Roma

Campo nomadi Castel Romano: la politica alla resa dei conti. In tribunale

Il disastro ambientale del campo rom di Castel Romano è giunto alla fase delle responsabilità. La politica ha lasciato fare

di Andrea Augello

Ci sono diversi modi per interpretare il malumore e la stanchezza dei cittadini di fronte al degrado quarantennale dei campi rom della Capitale, tutti, nel breve periodo, remunerativi elettoralmente ma anche, nella maggior parte dei casi, destinati a lasciare la situazione immutata, se non a favorirne l’ulteriore degenerazione.

E’ un po’ un gioco delle parti: da un lato istituzioni, assenti e inette, lasciano che le cose peggiorino e che, alla fine, siano vere e proprie bande criminali a prendere il controllo di situazioni di marginalità, consolidate tra baracche cadenti e discariche abusive, dall’altra l’opposizione si accontenta di gestire la rabbia dei cittadini che vivono nelle immediate vicinanze dei campi, stanchi di subire furti e angherie e di respirare i miasmi dei roghi tossici. Si tratta di spot episodici, che si ripetono con cadenza quasi regolare e si concludono in un bel nulla.

Il fatto nuovo, che proprio dalle colonne di Affaritaliani avevo già segnalato in occasione dei due servizi trasmessi dalle Iene dal campo rom posizionato alle foci dell’Aniene, ad un passo da Tor di Quinto e dall’Olimpico, è che a Roma si è fatta largo un diverso stile dell’opposizione - rappresentata in questa fase soprattutto da Fratelli d’Italia - intenzionata a modificare questo approccio in favore di un attento lavoro di individuazione e denuncia di precise responsabilità dell’amministrazione pubblica rispetto ad un’impressionante lista di reati ambientali gravissimi perpetrati nei cosiddetti villaggi della solidarietà. E’ un impegno che richiede fatica, decine di sopralluoghi in ambienti spesso ostili, mobilitazione di competenze specializzate nella materia, costanza e tenacia nel rapporto con le istituzioni e con gli uffici giudiziari e una sperimentata abilità nella raccolta di immagini, documenti e spunti in grado di suscitare un certo interesse comunicativo e mediatico.

Con i fari dei media accesi e di fronte alla forza di una denuncia ben documentata davanti alle autorità inquirenti, l’inerzia delle istituzioni si trasforma - come appunto è accaduto alla foce dell’Aniene - in solerte attivismo interventista: arrivano pattuglioni di diversi corpi uniformati, dalla Polizia locale a quella di Stato, fino ai Carabinieri, intervengono Ama e Roma Natura per bonificare discariche abusive ignorate per anni, si arriva persino ad arrestare qualche svuota cantine che, alla guida del suo furgone, si presenta per aggiungere un nuovo carico di rifiuti alla massa dei materiali già abbandonati sul terreno negli anni precedenti. Così era capitato nei giorni in cui stampa e televisioni si erano occupate delle denunce dei comitati cittadini e di Fratelli d’Italia per le numerose attività criminali gravitanti nei dintorni del campo tollerato, insediato tra le rive del Tevere e quelle dell’Aniene: ma il fronte principale di questo tipo di battaglia doveva ancora essere aperto, scoperchiando il vaso di Pandora del campo di Castel Romano, una specie di Tortuga del delitto ambientale, situato ai margini della Pontina, abbandonato al proprio destino, in modo definitivo a partire dal 2017.

Gli attori che nell’ultimo mese si muovono sulla scena di Castel Romano sono svariati e per comprendere quanto sta per accadere sulla scena politica cittadina dobbiamo brevemente riepilogarne le mosse. Per prima cosa già, nel mese di maggio, lo stesso gruppo di lavoro di Fratelli d’Italia che aveva lavorato nel campo dell’Aniene, fa la sua comparsa sulla Pontina e comincia a raccogliere materiale, denunce e testimonianze dei residenti e degli operatori della sicurezza e dei Vigili del Fuoco, fino a consolidare un quadro spaventoso di orrore sanitario e ambientale.

Dal 22 Agosto del 2017, infatti, i due depuratori del campo sono letteralmente esplosi e la vasche sono saltate fuori dal terreno subendo danni irreparabili. Il Comune li ha lasciati lì, quasi fossero una donazione pubblica alla trionfante discarica abusiva, composta per lo più da materiali edili, compreso Eternit e amianto, che ormai circonda e oscura tre lati su quattro del perimetro del villaggio della solidarietà. Le fogne non funzionano e il liquame viene scaricato in parte direttamente sul terreno e in parte in un maleodorante acquitrino a cielo aperto. In una scarpata, poco lontano dalle baracche del campo, si contano una sessantina di auto rubate, cannibalizzate, gettate nel dirupo e poi parzialmente incendiate: al disotto delle carcasse, il terreno viene inquinato da colature quotidiane di oli, benzina e gasolio. I topi sono ovunque e ti camminano accanto come fossero piccioni, senza più alcun timore per l’uomo. Certo, anche prima del 2017 la situazione era molto difficile, ma dall’esplosione dei depuratori in poi è letteralmente precipitata, al punto da indurre più della metà dei 1100 ospiti a lasciare il campo, dove oggi risiedono circa 500 persone.

