Roma

8 marzo: i tassisti festeggiano in carcere: spettacolo e doni alle recluse

L'Associazione Tutti Taxi per Amore in visita alle detenute di Rebibbia per l'8 marzo. L'intervento di Andrea Catarci

di Andrea Catarci *

Per il terzo anno consecutivo l’associazione “Tutti Taxi per Amore” ha promosso una raccolta di coperte, sacchi a pelo ed abbigliamento nuovo ed usato da destinare alle persone bisognose, per aiutarli a superare i mesi più freddi dell’anno.


I tassisti romani non si sono accontentati e, grazie all’organizzazione dell’associazione culturale ‘Il Viandante’ con cui sono in stretti rapporti, hanno collaborato ad un secondo tempo della meritoria iniziativa: in occasione della giornata internazionale della donna, l’8 marzo, la parte del materiale relativa ad indumenti femminili verrà donata alle ospiti recluse con difficoltà familiari ed economiche del carcere di Rebibbia, per contribuire ad allestire il kit di primo ingresso che in molte non hanno o hanno incompleto.

Oltre a plaudire alle due realtà che hanno voluto ed organizzato ‘Destinazione Rebibbia’, che prevede anche uno spettacolo con la partecipazione di Mirko Frezza, Presi per Caso, La Scelta ed Adamo Dionisi, va raccolta la sostanza del messaggio che hanno inteso trasmettere: guardare al mondo delle persone recluse, ristabilire ponti tra il dentro ed il fuori in vista del ritorno in società, rimettere il carcere tra le priorità dell’agenda politica, da cui è sistematicamente escluso o in cui fa capolino solo in affermazioni a carattere propagandistico.

Il sistema carcerario in pillole
Nei 190 istituti di pena nazionali al 31 dicembre 2018 c’erano 59.655 persone, a fronte di una capienza regolamentare di 50581 posti. Nel contratto di governo Lega-M5s si fa riferimento alla necessità di costruire nuovi carceri, assecondando la tendenza a chiedere politiche più repressive e pene esemplari. Non una parola viene invece dedicata all’obiettivo di aumentare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, cioè l’affidamento in prova al servizio sociale, gli arresti domiciliari e la semilibertà, che riguardano circa 30.000 detenuti e che potrebbero coinvolgerne almeno altre 20.000 che hanno pene residue basse. Eppure è una necessità riconosciuta da tutti gli addetti ai lavori da anni: da una parte potrebbe consentire di preparare meglio al rientro in società grazie ai contatti con l’esterno, dall’altra farebbe recuperare senza investimenti economici quel minimo di metri quadri che spetterebbero per diritto sacrosanto ad ognuno. Nei mesi scorsi Roma Capitale ed il Ministero di Giustizia hanno sperimentato l’uso di detenuti volontari in progetti di manutenzione del verde e delle strade, senza prevedere retribuzioni e limitandosi a scarni percorsi di formazione per qualificazioni basse. In sostanza sembra che gli Enti pubblici più che del reinserimento si siano preoccupati di ottenere lavoro gratuito per le emergenze legate all’erba da tagliare ed alle buche da riempire.

Ma non è solo per il sovraffollamento che il sistema carcerario mantiene i tratti angoscianti di un’istituzione totale dalla ferocia congenita che, oltre ad ammassarle, tante persone le fa sparire. Negli ultimi dieci anni, dal 2008 al 2018, quelle che sono morte sono state 1638, di cui 610 si sono tolte la vita da sole. Una ripetizione pedissequa ogni anno, compreso il balletto delle cifre sui suicidi, spesso inferiori a quelle reali. La salute dell’Italia, guardando alle carceri come all’elemento richiamato da Voltaire per misurare la civiltà di un paese, è davvero precaria: il macabro elenco di nomi e cognomi sta lì a dimostrarlo ed il fatto che nel 2019 si sia già a quota 8 suicidi e 19 morti non lascia presagire nessun cambiamento per il futuro.

Al 31 dicembre 2018, poi, quasi 10.000 detenuti erano in attesa di giudizio e, statisticamente, per la metà saranno assolti; ma di loro sembra non importare a nessuno, d’altronde si tratta solo di qualche migliaia di persone che scontano da innocenti mesi e a volte anni di pena anticipata.

Rispetto alla vulgata diffusa, inoltre, va sottolineato come non ci sia nessuna emergenza sicurezza connessa agli stranieri extracomunitari, il cui tasso di detenzione è diminuito di oltre 2 volte negli ultimi 10 anni, come documentato nel rapporto dell’associazione Antigone di luglio 2018. Se poi è vero che essi rappresentano ancora all’incirca il 30% della popolazione carceraria, altrettanto significativo è che la maggior parte è reclusa per reati meno gravi rispetto agli italiani.

C’è, da ultimo ma non certo ultima in ordine di importanza, la questione dei ‘colpevoli nati’, cioè i bambini figli di madri detenute che restano in carcere fino a 3 o 6 anni per poi essere staccati dall’unico contesto conosciuto. Al 28 febbraio 2019 erano ancora presenti nelle carceri italiane 53 bambini, di cui 7 a Rebibbia, dove la recente tragedia dei due bimbi uccisi dalla madre ha messo in evidenza per l’ennesima volta quanto sia disumano non trovare un’alternativa alla reclusione nemmeno in questi casi estremi.

Destinazione Rebibbia, un urlo da ascoltare
Con Destinazione Rebibbia le associazioni Taxi per Amore e Il Viandante, insieme agli artisti presenti, tornano a reclamare a gran voce l’urgenza di immediati provvedimenti migliorativi sugli aspetti sommariamente richiamati,contro i dominanti cori giustizialisti e forcaioli. Lasciarle inascoltati è davvero un grave atto di irresponsabilità.

* Andrea Catarci, Movimento Civico