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Romano Luperini e Beppe Corlito 'Il Sessantotto e noi' - Castelvecchi

“Il sessantotto e noi” il libro scritto a quattro mani da un intellettuale di chiara fama, Romano Luperini e da uno Psichiatra Sociale sensibile e di provata formazione basagliana, Beppe Corlito.

di Giovanni Aquilino

E’ uscito grazie alle Edizioni Castelvecchi, casa editrice gloriosa, ma dalla distribuzione poco capillare, un volume dal titolo: “Il sessantotto e noi” scritto a quattro mani da un intellettuale di chiara fama, Romano Luperini e da uno Psichiatra Sociale sensibile e di provata formazione basagliana, Beppe Corlito


 

A cinquantasette anni e in vista del sessantesimo anniversario del movimento “sociale e politico” denominato “il sessantotto”, dall’anno della sua comparsa sul proscenio storico e civile di mezzo mondo, questo volume è un denso concentrato, asciutto, veloce e chiarificatore di idee e percorsi personali e di gruppo.  

Il sessantotto “Un anno per antonomasia, perché ha rappresentato una svolta planetaria, uno spartiacque per cui nulla di quanto esisteva prima ha potuto essere uguale, dopo”, come scrivono in presentazione gli autori.

Il volume è la intensa riflessione sotto forma di dialogo tra due protagonisti, che hanno vissuto e partecipato da posizione diversa alle vicende sessantottine. Romano Luperini, giovane adulto, già professore e Beppe Corlito, appena più che adolescente studente, matricola universitaria; due versanti diversi del movimento, un intellettuale di sinistra e uno studente universitario, due punti di vista vicini, ma non sovrapponibili, tuttavia accomunati nelle idee e nelle aspirazioni. 

Un racconto franco, onesto, chiaro e lontano dai complicati sofismi ideologici e lessicali, caratteristici della “letteratura sessantottina”, che sovente si perde nelle “incasinate” narrazioni del movimento, nelle mille sfumature e nei distinguo di fazioni, gruppuscoli e posizioni personalissime; molte delle quali fumose, se non proprio capotiche. 


 

Il sessantotto raccontato, invece, da Luperini e Corlito risulta lucido, essenziale, senza derive nostalgiche, e rigoroso nello spiegare i tanti ‘sessantotto’ vissuti contemporaneamente da molteplici gruppi e ‘classi’ di italiani: gli operai, le donne, gli intellettuali, gli studenti, le minoranze in genere. “Abbiamo visto che l’esplosione del ‘Maggio francese’ ripropose l’illusione della strada insurrezionalista e mise in ombra l’idea della lunga marcia attraverso le istituzioni”, che divenne invece una sorta di orizzonte tutto italiano. Infatti, almeno per un decennio in Italia le attività movimentiste si alternarono, si intrecciarono, si susseguirono, dando vita a un “catalogo” di rappresentanze e raggruppamenti politici o solo ideali. 

Gli stessi autori del libro sono stati fondatori ed esponenti di primo piano della Lega dei Comunisti di Pisa e di Democrazia Proletaria, insomma, persone che hanno condiviso tra loro uno straordinario periodo storico di lotta e di speranza e che, non a caso, sono diventati una “comunità di destino”. Un destino movimentista che, tengono a precisare, restò lontano dalla lotta armata delle Brigate Rosse, contro le quali i loro stessi movimenti politici si opposero. 


 

In questo lavoro gli autori riaffermano, con chiara fermezza, il ruolo “originale” del militante, che non era legato al rispetto di un’ortodossia o di una disciplina ferrea, ma esclusivamente segnato da una adesione ed una partecipazione totalmente volontaria. Il militante partecipava alla lotta rivoluzionaria in prima persona, ma non era mai sradicato dalla vita quotidiana. Questa è la forza di un movimento fatto da persone che lo avevano scelto solo per passione.

Una disamina che passa attraverso il filtro delle storie personali dei protagonisti, consci di aver vissuto una epopea unica, ma anche di essere i soggetti di un percorso di vita fatto di entusiasmi e di disillusioni, di aspirazioni e di inattesi tradimenti. 


 

Gli autori hanno inteso questo libro come una sorta di testamento rivolto al futuro: “È un lascito alle generazioni a venire, che ci auguriamo possano popolare il nostro pianeta con minore arroganza delle precedenti”.

In una sorta di eterogenesi dei fini, il movimento del Sessantotto ha prodotto non un nuovo assetto sociale, ma un enorme processo di modernizzazione dei costumi, di liberazione delle donne e delle diversità, di maggior libertà all’interno di tutte le istituzioni. Insomma, oltre la sconfitta politica il sessantotto rappresenta, per gli autori, un evidente “ricomincio da tre”; vissuti, esperienze, riflessioni da consegnare a chi da un simile “patrimonio di vita comune” voglia intraprendere nuovi ed inesplorati percorsi.

Questo gradevole volumetto, inoltre, smentisce molti luoghi comuni sugli sviluppi di vita di tanti militanti, in seguito tacciati di “carrierismo”, che nel tempo - per disinformazione o solo per invidia - si sono trasformati in diffuse e pessime mitologie. Se pure in qualche caso questo è avvenuto: “Va detto, però, per onestà intellettuale, che rispetto all’enorme massa dei militanti di quell’epoca si tratta di un’esigua minoranza".


 

Alla resa dei conti essi “Volevano tutto”, ma non so quanti di loro lo hanno ottenuto. Sicuramente, la maggior parte ha avuto la ventura di vivere un tempo denso, pieno di entusiasmo, di impegno, di passioni travolgenti ed esaltanti; un tempo di mutamenti e di contraddizioni, conflittuale, confuso, caotico eppure bellissimo, poiché condiviso e vissuto assieme. 

Assieme è la parola chiave “Eravamo una intera generazione che si muoveva assieme”. Una comunità di destino, appunto: la vera “rivoluzione” del sessantotto sta in questo sentirsi in un percorso, in una prospettiva comune, anche se ampia e con tanti distinguo. 

Un “comune” non per destinazione, ma per intenti, per aspirazione; si poteva e si doveva immaginare il possibile e l’impossibile, cosa sicuramente utopica e velleitaria, ma quanta energia e che travolgente passione nel farlo.

Più di una generazione mischiata ed informe, tutti diversi e allo stesso tempo speranzosi e compatti, eppure sempre “tutti assieme”, che in sintesi è la vera essenza del vivere civile. Lo si capisce ancor più oggi, dove l’individualismo esasperato ha reso liquida la società, i modelli di vita e persino le persone. 

Un libro da leggere per comprendere meglio il “Sessantotto”, ma anche per godere in filigrana un senso del “tutti assieme” che gli autori, pur non esplicitamente, sentono di condividere e che trasmettono con naturalezza al lettore di oggi, sovente abituato a leggere di storie liquide e individualiste.