Anche qui piomba la troupe delle Iene, che realizza un servizio, giovandosi dell’esperienza e delle capacità professionali di Filippo Roma e delle riprese aeree di un drone, destinato a suscitare un enorme attenzione del pubblico. Oltre due milioni di telespettatori, decine di migliaia di interazioni sul sito, dimostrano tutta la forza di quelle immagini che condensano in pochi minuti incendi domati dai vigili del fuoco, bambini costretti a giocare in mezzo ai ratti, la gigantesca estensione della discarica, le carcasse dei depuratori abbandonate, residenti rom pittoreschi, minacciosi, ma a volte anche sorridenti e pronti a vuotare il sacco su come si consumano i reati nel campo. E’ un piccolo capolavoro di giornalismo di inchiesta, che consente a chiunque di farsi un’idea abbastanza precisa e vicina al vero di quanto accade ogni giorno in quell’infernale campo attrezzato. Ma a Castel Romano non si muove solo l’opposizione alla Raggi e a Zingaretti: anche la Procura della Repubblica ha deciso di tirare fuori dal cassetto le vecchie denunce risalenti al 2017, affidando nel Marzo del 2020 un’ attività di approfondimento investigativo sulle ipotesi di reato ambientale al Reparto tutela urbanistica ambientale della Polizia locale.

Ne scaturisce, in aprile, un’informativa devastante che mette in allarme Comune e Regione per i potenziali riflessi giudiziari. Così quando sulla scena fa irruzione la denuncia di Fratelli d’Italia sugli orrori di Castel Romano, con la conseguente amplificazione mediatica del caso, è già stato avviato un carteggio tra la Asl RM 2 e il Comune, nel quale le strutture sanitarie regionali si mostrano favorevoli allo sgombero del campo. La Raggi però fa orecchio da mercante e non succede nulla. Fino a quando, ieri pomeriggio, l’Assessore alla sanità Alessio d’Amato, coadiuvato dai Direttori Generali delle due ASL territorialmente competenti e dai vertici dell’Arpa, non riceve una delegazione dei comitati, rafforzata da alcuni consiglieri comunali di FdI di Pomezia e coordinata da Roberta Angelilli, per annunciare che lo scorso 24 Giugno, cioè subito dopo il clamore mediatico suscitato dalla trasmissione delle Iene, la Regione Lazio ha inviato al Comune un vero e proprio ultimatum: si richiede infatti alla Raggi di chiudere o bonificare il campo entro il 1° Luglio, altrimenti l’intenzione di Zingaretti sembrerebbe quella di assumere i poteri di surroga e di procedere in collaborazione con la Prefettura allo sgombero.

E’ un fatto politicamente enorme, una vera e propria sfida al Sindaco, che merita una riflessione.

Come nel caso dello scandalo delle forniture di mascherine, il Presidente della Regione non esita a ripetere una strada già percorsa con successo: riconoscere la qualità del lavoro di analisi e documentazione svolto dall’opposizione e, immediatamente, farlo proprio, approfondendolo sul piano amministrativo e giudiziario, con tutti i mezzi e l’autorevolezza che l’istituzione regionale gli mette a disposizione. In effetti è un modo semplice e pratico di non restare fermi a fare da bersaglio agli avversari e soprattutto di non attardarsi nella difesa di situazioni indifendibili. Tuttavia in quei sette giorni di tempo lasciati alla Raggi come tempo ultimo di tolleranza della sua inerzia, c’è. a mio avviso. anche un’altra motivazione. Zingaretti ha esaurito ogni spazio diplomatico nell’affrontare il singolare modo di agire di buona parte del Movimento grillino. Lo si comprende scorrendo tutte le sue ultime dichiarazioni di questi giorni: dal nervosismo sui tentativi di rinvio del voto sul Mes, abbozzati da Conte e Di Maio, fino agli sconfortati commenti sull’indisponibilità Di M5S a coalizzarsi con il PD nel prossimo confronto alle regionali di Settembre. L’impossibile ménage tra il Sindaco e il Presidente della Regione è un po’ il manifesto e il simbolo di questa incompatibilità tra Pd e Cinque Stelle di cui i vertici del Pd si vanno sempre più convincendo.

L’ultima, ma certo non meno principale attrice, dello scontro politico che si è acceso intorno a Castel Romano è la silente Virginia Raggi. Facile immaginare che all’ultimatum dei sette giorni risponderà cercando di prender tempo, ma non sarà facile, anche perché sia lei che Zingaretti sono stati chiamati a chiarire la situazione, in un’audizione davanti alla Commissione bicamerale di inchiesta sulle ecomafie, dal Capogruppo di fratelli d’Italia alla Camera Francesco Lollobrigida. Lasciare le cose come stanno, senza rischiare di finire sul registro degli indagati per disastro ambientale nell’inchiesta già aperta dalla Procura, non sarà semplice. Presto sapremo quelle che saranno le contromosse del Campidoglio: di sicuro rimane il fatto che l’insediamento di Castel Romano ha i mesi contati e che intorno a questa vicenda si sta ridefinendo un sistema di relazioni tra i principali protagonisti politici cittadini che peserà - e non poco - sulle possibili alleanze delle prossime elezioni comunali capitoline.

Altolà alla Raggi: "Chiudi il campo rom o lo facciamo noi". Ultimatum della Regione