A Roma fanno tutti i sindaci di facebook. Elezioni, social rincorsa all'M5S
Ai "santini" di Virginia Raggi il premio fotogenia
di Marco Zonetti
“Il linguaggio ci rappresenta, ci racconta, ci promuove, ci rimanda” scrive Lina Sotis nel suo Nuovo Bon Ton (Rizzoli, 2005). E spesso ci boccia, ci sarebbe da aggiungere, specialmente alle urne. Se un tempo, eccezion fatta per i comunicati stampa, la comunicazione dei candidati alle elezioni era soprattutto verbale e fisica nei comizi, alle convention, alla radio o in televisione, con l’avvento dei social media il politico in campagna elettorale si è visto obbligato a invadere ogni piattaforma digitale a disposizione esponendosi al pubblico ludibrio e all’interazione in tempo reale con i fans o detrattori.
Per il politico italiano in corsa per la poltrona che si approcci ai social media, l’importante è comunque essere presente, calcando idealmente un perenne palcoscenico in cui vige la regola del “digito ergo sum”. A differenza del m5s, nato e prosperato sulla rete, gli altri partiti sono stati costretti giocoforza a occupare questa delicatissima vetrina mediatica. Una vetrina che, non tutti se ne rendono conto, va maneggiata con estrema cautela e capacità, pena la caduta nel ridicolo e l’inarrestabile effetto boomerang alle urne.
Pur partendo avvantaggiato sui social media rispetto alle altre forze politiche, anche il m5s ha visto ben presto la propria comunicazione diventare eternamente uguale a se stessa. Parafrasando il Flaubert di Madame Bovary, il fascino della novità – cadendo a poco a poco come una veste – ha lasciato nuda l’eterna monotonia del discorso demagogico-populista, che ha sempre le stesse forme e lo stesso linguaggio. Una sorta di vite cieca che ruota continuamente su se stessa, lasciando una lacerazione sempre nuova nel presente e l’inveterata e cronica assenza di soluzioni politiche a vantaggio del cittadino nel futuro.
Un esercizio di stile (?) e niente più.
Questa caratteristica si riscontra visibilmente nella comunicazione dei cinque principali candidati alla poltrona di sindaco di Roma, ovvero – in rigoroso ordine alfabetico – Guido Bertolaso, Roberto Giachetti, Alfio Marchini, Giorgia Meloni e Virginia Raggi.
Sfogliando le pagine social dell’ex responsabile della Protezione Civile, per esempio, si evince immediatamente la consapevolezza di non rivolgersi al proprio elettorato di riferimento. Bertolaso, o chi per lui, sa bene che il proprio bacino di consensi risiede altrove e alle piattaforme digitali si concede quel tanto che basta per dirsi presente e attivo, ma senza pretese di voler lasciare un segno incisivo o un messaggio particolare. La campagna di Guido Bertolaso si gioca in altre sedi, egli lo sa bene, e la sua comunicazione sui social rispecchia appieno questa lucida presa di coscienza.
Diverso invece il caso di Roberto Giachetti, il quale dimostra di saper ben maneggiare i supporti digitali e di essere in grado di destreggiarsi fra comunicazione istituzionale e privata. Se nella sua pagina politica, come fanno più o meno tutti gli altri, Giachetti evidenzia le varie problematiche della capitale promettendo di mettervi mano una volta sindaco, è nella pagina personale che il candidato del PD osa andare oltre, lasciando trasparire un lato più privato e intimo che contribuisce a farlo venir fuori – unico dei cinque – come uomo prima che come candidato sindaco.
La comunicazione di Alfio Marchini è invece piuttosto parca ed essenziale, senza concessioni alla vita privata del candidato e tutta incentrata sul programma. Meno corteggiato dalla televisione e dalla stampa rispetto ai suoi concorrenti (destino che nel 2013 toccava invece al candidato del m5s), Marchini gioca la carta della sobrietà, il che sarebbe una scelta encomiabile se – proprio perché meno pompato dai media – questa linea di condotta non finisse per negargli la maniera di farsi conoscere più umanamente, come avviene invece per Roberto Giachetti. Qualche guizzo in più, forse, potrebbe colmare il divario di esposizione mediatica che lo separa dagli altri.
Quanto a Giorgia Meloni, salta subito all’occhio una peculiare dicotomia. Se la sua immagine personale è prorompente ed estremamente femminile, giocata su trucco, acconciatura e mise studiati nei minimi particolari, la sua comunicazione sui social è quanto di più marziale e istituzionale si sia mai visto sulle pagine di un candidato sindaco, per giunta donna. Una serie di post di poche righe ciascuno, senza una foto, senza un’immagine, senza un tocco di colore. Una comunicazione quasi ospedaliera, si potrebbe dire, che tuttavia ottiene numerosi consensi malgrado, in fondo, come già detto, i contenuti siano poi gli stessi degli altri candidati.
Ultima in ordine alfabetico, Virginia Raggi, che invece – a differenza di Giorgia Meloni – punta molto sulla fotogenia, tant’è che le pagine social a lei ricollegabili sono disseminate di suoi “santini” – sorta di figurine dei Pokemon a cinque stelle – in cui pubblicizza le miriadi di partecipazioni televisive che la vedono protagonista (c’è da chiedersi cosa ne pensi il “povero” Marcello De Vito che nel 2013 fu costretto a fare campagna elettorale con il divieto di comparire in TV, forse anche di accenderla…). Essendo la comunicazione della Raggi, come accade per gli altri suoi colleghi pentastellati, diretta emanazione della Casaleggio & Associati, gli scritti che compaiono sulla sua pagina non si discostano di una virgola dalla solita e colorita prosa di denuncia e dal più o meno velato presupposto di onestà assoluta di fronte alla quale siamo tutti, a parte loro, peccatori. Niente di nuovo sotto le stelle, insomma.
In questa preliminare analisi della comunicazione dei cinque candidati nella fase iniziale della campagna elettorale romana, la conclusione cui si giunge è che tutti i concorrenti si muovano con estrema cautela tentando per il momento di strappare consensi l’uno all’altro, la Meloni alla Raggi, la Raggi a Marchini, Marchini a Bertolaso, Bertolaso a Giachetti e così via, in un “tutti contro tutti” di facciata mentre dietro le quinte si muovono forze – Berlusconi, Salvini, lo stesso Renzi, i ricorsi che minacciano d’invalidare le comunarie del m5s, e così via – che potrebbero ancora rimettere in discussione ogni cosa. Un elemento in particolare si evince dalla disamina di cui sopra: tutti e cinque i candidati navigano a vista aspettando gli esiti di decisioni che li riguardano direttamente ma che vengono prese altrove e da altri. Cauti e circospetti come Amleto, sembrano ancora aspettare l’alba quando, per Roma e per i suoi disastrati cittadini, è già da tempo il tramonto.