PugliaItalia
Trani, Claudia Bondi e Lampare al Fortino
Il fine perlage degli autoctoni di Puglia
La vivacità dei fermenti di Puglia si fa effervescente. Il proliferare di affinamenti, abbinamenti, variazioni d’invecchiamento e scoperte di frontiere localmente inesplorate, nel mondo della viticoltura e della vinificazione, stimolano una nuova dinamicità produttiva che, nel Tacco d’Italia, è decisamente caratterizzata da creatività e innovazione finora sconosciute.
Questa terra che a lungo ha contribuito a nobilitare con le proprie uve e i propri vini blasoni d’oltre confine, spesso di modesto lignaggio, dopo aver deciso di dar corpo e lustro alle sue produzioni in purezza da autoctoni di antica e potente dinastia popolare: Primitivo, Negroamaro, Bombino, Nero di Troia, Aleatico, Susumaniello e Verdeca, si appresta a fare il “salto verso la leggerezza” e a cogliere la sfida elegante del “perlage” e quella coraggiosa della spumantizzazione.
Ad annunciarlo è Claudia Bondi, sommelier e ambasciatrice dello Champagne per l’Italia, nonché wine consulting tra i più ricercati - insomma una vera e propria “vestale” del perlage - nella cornice esclusiva de “Le Lampare al Fortino” di Trani, insieme a Antonio Del Curatolo e Pasqua Fiorella, alla luce di riflessi brillanti senza eguali: quelli notturni e paglierini di una delle più belle Cattedrali di Puglia.
Sì, del perlage e non delle bollicine, perché il processo in atto merita tutto il rispetto e tutta la considerazione riservati agli eventi destinati a lasciare il segno. Pionieri illustri di un cammino che si preannuncia, secondo Claudia Bondi: “Decisamente in crescita, visto quanto sia stato già fatto, in Puglia, in tempi assolutamente corti”, sono state le Cantine D’Araprì, il cui prodotto è un’autentica eccellenza italiana. Lo spumante più raffinato ottenuto con metodo Champenoise.
Con tali apripista, l’impegno di tutti non potrà che essere “assoluto”, per tenere il passo in evoluzione per un lavoro di spumantizzazione dei vini da vitigni autoctoni di Puglia, per il quale occorrono coraggio, tenacia e una buona dose di intuito fantasioso.
Perlage e bollicine non sono più legati ai soli concetti di festa, eventi o celebrazioni con o senza botti, ma è come se liberassero col loro movimento ascensionale l’accesso al piacere esclusivo di pochi, per farne elemento esaltante della vita gastronomica di tutti.
Per Claudia Bondi il vitigno pugliese che più di altri “è destinato a raggiungere altitudini di prodotto, soprattutto nella sua versione rosato, è il Negroamaro”. Ma è stato davvero “sensazionale” scoprire quanto intriganti potessero essere gli accostamenti proposti dallo chef Giovanni Lorusso con le vivacità spumeggianti anche dagli altri autoctoni del Sud.
Per alcuni un divertissement che ha riservato sorprese più che interessanti e prospettive impreviste di produzione, per altri il riscontro ad anni di ricerca e di impegno nella selezione e nella lavorazione del prodotto. Per tutti il riconoscimento - come ha sottolineato la stessa Bondi - di un percorso con decisa tendenza "a crescere", per diventare protagonisti anche nel vivace settore della spumantizzazione. Col vantaggio non da poco di un bouquet di declinazioni a ventaglio larghissimo e a combinazioni illimitate.
Il random di degustazione, infatti, con ben 32 etichette meridionali, selezionate e proposte per l'occasione da Vinoway, hanno fatto a gara per contendersi i piatti preparati dallo staff di cucina de La Lampare al Fortino, anche se resta tutta aperta la disputa sul rischio dispersivo e di distrazione dalle tipologie produttive classiche di una Terra come la Puglia, da sempre patria di rossi potenti e bianchi solidi.
E così da Alberto Longo alle Cantine Due Palme, da Casaltrinità alle Cantine Imperatore, da Leone de Castris a Polvanera, così come Miali, Passalcqua, Teanum o Tenute Rubino, è stato tutto un tener testa e offrire spunti nuovi al passo sostenuto dei D'Araprì, I Pastini, Rivera, Gianfranco Fino o Paolo Leo. Compreso l'apprezzato sigillo conclusivo di un inedito "Strepito" (Casaltrinità) da Moscato di Nero di Troia.
L’antica sapienza benedettina lasciava al fragore scoppiettante dello stappo di una bottiglia, il massimo della trasgressione al quotidiano esercizio del silenzio e della dedizione alla norma suprema dell’Ora et labora, facendone sintesi essenziale di un’effervescenza intellettuale, rigorosamente gestita e adeguatamente tenuta a freno.
Che a promuoverne fermentazioni, contaminazioni enologiche e qualità degustative sia una moderna sacerdotessa, come Claudia Bondi, dedita a tener vivo il fuoco sacro di una tradizione unica, è anch’esso sintesi di un’evoluzione che prima o poi doveva trovare il delta liberatorio, di un suggestivo tragitto senza tempo, che vede l’uomo esaltare col vino, la vite e l’uva create da Dio.
(gelormini@affaritaliani.it)