Auguri seriali, scatta la procedura funerea. Social, sms e mail ma sempre più soli
Meri "contatti" per emozioni di seconda mano
di Marco Zonetti
All'arrivo di ogni festività o ricorrenza, giunge ormai inesorabile la pletora infinita di "auguri", accresciutasi esponenzialmente con l'avvento dei social network. Perlopiù impersonali, inviati da conoscenti sempre più virtuali di cui, talvolta, non abbiamo neanche mai visto una foto ma solo "l'avatar" di un gatto, di un cane, di un tramonto incandescente, di una moto, di un sedere più o meno tondo, gli auguri che ci arrivano riescono per la maggior parte a farci sentire molto più soli.
La dinamica dell'augurio collettivo, infatti, diviene una sorta di nuova frontiera dell'alienazione, che finisce per spersonalizzare il destinatario, de-individualizzarlo e ridurlo a un mero "contatto" intercambiabile con tutti gli altri. A maggior ragione perché il nome di battesimo viene sempre più spesso omesso così da permettere la massima condivisione dello stesso contenuto. La notifica sonora o la vibrazione ci avvertono di un messaggio in arrivo ma la delusione è dietro l'angolo: quell'augurio di buona Pasqua, di buon Natale, di buon Ferragosto è stato inoltrato a tutta la lista di contatti del mittente, in cui vige soltanto una gerarchia alfabetica. Amici, complici, amanti, conoscenti, parenti sono tutti spietatamente gettati in un unico calderone, dove la dinamica è quella della "livella" tanto cara a Totò. Un paradosso in termini: l'augurio che doveva essere un auspicio di salute e prosperità diviene oggi una procedura del tutto funebre che uccide l'individualità, le priorità affettive, i tratti personali diventando la negazione della socialità e il trionfo del solipsismo. L'augurio che ci arriva, gelido replicante inviato a tanti altri, è in realtà rivolto dal mittente a se stesso, ed è quello di togliersi nel minor tempo possibile e con il minimo investimento di tempo e di denaro l'incombenza di fare auguri.
E così, a letto con la febbre a ferragosto, ci arriva l'augurio di "buone vacanze", in mezzo a un contenzioso legale con la propria ex moglie per decidere dove passeranno le festività natalizie i pargoli, ci arriva l'augurio di "Buon Natale"; al capezzale di un familiare in fin di vita mentre fuori infuria la tempesta ci arriva l'augurio di "Buona Pasquetta" da un contatto che abbiamo cancellato mesi prima e di cui ci compare un numero cui non riusciamo dare un nome, un volto, e soprattutto un perché. Non una persona, per l'appunto, un numero.
La telefonata, che aveva già sostituito l'interazione fisica, è ormai stata rimpiazzata dalla chat, a sua volta sostituita sempre più da un laconico messaggio che impegni il meno possibile. Nel caso dell'augurio, nell'inviarlo, si arriva a sperare che l'altro non risponda o, nel caso, si limiti a un "Grazie, altrettanto!". Qualora l'interlocutore dovesse spingersi ad aggiungere un nefasto "Come stai?" richiedendo una risposta che potrebbe innescare - non sia mai! - un'interazione, è la catastrofe. L'augurio che perlopiù ci facciamo spargendo gli auguri sui social network è, infatti, che le risposte siano marziali e asettiche come quelle di un bot.
Se una volta, quindi, gli auguri presupponevano una partecipazione emotiva del mittente nei confronti del destinatario, adesso sono entrate a far parte di quella "zona grigia" delle "emozioni di seconda mano" descritte da A. Gehlen. La smania di digitare non importa cosa e di interagire tout court con il mondo intero a prescindere dai contenuti ci fa agire come cani di Pavlov che sbavano all'accensione di una lampadina. All'attentato corrisponde quindi un "je suis...", alla morte celebre è d'obbligo un r.i.p., alla festività è obbligatoria la corsa a fare auguri a destra e a manca.
Gli Auguri alzavano gli occhi al cielo e interpretavano il volo degli uccelli per esprimere i loro responsi e i loro auspici. A noi non serve, noi siamo oltre: con gli occhi bassi sui nostri smartphone o incollati costantemente sui nostri schermi, il cielo non lo guardiamo più. Isolati fisicamente dal mondo, naufraghi per scelta sull'isola deserta che ci creiamo giorno dopo giorno, animali sempre più a-sociali, mandiamo auguri al prossimo per ricordarci in realtà di essere vivi. Auguri il cui unico, vero destinatario è il nostro ego.