Roma

Anche Andreotti conosceva l'amore: “Cara Liviuccia”, le lettera alla moglie

di Patrizio J. Macci

Rubate e poi restituire alla famiglia, Stefano e Serena Andreotti mandano in stampa le lettere che il Divo spediva a Livia Danese

“Cara Liviuccia”, dove Liviuccia è la moglie di uno dei leader politici italiani più influenti del Dopoguerra: Giulio Andreotti. Livia Danese in Andreotti era una signora romana minuta, colta e riservata, con una ironia insospettabile. E’ lei la protagonista mai inquadrata delle missive che i figli Stefano e Serena hanno scelto da un corpus di oltre quattrocento lettere che coprono il periodo dal 1946 al 1970.

Custodite gelosamente in un comò del salotto della casa di Corso Vittorio Emanuele a Roma una parte di esse ha rischiato di inabissarsi per sempre, forse durante un trasloco o lavori di ammodernamento dell’abitazione.

Il mistero del furto, il riacquisto e la restituzione alla famiglia

Qualcuno le aveva sottratte per venderle ma un “devoto” del Divo Giulio le acquistò è restituì alla legittima proprietaria che ha conservato traccia dell’evento in un biglietto che i figli Stefano e Serena hanno trovato accluso. Sono perlopiù lettere scritte durante il periodo estivo o nelle frequenti trasferte del Divo Giulio nelle in veste di ministro, sottosegretario oppure durante le giornate trascorse a ricevere i propri elettori. Un quarto di secolo di estati familiari nelle quali Giulio rimane a Roma a lavorare in pia solitudine e la famiglia va al mare nel sud pontino oppure in montagna dove (prima o poi, dopo aver esaurito l’ultima borsa di corrispondenza da firmare) il non ancora Divo Giulio li raggiunge per le ferie.

Andreotti alla moglie: "Fare politica per fare del bene"

Andreotti scrive in ogni momento in cui può, tra una seduta e l’altra dell’Aula oppure prima dell’inizio e dopo il Consiglio dei ministri, prima di recarsi o al ritorno da un battesimo, un funerale o una festa di laurea. Gli eventi di cronaca attraversano i suoi resoconti alla moglie  e rimarcano la determinazione di Andreotti di “fare politica per fare del bene” anche quando le decisioni da prendere riguardano la destituzione di militari felloni, promozioni immeritate da bocciare, scandali economici.

L'uomo che faceva tutto da solo

L’immagine che emerge è quella di un politico che “faceva tutto da solo”: sbrigava da solo le carte ministeriali, correggeva personalmente i documenti della sua micro-corrente della Democrazia cristiana, trovava il tempo per scrivere gli articoli per la rivista Concretezza per poi darsi anima e corpo al ricevimento di decine di questuanti, potenziali elettori, questuanti di ogni tipologia umana.

Il territorio laziale (e non solo) viene praticamente percorso palmo palmo, paese per paese (l’amata Frosinone e dintorni) assistendo a feste di paese, sagre, inaugurazioni, esibizioni canore. E' la scalata al potere dell’unico politico romano riuscito ad assurgere al grado di leader nazionale conosciuto in ogni angolo del pianeta.

Dalle corse di cavalli a Vila Glori sino a Tor di Valle

Infine le corse ai cavalli prima a Villa Glori e poi nel neonato Ippodromo di Tor di Valle: Andreotti spesso scommette e vince, ad accompagnarlo ci sono sempre i soliti noti, sempre uomini. La sua determinazione non viene meno anche quando i fatti di cronaca sembrano voler travolgere il Partito e con esso il paese intero: “Cara Liviuccia, in una calma ma inflessibile controffensiva stiamo cercando di mettere al muro tutti coloro che avvelenano la vita pubblica”. Una “macchina da guerra della politica” che questo volume restituisce facendo emergere l’umanità, l’ironia e la profondità dell’uomo. Per i “pettegolini”, come avrebbe detto Andreotti, il volume è dotato di indice dei nomi.

Giulio Andreotti
"Cara liviuccia"
Lettere alla moglie (Solferino editore)
Prefazione di Giuseppe De Rita