione, cercandoti nei nostri gesti, desiderosi di cogliere nel nostro ereditato impegno quella giovane, indomita vitalità che in te avrebbe brillato abbagliandoli, a quanti, pur lontani nello spazio, si sono dolorosamente rammaricati perché sei ormai solo nelle loro storie, un alito di vita e non più il caldo e morbido abbraccio che donavi anche solo essendoci.

La memoria che abbiamo inteso rinnovare, quest’anno così, sei tu, nella tua esuberante quotidianità, sognante, emotiva, creatrice, vibrante, quella che hai voluto condividere con noi, affinché il tuo troppo breve percorso abbia un sapore più familiare, perché possiamo, una volta ancora, dividerti con chi ti ha intensamente amata, con quanti oggi ci guardano, ti guardano, con i “lucciconi” agli occhi.

Abbiamo sentito il tuo profumo, riascoltato assorti la tua voce, ancora assaporato quell’armoniosa e seducente te stessa che sapevi essere e che anche oggi ti sentiamo vivere, incrollabile nell’ardente spirito mazziniano “colla spada del popolo nella destra, colla religione del popolo in core, coll’avvenire del popolo nella mente”.

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Riusciamo ancora a sorridere alla vita, con lo stesso sorriso che tu hai posato sulle nostre labbra di fanciulle e che, mestamente, riflette la nostra inconsolata amarezza; fuggiamo la disperata solitudine del tuo non esserci mescolando l’agrodolce sapore delle nostre lacrime allo struggente tocco delle tue carezze di allora. Devo a te la mia vita e ci sono ancora, soffrendo di essere vissuta più a lungo di te, io immeritevole, disutile, inadeguata alla tua ineffabile magia, vestita dell’illusione di poterti incontrare ancora. Non vivo un solo attimo senza che tu viva dentro di me.

Sabrina

(gelormini@gmail.com)

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