“Buzzi racconta malcostume: informazione disonesta". L'ira di Storace
“Mafia Capitale è una storia di ordinario malcostume”. Lo scrive Francesco Storace su Il Giornale d'Italia in un articolo interamente dedicato al rapporto tra le “confessioni” del re delle Coop e la “fabbrica delle balle” e sul rapporto tra i fatti e ciò che viene riportato dai giornali.
Scrive Storace: “Non ho certo l'autorevolezza dell'avvocato Giosuè Bruno Naso, né la capacità giuridica di sua figlia Ippolita; ma certo che è difficile negare un concetto che pure ha suscitato polemiche vivaci nell'inchiesta Mafia Capitale. Naso ha detto che si tratta di "un processetto", probabilmente riferito a quello che sembrava e che ora è diventato.
Il protagonismo infantile di uno dei maggiori imputati, Salvatore Buzzi, il suo alternare verità e bugie, non danno al dibattimento in corso l'onore di un giudizio su una storia. Al massimo si racconta l'ordinario malcostume che attraversa l'intero Paese e non certo lo scontro tra cosche all'ombra del Cupolone.
Del resto, mi è capitato - per otto anni trascorsi in Parlamento, potrei dire... - di aver subito processi che a sommarli assieme totalizzano 23 anni di istruttorie, udienze, gradi di giudizio, sempre con lo stesso esito: innocente. Non sarà un caso...
Mafia capitale è esplosa come inchiesta che doveva tramortire tutta la politica, partendo da destra ma evidenziando le storture correttive esistenti a sinistra, eppure alla fine della fiera si contano ben 116 archiviazioni. Con evidenti disparità di trattamento, anzitutto dal punto di vista mediatico.
Alemanno e Zingaretti, ad esempio. Il primo messo in croce per due anni come sospetto mafioso; poi archiviato senza neppure tante scuse. Il secondo, col privilegio di far conoscere l'esistenza di un'indagine a suo carico lo stesso giorno in cui se ne chiedeva il proscioglimento... neanche il disturbo di dover rispondere ai giornali che si don ben guardati dal mettere in evidenza la stranezza...
In mezzo, quelli come me. Buzzi fabbrica in istruttoria il patto tra me e Zingaretti sulla gara Cup, ma i Pm non gli credono. La sua difesa mi chiama a testimoniare, poi rinuncia. Ma lui continua a fare il mio nome anche al processo, nonostante la querela recapitatagli in carcere due anni prima. Risultato: nessuno gli chiede perché insiste; nessun giornale mi chiede conto. Loro fanno titoli e nessuno paga.
Lo stesso destino capita a Gianni Alemanno, su cui stavolta Buzzi è costretto a dire "no" alla domanda se l'ex sindaco di Roma gli abbia mai chiesto soldi. Dichiarandosi piuttosto concusso da Franco Panzironi, ex capo dell'Ama, che invece ne pretendeva. Avete visto qualche giornale che si sia precipitato a spiegare ai suoi elettori che su Alemanno si smonta persino il residuo di accuse rimaste in piedi? Macché, costruiscono teoremi, dimenticano di provvedere quando diventano carta straccia.
Tutto questo si chiama omertà. Perché se Buzzi dice la verità, bisogna ristabilire l'onore di Alemanno e invece non lo si fa.
Se invece Buzzi dice bugie su di me, è incredibile che si facciano titoli sulle sue accuse e scrivere solo nel testo, quando e se lo si scrive, che l'ho querelato.
Ecco, la parola onestà non lascia traccia nel mondo dell'informazione italiana. E crolla il senso di giustizia quando non si procede a verificare se una querela e' fondata o meno.
E' l'Italia in cui la parola dei delinquenti - un assassino - vale sempre più di quella delle persone perbene. E' di questa moda che ci dobbiamo liberare. Con lo stile che chi hanno tramandato i nostri padri".