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'Winners' e 'Double Life': il vento d'Oriente sul Bif&st
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“Winners” di Hassan Nazer al teatro Petruzzelli per il Bifest. Quando il film finisce, il pubblico si alza con difficoltà dalle poltrone, perché è come immobilizzato da ciò che ha visto per la prima volta. La realtà di un Iran sconosciuto, che improvvisamente appare a suoi occhi con una nota di semplicità commovente.

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I bambini che abitano a Padeh, nella polvere e nel fango, raccolgono la plastica in una discarica e la vendono per pochi soldi, giocano saltando nei sacchi e hanno piccole invidie e ripicche. Yahya è un adolescente afghano che ama in maniera travolgente il cinema e passa le notti a vedere pellicole che gli da Saber il socio di Nasser Kan, un vecchio attore che ha vinto l’orso d’argento, e che al di là’ della fama vive nella miseria più assoluta.

Yahya, trova per caso l’Oscar che era stato spedito ad Asghar Farhadi, per il suo film del 2017, non avendolo potuto ritirare per il limite imposto da Trump. L’Oscar è lucido ma nudo, e Layla l’amichetta del cuore lo copre con il vestito tolto alla sua bambola. Ma l’Oscar deve arrivare al regista, e Yahya con due soldi in tasca prende il treno per la capitale dove un vecchio tassista lo porterà a consegnare il simbolo internazionale del successo cinematografico.

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Una storia semplice che si svolge in ambienti e fra personaggi con un tono di vita inimmaginabile, nella miseria, nell’abbandono, ma con una interpretazione della vita nonostante tutto poetica e gentile. L’affetto che lega i due ragazzini con lui che difende e tutela l’amichetta, loro che lavano l’Oscar e lo vestono e Yahya, che non si ferma davanti a niente pur di vedere un film. La mamma profuga che lo protegge, gli insegna i presupposti giusti della vita e spazza la sua casa piena di terra.

Il vecchio attore che torna col vecchio furgone ed i vestiti stinti a farsi fotografare con chi lo riconosce, e l’Orso d’argento e l’Oscar che diventano oggetti qualsiasi, senza la retorica della fama e del clamore che li accompagnano in paesi diversi da questo Iran ignoto, che riempie gli occhi e il cuore. 

Con ‘Double Life’, film del Panorama internazionale al Teatro Petruzzelli, la combinazione giapponese-cinese si sintetizzza in Shiori, una ex danzatrice che si è infortunata ed ora aiuta la sua insegnante Kumiko, nei suoi seminari sul contatto fisico, per ripristinare l’armonia di coppia.

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E qui inizia un viaggio nella poesia che lascerà senza fiato gli spettatori. La gestualità lenta e raffinata, il modo di affrontare il marito ormai lontano e che la tradisce, col silenzio e lo sguardo senza ansia che lo esamina. Shiori vuole fare con lui un seminario, per tentare di salvare il matrimonio, ma lui si rifiuta e Shiori si ritrova sola con il suo incubo notturno: dove sogna di camminare in un tunnel senza uscita.

Per chi vuole apparire in coppia, le insegna una amica, c’è una persona gradevole nell’aspetto e gentile, che può diventare marito in affitto. Un contratto regolare e Shiori ha il suo uomo di sogno, gentile, attento, presente nella casa in affitto che lei ha preso per ricostruire con lui l’immagine di una famiglia. Ci sarà anche il dono di una farfalla per raccogliere i suoi capelli lunghi e morbidi (la fattura presentata riporta alla illusione del rapporto affettivo e la farfalla senza libertà è il sogno ricorrente di lui).

In una richiesta di presenza, Junnosuke si rivelerà come sposato e con un bambino, e ancora di più la costruzione di Shiori apparirà illusoria e senza basi. Noi abituati all’ira, alla violenza, ai comportamenti inaccettabili che accompagnano la fine di un matrimonio, restiamo incantati dalla sofferenza dolce, controllata che dilaga negli occhi di Shiori e nel suo viso bello e dolcissimo.

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Quando lei chiederà al suo marito in affitto di rendere reale il loro rapporto, Junnosuke, con tutto lo sconforto che gli viene dal cuore, dichiarerà l’impossibilità a farlo perché lui è solo un accompagnatore a pagamento. Lei gli sfilerà la fede che aveva messo al suo dito e si ritroverà in tutta la sua solitudine ad affrontare il marito e a chiedergli il divorzio. Mentre Junnosuke disegna con malinconia la sua farfalla che non trova la libertà, Shiori finalmente trova la fine del tunnel ed esce alla luce.

La sorpresa di andare a vedere un film e trovarsi a vivere per più di un’ora nella poesia più dolce ed avvolgente, è una esperienza inattesa che ci regala il Bifest. Si accendono le luci e siamo tutti straniti dal confronto con una modalità di vita così diversa dalla nostra con gestualità soavi, dichiarazioni di amore dolcissime anche se rifiutate, e sempre gli occhi di lei sommessi, teneri, malinconici. Quando il marito in affitto entra in acqua per liberare il palloncino fermo nei rami di un albero e glielo porge, a lei sfugge il filo e il palloncino vola in aria. È la libertà di andare su in cielo senza legami che tolgono gioia, ma con una modalità a noi ignota di dolcezza  e poesia. 

 

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