Roma

Allarme epatite A nelle grandi città. A rischio i maschi tra i 25 e i 40 anni

L'esperto: “Registrate piccole epidemia tra i giovani omosessuali”

Allarme epatite A nelle grandi città, in particolare Roma, Napoli e Milano. E' in queste aree metropolitane infatti, che si registra un netto aumento dei casi soprattutto fra gli uomini nella fascia di età compresa fra i 25 e i 40 anni.

 

A mettere in guardia contro il virus è la Società italiana di Malattie infettive e tropicali (Simit) che rilancia l'efficacia del vaccino: "La vaccinazione contro il virus dell’epatite A è espressamente raccomandata nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale per i soggetti MSM (Maschi che fanno sesso con Maschi). L’efficacia della vaccinazione nel ridurre il rischio di infezione anche in corso di epidemia è stata recentemente dimostrata in Taiwan, ove dal 2015 sono stati segnalati oltre 750 casi di epatite A tra i MSM".

L'epatite A è una patologia infettiva acuta del fegato causata da un virus che si propaga attraverso il consumo di acqua e cibi contaminati, ad esempio molluschi crudi o poco cotti. Il periodo di tempo che trascorre fra l'infezione ed il manifestarsi dei primi sintomi va dalle due alle sei settimane. Nausea, vomito, diarrea, ittero, urine scure, febbre e dolore addominale rappresentano la spia della malattia che garantisce immunità per il resto della vita dopo una singola infezione.

La diffusione fra la popolazione generale è estremamente bassa, circa 0.6 casi ogni 100 mila abitanti, ma in Europa e negli Stati Uniti, negli anni 2000, sono state registrate piccole epidemie locali fra giovani soggetti MSM.
"Nel caso della epatite A, la protezione con il condom - dichiara Giovanni Battista Gaeta, Ordinario di `Malattie infettive` alla Seconda Università degli Studi di Napoli - non impedisce la trasmissione per via fecale-orale a seguito di contatti sessuali oro-anali. Nella pratica il vaccino contro l’epatite A è dotato di buona efficacia nel prevenire i casi di contagio e pertanto va consigliato nell’immediato ai contatti dei casi affetti (compreso i familiari conviventi) e più in generale a tutti i soggetti esposti al rischio a causa delle le proprie abitudini sessuali. Per ottenere quest’ultimo obiettivo è indispensabile una campagna di informazione".
Considerata quindi la situazione che si è verificata nelle grandi città del nostro Paese, è opportuno che le persone già esposte all’infezione o che si ritengano a rischio provvedano a vaccinarsi. Una volta individuato un caso di epatite, la vaccinazione deve essere immediatamente estesa anche ai familiari conviventi e ai contatti.

"In uno studio che ha coinvolto più di 1500 MSM con infezione da HIV attuato durante un’epidemia di epatite A che ha causato oltre 750 casi, chi non ha accettato la vaccinazione ha manifestato l’epatite 16,5 volte più frequentemente rispetto a coloro che hanno ricevuto anche una sola dose di vaccino”, spiega Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all'Università degli studi di Milano e vicepresidente della SIMIT. “Ciò ha consentito di determinare in questo caso un’efficacia del 93,6% della vaccinazione, nonostante la sua somministrazione potesse essere considerata tardiva rispetto allo svilupparsi dell’epidemia. I risultati di questo studio, presentato la scorsa settimana a Seattle alla Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections (CROI), la più importante conferenza scientifica su HIV/AIDS, confermano ulteriormente l’indicazione della vaccinazione per l’epatite A per gli questa categoria di persone".

La profilassi prevede due somministrazioni per via intramuscolare a 6 mesi di distanza l’una dall’altra e visto che si tratta di un vaccino che contiene virus ucciso, non vi sono controindicazioni per i soggetti portatori di malattie che causano immunodepressione.

"La vaccinazione - aggiunge Massimo Puoti, direttore della Uos di Malattie infettive Grande ospedale metropolitano Niguarda di Milano - si è dimostrata efficace anche nella maggioranza delle persone portatrici dell’infezione da HIV ed è raccomandata in particolare nelle persone affette da epatopatia cronica (in conseguenza della maggiore probabilità di sviluppare forme gravi), nelle persone con coagulopatie tali da richiedere terapia a lungo termine con derivati di natura ematica e nelle persone che fanno uso di droghe per via endovenosa".