Roma
Cannabis light sparisce dagli scaffali: panico tra i 50 grow shop di Roma
Una sentenza della Cassazione che vieta la vendita di marijuana light mette a rischio migliaia di posti di lavoro. Cosa succede ai commercianti
di Tiziano Rugi
Roma è la città italiana con più negozi di cannabis light: oltre cinquanta punti vendita, ogni quartiere ha il suo grow shop. Ma una recente sentenza della Cassazione che impedisce la vendita delle infiorescenze e dei prodotti a base di marijuana potrebbe costringerli a chiudere.
Chiarezza. È quello che chiedono al governo i commercianti di cannabis light, la marijuana con una percentuale di Thc entro i limiti dello 0,6%: mettere una volta per tutte fine all'attuale situazione di incertezza. Situazione che la recente sentenza della Cassazione non ha fatto altro che aumentare e che rischia di uccidere una fiorente attività economica che solo a Roma dà lavoro a centinaia di persone.
Ma andiamo per ordine. La legge n. 242 del 2016 ammette l’attività di coltivazione di canapa tra le piante agricole e elenca tassativamente i derivati da questa coltivazione che possono essere commercializzati. Secondo l’interpretazione che ne era stata fatta, era stato ammesso il commercio di prodotti a base di canapa purché il loro contenuto di Thc (vale a dire la sostanza che dà effetti psicotropi) fosse tra lo 0,2% e lo 0,6%. E a inizio febbraio la Cassazione aveva stabilito che la vendita di prodotti a base di marijuana light era legale.
In poco tempo, il commercio della “marijuana light” era diventata un'attività in rapida espansione. In tutta Italia sono nati 781 grow shop, come sono chiamati i punti vendita di cannabis legale, a cui si aggiungono i 10mila tabaccai che vendono prodotti a base di canapa e i distributori automatici h24, con un giro d'affari di circa 40 milioni di euro ogni anno. Roma è la città con più punti vendita, oltre cinquanta, il 7% del totale. Circa uno ogni 55mila abitanti: in pratica ogni quartiere ha il suo grow shop. E nel 2018 il Lazio è stata la regione italiana che ha registrato più aperture, raddoppiando i punti vendita.
Poi è arrivata la notizia inattesa: il 30 maggio scorso la decisione che permetteva di commercializzare la marijuana light è stata ribaltata. Per la Cassazione, la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis”, come l'olio, le foglie, le inflorescenze e la resina. Vi è secondo la Cassazione, in termini pratici, una falla nella legge 242, che non direbbe che è possibile vendere tali sostanze ma, al massimo, soltanto detenerle per uso personale anche se tali sostanze possiedono unapercentuale di thc inferiore allo 0,6%.
Un groviglio normativo che però può avere effetti devastanti sul commercio della marijuana light: i rivenditori, oltre al sequestro della merce basata sulle infiorescenze, rischierebbero infatti la chiusura dell'attività e l'accusa di traffico di stupefacenti.
Una realtà grigia che fa vivere nell'ansia i commercianti dei grow shop, che spesso vedono i loro prodotti finire sotto sequestro su ordine della Questura. Come è successo a Luigi Mantuano, giovane imprenditore trentenne proprietario del Canapa café di San Lorenzo: “L'anno scorso sono arrivate le forze dell'ordine e hanno disposto il sequestro di tutta la nostra merce esposta sugli scaffali, con un danno economico di circa 35mila euro che ci ha fatto rischiare di chiudere per fallimento”, racconta. Stessa sorte è toccata nei giorni scorsi ad Hemporium, un altro grow shop di San Lorenzo e a Mezz'etto, zona Talenti.
Così migliaia di impiegati nel settore oggi vivono in una situazione di totale incertezza, senza sapere che ne sarà del loro futuro e di quello della loro attività. Molti cannabis shop di Roma contattati da affaritaliani.it per precauzione hanno ritirato dalla vendita tutti i prodotti derivati da foglie, infiorescenze, olio e resina, con un danno economico sostanziale. “Non possiamo rischiare, così abbiamo deciso di non rifornire il nostro magazzino”, spiega Davide, titolare del negozio Fiori di Gaia a Piazza Bologna. Una scelta drastica che rende difficile la sopravvivenza dei grow shop, perché le infiorescenze e le resine costituiscono il 70% del fatturato di ogni singolo negozio.
In attesa di capire meglio gli sviluppi dell'intera faccenda e viste le dichiarazioni di alcuni esponenti del governo di peso, come il ministro dell'Interno Matteo Salvini, che ha promesso di "chiudere ad uno a uno tutti i presunti negozi turistici di cannabis" c'è tanta paura di chiudere: “Io e il mio socio abbiamo investito più di diecimila euro in questa attività e diamo lavoro ad altre due persone, ma se non possiamo agire nella totale legalità saremo costretti a chiudere”, continua il titolare di Fiori di Gaia.