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'Vedi Napoli e poi canta' di Vincenzo Sparviero

Giovedì 9 giugno, alle 18:30, sarà presentato, presso la Galleria del Palazzo Ducale di Cavallino (Le) il romanzo Vedi Napoli e poi canta di Vincenzo Sparviero.

di Annarita Miglietta

Giovedì 9 giugno, alle 18:30, sarà presentato, presso la Galleria del Palazzo Ducale di Cavallino (Le) il romanzo Vedi Napoli e poi canta di Vincenzo Sparviero. Durante la serata il cantautore Franco Simone interpreterà alcune delle più note canzoni napoletane.

“Non si potrebbe fare colpa ai Napoletani, se nessuno di essi vuole allontanarsi dalla sua città, né ai suoi poeti se parlano in modo iperbolico della felicità, che qui si gode, quand’anche sorgessero in vicinanza non uno, ma due Vesuvi. Nessuno qui può ricordare Roma; a fronte di questa stupenda posizione, la capitale del mondo fa la figura di un antico monastero, il quale sorga in una località infelice”. Così scriveva di Napoli Goethe nella lettera del 3 marzo 1787 nei suoi Ricordi di Viaggio in Italia. E nella chiusa della lettera precedente, aveva scritto “Non aggiungerò parola intorno alla posizione della città, alle sue magnificenze, le quali furono descritte e lodate le tante volte. Vedi Napoli, e poi muori! sogliono dire qui.”

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Oggi Vincenzo Sparviero giornalista, autore di saggi su arte, musica, tradizioni popolari, lingua e dialetto, compositore di testi di canzoni, alcune delle quali portate al successo da Al Bano, ideatore di format per la TV ed i social, esce con il suo primo romanzo Vedi Napoli e poi canta, su calco proprio della frase citata da Goethe, perché quella città tanto ha sedotto anche Sparviero che dichiara fin nell'incipit del suo libro: l’“amo talmente tanto da considerarla la più bella del mondo, oltre che la mia seconda patria” (p. 12).

E Napoli e le sue canzoni, in una narrazione corale, sono le protagoniste principali, determinanti per la progressione tematica del libro, che può ben definirsi un docu-romanzo. Sì, perché Sparviero, tra le pieghe narrative, riporta in superficie interessanti notizie sui testi della canzone partenopea. La narrazione prende le mosse dall’incontro con Vincenzo, “l’esperto di musica” che avvia il protagonista nei segreti più reconditi, nelle curiosità più profonde dell’antica tradizione della canzone napoletana, non soltanto di quella più nota, ma anche di quella meno conosciuta: da quella interpretata dai grandi della musica internazionale, da Elvis Presley a Frank Sinatra, a quella dei grandi come Murolo – che lo stesso autore ha conosciuto presso gli studi della Rai a Fuorigrotta e a proposito del quale regala al lettore un saggio del suo dialogo con quello che è definito “il mito” – a quella degli sfortunati come Vincenzo Russo ritenuto "rozzo e analfabeta e parlavano di lui come di un malato che scriveva solo quando la febbre alta gli provocava allucinazioni" (p. 111). E come osserva Al Bano nella Prefazione, Sparviero non soltanto dà informazioni sui cantanti, ma si sofferma anche sugli autori, perché “il cantante porta al successo le canzoni, con le emozioni che la sua voce può trasmettere, ma le grandi melodie e i testi che coinvolgono chi ascolta sono opera degli autori, la cui sensibilità ha un’importanza fondamentale per il successo di una canzone” (p. 8).

