Roma
Appello contro l'assoluzione del clan di Ostia. "In carcere anche i fratelli Triassi"
Rischiano di finire nuovamente sotto processo i fratelli Vito e Vincenzo Triassi, assolti lo scorso 30 gennaio nell'ambito del processo Fasciani: il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Roma, infatti, su richiesta del pm Emma D'Ortona, ha presentato ricorso contro la sentenza emessa dalla decima sezione del Tribunale di Roma. Sentenza che, pur riconoscendo i reati di associazione di stampo mafioso per il boss Carmine Fasciani ed altri tredici imputati, aveva invece assolto con la formula «perché il fatto non sussiste» i fratelli Triassi, oltre a Nazareno Fasciani, fratello di Carmine, Gilberto Inno e Fabio Guarino.
Secondo il pm Ilaria Calò e il procuratore della Dda Michele Prestipino, che avevano istruito il processo partendo dall'operazione “Nuova Alba”, i Triassi appartenevano all’omonimo clan che agiva nella zona di Ostia e del litorale in pieno contrasto con il gruppo Fasciani. «I Triassi comandavano a Ostia» negli anni Novanta, aveva detto nella sua deposizione al processo nel febbraio 2014 il super pentito di Cosa Nostra Gaspare Spatuzza. Ma le prove di questa attività criminale sul territorio non avano retto al vaglio dei giudici.
Secondo i magistrati della Corte d'Appello invece la sentenza “difetta nell'iter logico della motivazione” si legge nell'atto datato 25 maggio “poiché, illustrate le molteplici, univoche, documentate evidenze della tesi accusatoria sulla associazione di tipo mafioso Cosa Nostra, cui è aggregata la famiglia Siculiana e i Triassi-Caldarella, con e per conto dei Caruana-Cuntrera, e del suo ruolo negli scontri con la contrapposta organizzazione criminale autoctona facente capo ai Fasciani, ha concluso che il fatto non sussiste, limitatamente alla associazione mafiosa diretta dai Triassi, opportunamente pronunciando condanna nei confronti dei capi e partecipi della associazione criminale facente capo ai Fasciani”.
Il Procuratore chiede dunque alla Corte 'Appello la riforma della sentenza del Tribunale di Roma, la condanna di Vito e Vincenzo Triassi e il ripristino della custodia cautelare.