Roma

A Roma i tentacoli di Cosa Nostra
Il Ros arresta undici sodali dei Riina

Gli indagati investivano nella Capitale i proventi di attività illecite messe in atto dalla Mafia palermitana

I carabinieri del Ros, col supporto in fase esecutiva dei comandi provinciali carabinieri territorialmente competenti eseguono un’ordinanza di misure cautelari emessa dal tribunale di Roma, su richiesta della procura della repubblica di Roma – direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 11 soggetti, accusati di trasferimento fraudolento di valori, bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio, ommessi per agevolare l’associazione mafiosa Cosa nostra.

L'operazione Gerione, che ha permesso di cristallizzare una strategia di penetrazione del tessuto economico della capitale nell’interesse di Cosa nostra, è partita nel novembre 2018 a seguito della confisca di beni del tribunale di Palermo per 15 milioni di euro eseguita a carico del palermitano Francesco Paolo Maniscalco. Questi, che a partire dal ’92, prima di tornare a Palermo, ha risieduto a Roma per oltre 17 anni, è stato la figura centrale dell’indagine: figlio di un soggetto contiguo alla famiglia palermitana di Corso dei Mille, è risultato socio occulto delle attività commerciali emerse.

Uomo di fiducia di Riina Giuseppe Salvatore (figlio del defunto Totò), è stato condannato definitivamente per partecipazione ad associazione mafiosa, nonché per la rapina multimiliardaria alla sede palermitana della Sicilcassa del ‘91. Parte della refurtiva, destinata a Cosa nostra, venne fatta fondere in lingotti d’oro e distribuita, su ordine di Totò Riina, agli esponenti di vertice dei vari mandamenti di Palermo. 

Nell’indagine sono anche emersi i fratelli Rubino, Salvatore e Benedetto, pure legati a contesti mafiosi palermitani i quali, insieme a Maniscalco, attraverso società attive nel settore della gastronomia, avvalendosi di prestanome, hanno condotto un progetto imprenditoriale nei quartieri di Testaccio e Trastevere, avviato nel 2011 con l’apertura del bar-pasticceria Sicilia e Duci srl (trasferitosi da Testaccio a Trastevere nel 2015) e ostacolato nel 2016 con l’esecuzione di un sequestro di prevenzione a carico della predetta società. Ma poco prima dell’esecuzione del provvedimento, gli odierni indagati procedevano allo svuotamento del patrimonio della Sicilia e Duci srl, attraverso la distrazione di beni e capitali a benefico di altre società, appositamente costituite a partire proprio dal 2016, portando la Sicilia e Duci alla bancarotta.

Gli indagati, attraverso la neocostituita Efferre srls hanno aperto, sempre a Trastevere, un ulteriore esercizio commerciale, Da Nina, oggi sottoposto a sequestro preventivo (del valore di circa 400 mila euro), in quanto avviato col reimpiego di capitali di provenienza illecita. Nell’inchiesta sono inoltre emerse le figure di Puleo Antonina e Federica Rubino, moglie e figlia di Benedetto Rubino, coinvolte, la prima, nella vendita di dipinti e preziosi di provenienza illecita - il cui ricavato è stato reimpiegato per avviare le attività commerciali a Trastevere- la seconda, nella bancarotta in qualità di amministratore della Sicilia e Duci. Gli approfondimenti investigativi hanno permesso accertare che i dipinti oggetto di compravendita illecita erano stati rubati negli anni ’90. E ancora Salvatore Cillari, i cui congiunti sono stati esponenti di rilievo del mandamento mafioso palermitano di porta nuova, socio occulto e finanziatore della Sicilia e Duci. Poi Giovanna Citarrella, autrice di versamenti in contanti a favore della Sicilia e Duci srl per circa 91 mila euro serviti per far decollare l’attività imprenditoriale. E infine Luca Imperatori, imprenditore di Formello e Roberta Rubino (figlia di Benedetto) responsabili di aver concorso nell’occultamento della provenienza illecita dei beni sottratti alla Sicilia e Duci srl, nonché Marco Rubino (figlio di Salvatore), intestatario fittizio di società controllate dagli indagati principali.