Il romanzo è ambientato alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso: Napoli celebra il grande mito calcistico, Maradona, che proprio nel 1987 (anno in cui Sparviero arriva nella capitale partenopea) aveva "”regalato” lo scudetto ai napoletani” (p. 30) tanto da guadagnarsi ineguagliabili rispetto e devozione: “Maradona è nu ddio", dice Peppe il barbiere (p. 175). Sparviero, aggirandosi tra le strade della città “dal fascino tutto particolare, difficile da abbandonare e che la si ama solo vivendola” (p. 259), ci accompagna, rendendoci partecipi e trasmettendoci emozioni, tra le immagini, i profumi, i sapori di luoghi, di strade connotate da insanabili contraddizioni, quelle raccontate anche dalla musica. Lo sottolinea bene l’autore: “Davanti al mio cappuccino senza schiuma e a delle gallette che non avevano alcun sapore, mi resi conto che la musica, a Napoli, non era solo quella da cartolina dei grandi classici [ma] era anche quella che raccontava i quartieri più poveri di una città quanto mai popolare e “ricca” di contraddizioni.” (p. 83)

Così, filtrandole attraverso il riflesso dei suoi occhi, facendo specchio dei suoi cristallini, l'io narrante ci restituisce fedelmente, da napoletano adottivo - anche se per una breve parentesi del suo vissuto - quelle che sono le caratteristiche socio-psicologiche che connotano incisivamente la città partenopea. Un testo di ampio respiro quello di Vedi Napoli e poi canta in cui alle storie e alla genesi delle canzoni napoletane, alle vicende, agli episodi (tanti, diversificati, tra il drammatico, l’ironico e l’esilarante, riferiti con dovizia di particolari ed analisi accurata) del protagonista-militare a Napoli per il servizio di leva, s’intreccia un’intensa e travolgente esperienza amorosa con Angelica. Una storia che nella sua diegesi, in una coerenza narrativa intrinseca, regola e fa da punto d’equilibrio all’intero romanzo, in un tutto che tiene ben saldi i diversi piani narrativi.

Bella la caratterizzazione dei personaggi che si delineano attraverso lo sguardo introspettivo dell’autore che ne scruta l’emotività, i dettagli che non risultano mai fini a se stessi, ma sempre ben calibrati all’interno dell’economia del docu-romanzo, scritto con una sapiente arte, propria di chi, come Sparviero, ha grandi doti affabulatorie, nonché eccellenti qualità di serio giornalista (professione che tra l’altro riaffiora qua e là nei momenti più autobiografici del romanzo che lo vedono come addetto alla rassegna stampa in caserma, o come collaboratore al Mattino di Napoli, e prima ancora alla redazione avellinese). Infatti, l’autore conosce bene tutte le corde di quell’incantevole pianoforte che è la nostra lingua e le fa vibrare con maestria. La gamma cromatica dell’italiano che utilizza è un altro grande punto di forza del suo intrigante romanzo. La voce del narratore tesse la sua trama che si sviluppa in un italiano bello, elegante, attraverso un periodare piano e gradevolissimo che avvolge il lettore fin dalle prime battute. I dialoghi, ben organizzati, riproducono realisticamente le interazioni tra parlanti che operano scelte linguistiche in relazione alla situazione comunicativa e ai fattori che la determinano: grado di formalità, interlocutori, argomenti, scopi.

Pertanto la polifonicità narrativa si realizza passando dal gergo cameratesco dei commilitoni, all’eloquio raffinato e curato di Gianluca “ragazzo per bene e molto preparato” (p. 88), o di Giuseppe, l’ufficiale gentiluomo sempre “molto elegante nei modi e nel portamento” (p. 118). E proprio per quella aderenza alla realtà non mancano lunghi turni di conversazione in dialetto napoletano che non sono mai macchiettistici o folclorici, ma sempre ben aderenti e coerenti con la narrazione e con le caratteristiche del personaggio che li realizza.

Insomma Vedi Napoli e poi canta ben si può considerare un alto esempio di narratività e un alto e documentato tributo alle canzoni che hanno reso celebre l’Italia nel mondo. Quelle canzoni che, da Era de maggio (il cui titolo, altro fil rouge del romanzo, apre e, antiteticamente, chiude il romanzo) ad Anema e core, Palummella, Io te vurria vasà, Chisto è ‘o paese do’ sole, sono tutte (complessivamente quarantaquattro) riportate in una preziosa Appendice, alla fine del volume, non solo in veste linguistica originale, ma anche tradotte in italiano.