Roma
Carceri piene di donne: il Lazio è la regione con più detenute
Il 72% di loro è madre. Aumentano le straniere recluse
Il Lazio è la regione italiana con il maggior numero di detenute, con un 6,4% contro un 4,2% della media nazionale. Le carcerate sono divise tra le strutture penitenziarie femminili di Rebibbia, Civitavecchia, Latina e la Casa di reclusione di Paliano e sono complessivamente 402, ossia il 17,6% delle detenute donne in tutta Italia.
Tra il 16 e il 19,4% delle detenute della Regione è ancora in attesa di giudizio definitivo. Si tratta di ricorrenti o appellanti che dovrebbero venire recluse solo come misura straordinaria: “Motivo questo per cui l’Italia è stata più volte bacchettata dalla Comunità europea – ha commentato il segretario generale della Uil di Roma e del Lazio, Alberto Civica – in quanto il ricorso alla custodia cautelare dovrebbe essere uno strumento da utilizzare in via eccezionale, dove non sia possibile ricorrere a misure alternative. Invece nel nostro Paese succede addirittura che alcuni detenuti scontino pene più lunghe di quelle poi stabilite dalle sentenze”.
I dati - realizzati ed elaborati dalla Uil di Roma e del Lazio, in collaborazione con l’istituto di ricerca Eures - sono stati presentati durante il convegno “Vite in sospeso”, organizzato dal sindacato regionale Uil all’interno del carcere di Rebibbia.
La ricerca ha attestato una crescita della popolazione carceraria femminile della regione nel 2016 rispetto all'anno precedente con un +11,7% di presenze e un +42% in termini assoluti.
Nel Lazio, la maggior parte delle detenute (37,9%) proviene dai Paesi dell'Unione Europea, un 27% è originario invece dell’ex Jugoslavia e dall’Albania e un 30% è diviso tra Africa e Sud America. Sono 203 complessivamente le donne straniere contro le 199 italiane presenti nelle strutture carcerarie. Si tratta di un dato fortemente in crescita dal 2012, quando rappresentavano il 44% del totale, contro il 50,5% odierno.
Sono due le fasce d'età a detenere il maggior numero di presenze: la maggioranza delle detenute, ossia 112 su 402, ha tra i 30 e 39 anni, 111 detenute, invece, hanno trai i 40 e 49 anni. Decisamente più contenuta la fascia delle detenute più giovani: la componente under 30 in Lazio si attesta al 19,2%, contro il 17,1% della media nazionale.
Meno di un terzo delle detenute che alloggiano negli istituti carcerari laziali presenta una relazione di partnership consolidata. Le detenute sposate ammontano al 24,4% del totale e le conviventi al 7,5%. Più alta, invece, l'incidenza delle nubili che rappresentano il 38,3% del totale, contro il 28,7% della media italiana.
Particolarmente elevato è invece il numero delle detenute con figli che nel Lazio risultano essere 291, pari al 72,4%, con una media di 2,9 figli a testa. Undici di questi sono attualmente ospitati nella case circondariale di Rebibbia.
Se è la Basilicata a detenere il primo posto in classifica come regione più virtuosa riguardo alla percentuale delle detenute lavoratrici, con un 91,7% del totale, in Lazio il 41,3% delle recluse ha un'occupazione. Il lavoro è un elemento fondamentale nei percorsi di reinserimento delle carcerate, oltre a costituire uno strumento di autosufficienza economica e di integrazione e riconoscimento sociale. Settima regione il graduatoria per numero di detenute lavoratrici, il Lazio va in controtendenza rispetto al resto del Paese: sono le detenute donne ad avere maggiori opportunità lavorative, addirittura il doppio, rispetto agli uomini finiti in prigione. È la stessa amministrazione penitenziaria ad offrire la quasi totalità delle occasioni di lavoro, anche se nel 2016 è stato raggiunto un 11,4% di lavoratrici non dipendenti dall’amministrazione penitenziaria contro il 4–5% degli anni precedenti.
“Ciò evidenzia un forte impegno dell’Amministrazione in una direzione che produce maggiori speranze di continuità lavorativa una volta riacquistata la libertà – ha commentato la segretaria regionale Uil, Laura Latini – e si traduce quindi in maggiori possibilità di reinserimento sociale, fondamentale nell’intraprendere un percorso di vita lontano dai reati. Ovvio che il lavoro in esterno, così come i vari laboratori giustamente presenti in molte strutture carcerarie, implicano anche una maggiore sorveglianza, ma spesso le poche risorse investite diventano penalizzanti. Per gli operatori costretti spesso a turni più lunghi per carenza di organico, per i detenuti stessi che a volte vengono privati di opportunità importanti”.