Roma
Arte, “La ferita della bellezza”: Recalcati spiega la mostra al Museo Bilotti
“La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina”: mostra ospitata dal Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese curata da Massimo Recalcati
di Maddalena Scarabottolo
Massimo Recalcati spiega “La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina”: la mostra sarà presente al Museo Carlo Bilotti, nelle prime sale dell'Aranciera di Villa Borghese, fino al 9 giugno.
La temporanea è promossa da Roma Capitale, coordinata a livello scientifico da Alessandro Sarteanesi con l'aiuto di due storici dell'arte come Gianfranco Maraniello e Aldo Iori. Il progetto si fonda sulla ricostruzione retroattiva del percorso artistico, emotivo e di ricerca che ha portato Alberto Burri a realizzare il Grande Cretto di Gibellina.
Nel 1981 il sindaco di Gibellinna Ludovico Corrao chiama Alberto Burri per realizzare un'opera per il paese della Valle del Belice colpito in modo irreparabile dal terremoto del 1968. Burri, a differenza dei suoi colleghi, fu l'unico a voler realizzare l'opera nella Vecchia Gibellina, tra le macerie e il ricordo della morte. Ospite in mostra, per far comprendere meglio al visitatore l'impatto dell'opera sul territorio siciliano, è il modello del Grande Cretto del 1984. La grande colata di cemento avrebbe dovuto rivestire ciò che rimaneva del paese, inglobando al suo interno i resti delle macerie. L'intervento avrebbe inoltre ricalcato a grandi tratti la struttura stessa del paese divenendo così l'immagine perpetua del ricordo di una tragedia. Un'opera che ha come punto focale il concetto di “ferita”: ciò che resta nella vita delle persone, nella collettività ma anche nella memoria dei singoli.
Un solco perenne che agisce da identità del dolore commemorando l'eterna ferita. Uno strappo, una crepa, una fessura che non si potrà mai ricucire, ma che dovrà essere ricordata e riaperta per sempre.
Le prime sale della mostra ospitano, in modo retroattivo, i passaggi fondamentali della poetica di Burri così da garantire una lettura omogenea delle opere in relazione al concetto di ferita.
Dal primo all'ultimo lavoro si percepisce come la professione di medico sia pregnante all'interno delle diverse espressioni artistiche. Se guardiamo un Sacco, una Combustione o un Cretto si vede sempre un grande equilibrio e un'empatia commovente nei confronti del materiale e della composizione. Il curatore afferma infatti che “la materia offesa, lacerata, trafitta, ferita, sembra rivelare un carattere umano, sembra umanizzarsi”. E' proprio questo essere vicino alla materia, e capire le sue trasformazioni, che porterà Burri a elaborare la poetica della ferita attraverso i Cretti. In Cretto G2 del 1975, la mano dell'artista sembra scomparsa. Qui il crepo è causato dall'inesorabile trascorrere del tempo, un tempo che va in un'unica direzione e che crea scalfitture all'opera fratturandone la struttura stessa composta da: acrilico, caolino e colle viniliche. Recalcati sostiene infatti che l'opera dei Cretti “mostra gli effetti della corruzione, di smembramento e di riformulazione dello spazio”.
Questo percorso poetico sulla ferita culmina nella sala dedicata alle fotografie in bianco e nero del Grande Cretto di Gibellina, realizzate dall'amico di Burri Aurelio Amendola. I forti contrasti del bianco e del nero trasmettono un impatto emotivo molto forte, come quello che si percepisce visitando la grande opera di Land Art.
Per completare la cornice di questi scatti dal forte potere emozionale, la visita è accompagnata da Fullness of Wind di Brian Eno.
Come termine dell'itinerario, il video di Petra Noordkamp, prodotto e presentato nel 2015 dal Guggenheim Museum di New York, in occasione della retrospettiva The Trauma of Painting, racconta per immagini fondamentali l'espressione creativa ed equilibrata di Burri.